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I PERSONAGGI

Parlati, una famiglia di judoka

Raffaele, Gennaro, Pina, Massimo, Enrico e Christian, figli di Raffaele e Delia Mirenghi, istruttrice di fitness e coordinatrice delle attività della palestra Nippon Napoli; e Manuel e Marco, figli di Massimo e Maria Neve, insegnante, formano la famiglia Parlati, campioni di judo. La loro straordinaria storia nel racconto di Massimo, laureato in scienze motorie, corresponsabile del Centro Nazionale Sportivo Fiamme Oro di Napoli e titolare, con il fratello Raffaele, della palestra di Ponticelli, fucina di campioni e importante punto di riferimento per i ragazzi a rischio del territorio di Napoli Est. «Sono nato a via Nardones, antica strada di Napoli, parte della teoria dei Decumani, che inizia da piazza Trieste e Trento e muore ai Gradoni di Chiaia. Sono l’ultimo di quattro figli, tre fratelli e una sorella, tutti judoka. Nostro padre Enrico, infatti, per evitare che nel pomeriggio, al termine delle lezioni scolastiche, ci trattenessimo in strada a giocare, su consiglio di un amico, ci iscrisse al gruppo sportivo delle Fiamme Oro che aveva sede nella palestra della caserma Nino Bixio a Pizzofalcone, conosciuto come Monte di Dio. Si praticava judo e i primi a calpestare il tatami sono stati i miei fratelli maggiori, Raffaele e Gennaro. Spesso andavo con papà ad accompagnarli e rimasi affascinato dall’abito bianco chiuso in vita da cinture di vari colori. Seppi poi che si chiama “judogi” e che le cinture indicano il livello di bravura degli atleti e che la più importante è quella nera. Avevo solo quattro anni e mio padre, visto il mio entusiasmo, decise di iscrivere anche me al gruppo sportivo. I suoi principi di vita erano cultura, sport e onestà e ce li ha inculcati, insieme a nostra madre Rita, con l’esempio e senza forzature».

Dove ha frequentato le scuole?

«A Monte Echia, vicino casa e palestra, c’era un istituto gestito da suore. Tutti e quattro fratelli abbiamo frequentato lì le scuole elementari e io anche le medie. Gli altri, invece, cambiarono istituto e andarono alla Carlo Poerio».

Le risultava difficile conciliare gli studi con lo sport?

«Mai, neanche quando sono andato alle superiori. Ho sempre avuto una forte volontà e il convincimento che sport e istruzione sono complementari l’uno all’altro. Naturalmente, a mano a mano che andavo avanti, le difficoltà aumentavano e con esse i sacrifici, ma tutto era superato per la grande passione e l’entusiasmo che crescevano con i risultati sportivi che iniziavano a venire».

Qual è stato il primo?

«La vittoria al campionato italiano a undici anni nella categoria esordienti, 36 kg. Raffaele e Gennaro mi avevano preceduto nei successi tracciando quella strada che abbiamo percorso, anche se in tempi diversi. Raffaele dimostrò quasi subito di avere attitudine per l’insegnamento e, dopo essere entrato in Polizia a diciotto anni, a vent’anni diventò istruttore nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro ed è stato anche il mio allenatore».

Com’è progredita la sua carriera?

«Ho cominciato a vincere progressivamente i titoli italiani delle varie categorie fino alle chiamate in nazionale a seconda delle fasce d’età, under 15, under 18 e under 20. A 18 anni ero entrato anche io in Polizia e nello stesso anno diventai campione italiano under 18 e vice campione italiano assoluto. Avevamo avuto dei maestri eccezionali, tre giapponesi mandati periodicamente a Napoli dal mitico “sensei” Ken Otani con il quale le Fiamme Oro avevano stipulato un accordo. Quando compii 19 anni il gruppo sportivo nazionale fu trasferito a Roma e io dovetti lasciare Napoli. Con me si spostarono Pino Maddaloni, che poi diventò campione olimpico, e Dario Romano, il futuro allenatore della nazionale».

Nel frattempo aveva conseguito il diploma magistrale e insieme ai suoi fratelli aveva aperto la palestra “Nippon Napoli” a Ponticelli, un’Associazione Sportiva Dilettantistica.

«Era il 1992 e si realizzava il sogno soprattutto di Raffaele e mio. Ci eravamo trasferiti a Ponticelli per motivi di lavoro di nostro padre e, nella prima fase, ci aiutarono anche Gennaro e nostra sorella Pina insieme a mamma e papà che diedero un sensibile contributo economico. Il nostro obiettivo era quello di tenere lontano dalla strada i ragazzi che vivevano in una zona a rischio. Dopo poco tempo gli iscritti diventarono una cinquantina di ogni fascia d’età e pagava solo chi era nelle possibilità di farlo. Agli inizi li allenavano Raffaele, Gennaro e Pina, poi solo Raffaele perché gli altri due presero altre strade lavorative. Quando mi trasferii a Napoli affiancai definitivamente Raffaele».

Nel 1996 la Nippon Napoli fece il salto di qualità. Che cosa accadde?

«Il Comune di Napoli, d’intesa con le Federazioni, affidò il Palavesuvio alle società sportive e la Nippon Napoli fu una di quelle. Lasciammo la sede di via Argine, che si trovava nelle adiacenze dell’Ospedale Evangelico Villa Betania, e ci trasferimmo nella vicina palestra del prestigioso impianto polisportivo. Allenavamo io e Raffaele quando terminavamo il turno di lavoro in Polizia come allenatori di sicurezza personale del IV° Reparto Mobile. La Nippon nel tempo è diventata una delle palestre più importanti d’Italia e un punto di riferimento molto significativo per il territorio. Oggi vanta un medagliere straordinario: 313 medaglie ai Campionati Italiani di cui 104 d’oro, 143 medaglie internazionali di cui 6 Campioni d’Europa e 3 Campioni del Mondo. Il suo presidente onorario è il dottore Giulio Raimo, primo suo accesissimo “fan”».

Quando smise di fare agonismo?

«Avevo 23 anni e, durante un allenamento preparatorio per i campionati internazionali di qualificazione per partecipare alle Olimpiadi di Sydney del 2000, subii un grave infortunio. Quando rimasi immobile per il dolore sul tatami, mi crollò il mondo addosso e in un attimo vidi vanificati tutti i miei sforzi finalizzati alla partecipazione della massima competizione sportiva. Fui operato ma persi l’idoneità agonistica e dovetti lasciare il gruppo sportivo. Riuscii a venire fuori dalla profonda crisi in cui era precipitato per l’aiuto e il conforto che ricevetti soprattutto dai ragazzi che allenavo alla Nippon Napoli, oltre agli allievi della scuola di difesa personale. Cominciai a collaborare con il Cus Napoli e frequentai vari corsi federali e consegui l’abilitazione ad allenatore federale. Mi iscrissi anche all’università e mi laureai in Scienze Motorie. Qualcuno mi chiamava dottore e mi sentivo estremamente imbarazzato».

Nel 2009 nella sua vita di sportivo ci fu un altro evento molto importante. Ce lo ricorda?

«Le Fiamme Oro di Roma decisero di riaprire la sezione giovanile a Napoli, chiusa nel 1996, proprio presso il IV° reparto mobile e l’affidarono a mio fratello Raffaele, a me e a Pino Maddaloni. Fu un momento magico perché i risultati si fecero subito importanti al punto che il presidente nazionale delle Fiamme Oro, Francesco Montini, e il vice presidente Flavio D’Ambrosi, visti i grandi risultati sportivi che Napoli stava ottenendo anche nel judo, decisero di portare, dopo 24 anni, il centro nazionale anche nella nostra città. Affianca i due di Roma e quelli rispettivamente di Milano, Moena, Padova, Ladispoli, Nettuno, Sabaudia. Il coordinatore sportivo è il caro amico e collega Luca Piscopo. Raffaele è diventato il tecnico della nazionale under 21 e della nazionale senior mentre io sono tecnico della nazionale universitaria e collaboratore tecnico della nazionale italiana».

Ritorniamo alla Nippon Napoli. Quando c’è stato il primo grande risultato?

«Il titolo di campione del mondo, primo in Italia nella categoria juniores, di Antonio Esposito nella categoria 73 kg a Lubiana nel 2013. Fu seguito due anni dopo dal fratello Giovanni Esposito, campione del mondo nella categoria 66 kg a Sarajevo».

Nel frattempo sul tatami cresceva la seconda generazione dei Parlato.

«Il primo è stato Enrico, primogenito di Raffaele e Delia, che ha iniziato quando abbiamo aperto la palestra. Ha vinto 10 titoli italiani, 5 medaglie ai Campionati europei nel 2007, 2009, 2010, 211 e 2013. È stato bronzo ai Giochi del Mediterraneo in Turchia nel 2013 e oggi, entrato anche lui in Polizia, è tecnico delle Fiamme Oro».

Sulle sue orme scese sul tappeto suo fratello minore Christian.

«Un altro cavallo di razza della scuderia Parlati. Ha iniziato a due anni ed è cresciuto sul tatami. Ha vinto tutti i campionati italiani ed è entrato in nazionale vincendo la medaglia di bronzo al campionato d’Europa Junior. È diventato campione italiano assoluto nel 2018 nella categoria kg.81 e campione del mondo alle Bahamas nello stesso anno. Ha partecipato ai campionati europei nel 2018, al Grande Slam del 2019 e 2021 piazzandosi rispettivamente 5° e 2°. Ha vinto il GrandSlamTashkent sempre nel 2021. Domani, giorno del mio compleanno, debutta alle Olimpiadi di Tokio. Il suo sparring parter è il fratello Enrico. Ha 23 anni».

E i suoi figli?

«Stanno crescendo anche loro. Manuel, il primogenito, ha preso tre medaglie ai campionati italiani e ha vinto il titolo nazionale quest’anno. Non ha ancora compiuto 17 anni ed è nel giro della nazionale under 18 e forse parteciperà a metà agosto ai campionati di Europa. Il secondo, Marco, disputerà anche lui l’anno prossimo un campionato italiano».

Che cosa si sente di dire a Christian?

«Auguro a mio nipote di poter realizzare il suo sogno, la vita di un atleta è piena di rinunce e sacrifici. Christian sta lavorando da quando era un bambino con grande serietà e costanza per questo obiettivo. Lo deve a se stesso, ai suoi genitori e alla sua Napoli».

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