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ODISSEA GASTRONOMICA
22 Settembre 2019 - 14:22
La recensione di un wine bar e ristorante francese apparsa sul New Yorker del 26 agosto scorso offre ghiotto spunto per qualche osservazione sulle modalità di consumo dei vini naturali e sui locali specializzati nella somministrazione di questa sempre più importante realtà del mondo vitivinicolo. Shauna Lyon nel simpatico e severo racconto della serata all’Accolade, nel west village di Manhattan, funestata, per altro, da un piatto di pollo senza pollo (il pollo fjuto, potremmo dire), tratteggia caratteri del contesto e comportamenti di clienti in tutto per tutto analoghi agli omologhi italiani specializzati in vini naturali. Si parla di un “laissez-faire service” che asseconda i comportamenti piuttosto fuori dagli schemi di quelli che la giornalista definisce enofili. Si riferisce di un tizio, già abituè del locale aperto a giugno, che in un impeto di entusiasmo enoico si azzarda a individuare il vitigno alla cieca, declamando “è un Muscat”, senza che alcun Muscat figurasse nell pur fornita cantina del wine bar. Si racconta della incongruità di una cucina ambiziosa che contrasta con l’atmosfera di nonchalance, di portate che ambiscono alla complessità e finiscono per aver sapore di una carota lessa intinta in salsa barbecue, di due chef che ciccano clamorosamente, alternando buone preparazioni a sensazionali fallimenti, e dello sballo di pietanze brutte ma saporite e altre bellissime ma stomacanti. In quante situazioni del genere ci siamo imbattuti nella odissea gastronomica di ciascuno di noi? Il vino naturale è una realtà che continua a crescere perché crescente è l’attenzione di consumatori e produttori al tema della sostenibilità ambientale, del salutismo e della biodiversità. Dal punto di vista dei produttori è una grande sfida e un immenso lavoro. Curare la vite e lavorare in cantina senza chimica di sintesi, senza pesticidi, bustine, coadiuvanti delle varie fasi del processo di vegetazione, vendemmia e trasformazione richiede applicazione costante e l’accettazione una grande dose di incertezza sul risultato finale e quindi di un grande rischio economico. È una scelta intima e infatti i vini naturali fatti bene sono vini che presentano una grande personalità. Per contro è diffuso tra i ristoratori e i consumatori focalizzati su questa tipologia di vini un atteggiamento più formale o manicheo che finisce col creare situazioni ai confini del ridicolo come quelle raccontate dal New Yorker e che possiamo ritrovare a chilometro zero il molte delle vinerie naturali che fioriscono alle nostre latitudini. L’America sotto casa, insomma. A onor del vero possiamo, almeno per una volta, vantarci di aver anticipato le mode d’oltreceano, giacché qui da noi i quadretti scombinati come quelli pittati dalla Lyon sono frequenti da almeno un lustro. L’Accolade 302 Bleeker St. New York
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