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I PERSONAGGI
13 Luglio 2022 - 20:07
Diplomata al liceo artistico, studia presso la Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli dal ’71 al ’77. Sempre quell’anno Igina di Napoli (nella foto) entra a far parte del Teatro dei Mutamenti, con Antonio Neiwiller e Renato Carpentieri. Abbandona la cura della Compagnia per dedicarsi con Angelo Montella alla “rinascita” del Teatro Nuovo di Napoli, restituendolo alla sua dignità di riferimento culturale della città partenopea. Dagli anni Ottanta al Teatro Nuovo, sotto la sua direzione artistica, vengono alla luce personaggi come Mario Martone, Toni Servillo, Annibale Ruccello, Marina Confalone, Enzo Moscato, Tonino Taiuti, Vincenzo Salemme, tra i più noti; il teatro ospita tra i maggiori protagonisti della nuova scena italiana: gruppi quali Magazzini Criminali, La Gaia Scienza, A. Sixty, Cabaret Voltaire, e artisti come Leo De Berardinis, Carlo Cecchi, Giorgio Barberio Corsetti, Sandro Lombardi, Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Benedetta Buccellato, Licia Maglietta, Lucia Ragni, Isa Danieli, Pippo Delbono, Antonio Latella, Emma Dante, Arturo Cirillo, Pierpaolo Sepe, Ricci Forte e tanti altri. Il Teatro Nuovo viene riconosciuto tra i 12 Centri di Ricerca Teatrale italiani dall’allora ministero del Turismo e Spettacolo, e la direzione artistica le viene confermata fino a maggio 2010. Dal 2000 è componente del Direttivo Nazionale Agis, Teatri Stabili d’Innovazione. Dal 2015 è il direttore artistico della Casa del Contemporaneo.
«Sono nata a Calvizzano nel Dopoguerra, dove i miei genitori si erano trasferiti, poi siamo venuti a Napoli. Mi chiamo come mia nonna che porta il nome di uno dei primi Papa della storia del pontificato. Dopo le scuole inferiori, frequentate al collegio di monache Santa Giovanna Antida, mi iscrissi al liceo artistico Palizzi, in piazzetta Salazar, e poi alla facoltà di Architettura. Erano gli anni ’70 e Palazzo Gravina costituiva l’anima pulsante del movimento di protesta del mondo giovanile, soprattutto studentesco, esploso nel Sessantotto. Si parlava della nuova “cultura” e, quindi, anche di teatro. Conobbi Renato Carpentieri, uno di quelli che stavano sempre in facoltà e faceva parte del Circolo teatrale universitario. Nel 1977 aderii alla Cooperativa dei Mutamenti costituita da Antonio Neiwiller e Renato Carpentieri con la quale si intraprese un’esplorazione sulla relazione tradizioneavanguardia. Ero agli sgoccioli del percorso universitario e mi mancava solo la tesi per laurearmi, ma compresi in quel periodo che non avrei mai potuto fare l’architetto così come lo avevo sognato perché i miei interessi erano altri. Renato comprese il mio disagio e mi propose di lavorare nella cooperativa occupandomi dell’organizzazione. Accettai e abbandonai l’Università. Per mia madre fu una delusione enorme e per mesi non mi rivolse la parola».
Qual era la sede della Cooperativa dei Mutamenti?
«Le nostre case: eravamo giovani e squattrinati. Poi trovammo un “mecenate”, l’accorsato mobiliere Salvatore Pica, titolare dei negozi Ellisse di piazza Vittoria e via Carducci, che ci offrì la possibilità di riunirci nei suoi locali dopo la chiusura. Era anche lui appassionato di teatro. Provavamo gli spettacoli che portavamo in scena la sera, all’Istituto Reich, una scuola privata per bambini. Quando riuscivamo a realizzare tra di noi una considerevole somma di denaro, andavamo al Sancarluccio, a via San Pasquale a Chiaia. Ogni giorno per noi era una corsa a ostacoli per sopravvivere nella nostra grande passione di cui ci alimentavamo».
Poi incontrò Angelo Montella, il compagno della sua vita.
«Lo conobbi una sera al Sancarluccio quando mettemmo in scena uno spettacolo di Antonio, il “Don Fausto” di Petito. Litigammo, ma poi facemmo immediatamente pace. Dal primo momento ci ha unito la comune passione per il teatro e il sogno di realizzarne uno tutto nostro. Angelo veniva dall’esperienza fatta con Gennaro Vitiello, fondatore del Teatro Esse, la prima esperienza di Avanguardia Teatrale napoletana e una tra le prime in Italia. Ci sposammo e poiché, all’epoca era dirigente di una multinazionale con interessi in Arabia Saudita, andai con lui a Riyadh. Ero incinta di Perla. Quando è nata le abbiamo dato il nome di Perla Pelagallo, una grande attrice anche compagna di Leo de Bernardinis, ai quali eravamo molto legati. Trascorrevo le giornate in casa a leggere e ascoltare musica. Sono rimasta a Riyadh fino a poco prima del parto perché volevo che nostra figlia venisse alla luce a Napoli. Angelo si trattenne ancora in Arabia Saudita per accumulare la somma necessaria per avviare il nostro progetto. Intanto io mi davo da fare per cercare un locale adatto».
Quale trovò?
«Il Teatro Nuovo. A noi due si aggiunse Maria Vittoria Rossi, un’amica che già si occupava di organizzazione di eventi e che ci dava una mano ogni tanto alla Cooperativa dei Mutamenti. Era fidanzata con il fotografo Cesare Accetta, oggi direttore della fotografia. Era il 1980, periodo in cui cominciarono a nascere nuove tendenze. Napoli era stata una città attiva e vivace, negli anni Trenta. Nel teatro, per la verità, lo era fin dal Seicento. Pensiamo solo ai sette Conservatori. La guerra e il periodo successivo portarono il buio più profondo dal quale la città emerse scossa dal terremoto del 1980. Mario Martone ha definito quella enorme tragedia come il risveglio della cultura e del teatro. Di fronte a quella catastrofe la città aveva bisogno di esprimersi e di raccontare. Non si poteva rimanere fermi perché la realtà era cambiata. Noi e altri, tra cui Tato Russo con il “Bellini” e Lucio Mirra con il “Diana”, capimmo che Napoli poteva accogliere le diverse forme ed espressioni che sono parte della nostra tradizione, ma anche un teatro innovativo con linguaggi nuovi».
Come vi siete finanziati per realizzare il vostro progetto?
«All’inizio ci siamo autofinanziati con i soldi guadagnati da Angelo con il suo lavoro in Arabia Saudita. Il Teatro Nuovo era stato costruito nel 1723 su progetto di Andrea Vaccaro. Prima che lo rilevassimo era diventato un cinema a luci rosse. Il titolare aveva necessità di realizzare liquidità perché voleva trasferirsi in Germania. Pagammo 25milioni di lire la caparra per la cessione del contratto e della licenza; praticamente quasi tutti i risparmi accumulati e nel 1979 perfezionammo la ceditura. Qualcuno ci definì pazzi. Forse avevano ragione, ma avevamo tanta passione ed entusiasmo».
Quando ci fu l’inaugurazione?
«Era prevista per il 25 novembre, ma il 23 ci fu il terremoto. Fortunatamente il teatro non subì danni e, effettuate le verifiche che certificarono la piena agibilità, aprimmo l’8 dicembre».
In quale contesto teatrale si inseriva il vostro teatro?
«In quel momento, nel teatro italiano d’innovazione, c’erano due anime. Una cosiddetta del “terzo teatro” che comprendeva tutte le compagnie che avevano come riferimento il teatro che si ispirava a Jerzy Grotowski; l’altra, che nasceva subito dopo, andava in una direzione diversa, quella della postmodernità. Alla prima faceva capo il Centro di produzione di Pontedera con il Festival di Sant’Arcangelo di chiara ispirazione grotoschiana; alla seconda i Magazzini Criminali, Barberio Corsetti, Mario Martone. Noi eravamo tra questi due fuochi e avevamo come riferimento Leo de Berardinis e Carlo Cecchi. Venivano dagli anni Settanta ed erano quelli che avevano cominciato un processo innovativo in generale che riguardava non solo Napoli, ma l’Italia e l’Europa. Negli anni Ottanta, infatti, cominciano ad emergere autori come Renato Carpentieri, Enzo Moscato, Annibale Ruccello. Poi gli anni Novanta e il 2000 dove Napoli si connette alla grande, sul piano culturale e artistico, con il resto del mondo».
Qual è stata la prima produzione del Teatro Nuovo?
«Un lavoro scritto da Toni Servillo agli inizi degli anni ’80. Si intitolava “Billy il bugiardo”». Nel 2015 nasce Casa del Contemporaneo. «Noi siamo nati come centro di produzione, cioè luogo aperto dove vengono prodotti più artisti e si incontrano varie personalità in un confronto costante. Un luogo dove si fa sistema. Quando lo Stato ha cambiato le regole del mondo del teatro, avvertii la necessità di rimettere tutto in discussione ed emerse chiaramente che per noi e per me l’unica strada possibile era quella di mettersi insieme ad altri per combattere e vincere nella nuova realtà che si doveva affrontare. Così abbiamo fatto, ed è nata l’associazione Casa del Contemporaneo».
Che cos’è?
«Uno dei tre centri di produzione campani riconosciuti dal ministero della Cultura».
Da chi è composta?
«Da più organismi ampiamente riconosciuti sul territorio, in Italia e in Europa: Le Nuvole soc. coop. (già teatro stabile di innovazione ragazzi), la Fondazione Salerno Contemporanea (già teatro stabile di innovazione ricerca) e la compagnia teatrale Enzo Moscato (già compagnia teatrale di ricerca) e, infine, la storica Teatri Uniti».
Qual è la sua mission?
«Cogliere l’opportunità di lavorare ad un fine comune. Il suo progetto artistico tende sempre più ad unificare l’esperienza teatrale del pubblico con l’obiettivo di permettere ad adulti, adolescenti e bambini di partecipare insieme ad una produzione teatrale orientata al confronto e scambio tra generazioni».
Dove si svolgono le attività?
«In quattro spazi diversi caratterizzati dalla loro specifica identità e allo stesso tempo accomunati da una forte sensibilità verso la contemporaneità e da stagioni e progetti artistici multidisciplinari. Sala Assoli di Napoli il cui recupero architettonico è stato ultimato nel 2018. È uno spazio che ha visto la nascita artistica delle più grandi donne e uomini di teatro che attualmente si impongono sui maggiori palcoscenici italiani ed europei. Teatro dei Piccoli in Mostra d’Oltremare a Napoli, storico teatro realizzato nel 1939 su disegno di Luigi Piccinato, tutelato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici di Napoli, che è stato restituito a vita da un importante lavoro di restauro, ed è dedicato ai progetti teatrali rivolti all’infanzia. Il Teatro Antonio Ghirelli a Salerno, spazio derivato dalla trasformazione architettonica di una fabbrica. Ha già ospitato nei suoi primi anni di vita numerosi spettacoli e importanti artisti del teatro di ricerca internazionale, e nel 2019 termina un intervento di ripristino architettonico, riprendendo le attività. Infine il Teatro Karol a Castellammare di Stabia, restituito alla comunità con un’opera di adeguamento e ristrutturazione e divenuto una componente importante della programmazione dell’Associazione, e un riferimento culturale per la città».
Che ruolo ricopre nell’associazione?
«Sono il direttore artistico e poi c’è un consiglio di amministrazione con presidente Giovanni Petrone che per 30 anni ha diretto la cooperativa Le Nuvole, l’unico centro importante in Campania per il teatro per ragazzi».
Qual è lo spirito con il quale si muove nel mondo del teatro?
«Fare sistema, perché da soli non si va da nessuna parte».
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