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IL CALABRONE DIPINTO
05 Settembre 2022 - 16:56
Un luogo comune che occorre sfatare è quello di ricondurre la pittura napoletana dell’ ‘800 esclusivamente alla “Scuola di Posillipo”, che fu una breve stagione che vide affermarsi, ad esordio secolo, Pitloo e Giacinto Gigante insieme con le altre personalità di Smargiassi, Duclère, poi dei Carelli ecc. Era una pittura godibile e fascinosa, quella dei Posillipisti, e veniva, però, affiancata da una pittura di più stretta tempra accademica (Mancinelli, Guerra) da cui sarebbe germinata una “Pittura di Storia”, che Domenico Morelli crea coniugando istanze romantiche e rigore formale classicistico. All’affermarsi di un’istanza positivistica che avrebbe chiesto al pensiero di rimodellarsi secondo un approccio naturalistico e scientifico, la pittura scopre di dover fare la sua parte, come avviene con i Palizzi, che intendono il richiamo del vero, andando a produrre una pittura di indirizzo analitico della realtà fenomeni a. Si propone, inoltre, nella seconda metà del secolo, una sempre più urgente “questione sociale” che trova nella pittura una sponda umanitaristica nella pratica creativa di artisti come il Patini o il Costantini, mentre l’avvicinarsi della fine dell’ ‘800 lascia presagire l’affermarsi di una ventata di totale rinnovamento, al cui interno fioriscono le prime avvisaglie di quella che sarà la nuova stagione novecentesca annunciata da un clima non solo di sperimentazione, ma anche di effervescenza propositiva e di sensibilità secessionistica. Protagonisti della temperie di svolta di secolo saranno, infatti, pittori come Scoppetta, La Bella (nella foto un’opera), Migliaro, Ragione ed altri ancora. Con loro si chiude una stagione e la pittura napoletana si apre anche alle sensibilità sperimentative che avranno, tra l’altro, il segno distintivo del Futurismo, di cui Cangiullo, ad esempio, saprà interpretare le più vivide ragioni, o quello astrattivo, ove avrà cose importanti da dire Raffaele Castello. Ma siamo, ormai, già in pieno ‘900.
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