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I PERSONAGGI

Giulio Carotenuto e il suo “mal d’Africa”

Giulio Carotenuto (nelle foto) è medico odontoiatra esperto in chirurgia orale. Svolge la libera professione. Ha fondato e presiede l’associazione Aisha Onlus con cui compie missioni umanitarie odontoiatriche in Africa. «Nasco a Napoli ma vivo la mia gioventù a Torre Annunziata. Papà è odontoiatra e chirurgo maxillo-facciale, mamma è interprete di francese, inglese e tedesco. Fin da piccolo sono stato appassionato di rugby che seguivo in televisione ma anche sui campi di gioco. Mi piace questa disciplina perché oltre a essere uno sport di squadra ha una caratteristica particolare: “il terzo tempo”. È una delle tradizioni più importanti del rugby. Inizia da quando l’arbitro fischia per concludere la partita. Da quel momento le due squadre non sono più rivali e vanno a festeggiare insieme. Forse rappresenta il vero spirito di questo sport. Quando avevo sei anni iniziai a praticare il minirugby al Wasps Stabia Rugby di Castellammare. Poi cominciai a fare anche nuoto insieme a mia madre che frequentava la piscina del Sabatha’s Club Pompei. Insieme al gioco di squadra scoprii in me una propensione ad aiutare gli altri. Il momento chiave fu quando verso i dieci anni cominciai ad aiutare mia nonna materna ad alzarsi dalla poltrona sorreggendola fino ad arrivare sul terrazzo a livello di casa, che sta all’undicesimo e ultimo piano del palazzo, dal quale si vede tutto il panorama che abbraccia le isole di Capri e di Ischia. Nonna era stata colpita da un ictus. Non parlava più e non riusciva a muovere la mano destra e la gamba sinistra. Consideravo quell’aiuto che le davo con amore come una medicina per alleviarle la sofferenza».

Sport di squadra e propensione ad aiutare gli altri. Quanto hanno inciso sulle sue scelte future?

«Veramente molto. Cominciai a pensare di fare medicina perché vedevo in questa professione quella che meglio potesse conciliarsi con le mie “inclinazioni”. Poi al liceo, quando gli impegni scolastici me lo consentivano, iniziai ad andare allo studio di papà. Inizialmente mi limitavo ad aspettare nella sala d’attesa il momento per poterlo salutare. Fu la svolta».

Perché?

«Vedevo pazienti di tutte le età sofferenti che dopo essere stati visitati da mio padre sembravano rinati. Lo consideravo una sorta di mago e nella mia mente si affacciò l’idea che avrei voluto seguire le sue orme. Scoprii anche di possedere un’innata empatia verso i bambini. Piangevano per il dolore e mi veniva spontaneo di giocare con loro per distrarli. Il più delle volte ci riuscivo e ne ero felice. Questo mio essere ha sotteso e sostanziato la vocazione che è letteralmente esplosa in me, in seguito, per le missioni umanitarie e mediche in Africa».

Dopo il diploma di maturità, quindi, si iscrisse a odontoiatria?

«Negli ultimi due anni di liceo mi iscrissi a un corso di preparazione per i test di accesso alla facoltà di odontoiatria. Li sostenni prima degli esami di maturità, perché era consentito, ma non fui ammesso. Decisi, quindi, di fare pratica da papà per approfondire la preparazione. Parlando con amici già laureati venni a sapere che in Spagna esiste un’università privata con una facoltà di odontoiatria di primissimo livello e molto apprezzata in Europa e Oltreoceano. È l’Universidad Alfonso X El Sabio e si trova a Madrid. Conseguito il diploma, a settembre decisi di risostenere in questo ateneo i test di ammissione».

Come andò?

«Li superai brillantemente e iniziò la mia avventura universitaria spagnola. Ebbi la fortuna di conoscere, e legarmi anche sentimentalmente, una studentessa italiana i cui genitori si erano laureati in quella università. Parlavano bene lo spagnolo e lo avevano insegnato anche a lei. Terminate le lezioni ci immergevamo nella quotidianità della gioventù madrilena e questo contribuì ad accelerare il mio apprendimento della lingua».

Che cosa aveva di particolare la Universidad Alfonso X El Sabio?

«Fin dal primo anno gli esami si sostenevano dopo avere studiato la teoria e dopo avere fatto pratica in laboratorio. Ci si esercitava su modelli di animali in plastica e anche su mascelle di maiali che si procuravano nei macelli. Il corso di laurea prevedeva 45 esami distribuiti in cinque anni più un sesto, propedeutico alla laurea. Si faceva pratica in una struttura esterna scelta dallo studente».

Quale esame la colpì maggiormente?

«Al terzo anno si entrava nelle cliniche. Rimasi affascinato dalla chirurgia orale e decisi che quella sarebbe stata la mia specialità. Facevamo interventi su manichini con finte bocche che, grazie alla tecnologia, erano sensibili e mobili. Successivamente anche su pazienti reali. Naturalmente eravamo seguiti da specifici tutor».

Fu selezionato dalla sede spagnola della Oral-B per fare cosa?

«La Oral-B, marchio della linea di prodotti per l’igiene orale della multinazionale statunitense Procter & Gamble, selezionò 10 studenti del quarto anno di corso su 300 aspiranti per realizzare un programma di igiene orale e di alimentazione nelle scuole primarie del quartiere Vallecas, uno dei più poveri della metropoli. Io fui tra i selezionati sia per il profitto sia per le motivazioni che avevo espresso nella mia domanda di partecipazione. Il programma è durato un anno. Al termine accogliemmo i bambini nella clinica odontoiatrica. È molto attrezzata. Ha 55 sedie e curammo gratuitamente le loro piccole patologie. Insieme ad alcuni colleghi organizzammo in seguito visite domiciliari, sempre per i bambini, ogni sabato pomeriggio, al termine delle lezioni».

Con quale tesi si è laureato?

«Chirurgia odontoiatrica per patologie degenerative».

La sua esperienza madrilena fu interrotta dalla pandemia da Covid-19 ed ebbe inizio un nuovo corso. Ci racconti.

«Il 20 marzo 2020 ricevetti una telefonata da un funzionario della Farnesina il quale mi comunicò che dovevo rientrare in Italia per l’emergenza sanitaria in atto. Ripresi come medico odontoiatra l’attività professionale presso lo studio di papà ma ero insoddisfatto e insofferente per le restrizioni che colpivano tutti. Conobbi una persona che si interessava di missioni umanitarie in Africa. Mi consigliò di fare l’esperienza come volontario in una di queste. Data la mia qualifica professionale potevo muovermi; inoltre avevo acquisito anche l’abilitazione di medico vaccinatore. Aderii alla Gocce d’Amore per i Bambini dell’Africa - Onlus, un’associazione no-profit che opera nell’isola di Zanzibar promuovendo e finanziando la costruzione, il mantenimento e il sostegno ricreativo di dodici asili e dei loro villaggi. Partii con la missione, che era di supporto alle precedenti fatte, e portammo cibo, vestiario e medicinali ai bimbi negli asili. Un giorno ricevemmo la visita di una delegazione della ZOP-Zanzibar Outreach Program guidata dal presidente, dottor Nowfal. È una delle organizzazioni non governative più rispettate dell’isola che conta su donazioni private locali e collaborazioni con altre Ong sia in Tanzania che all’estero. Si impegna a migliorare l’accesso della comunità all’assistenza sanitaria, all’acqua pulita e all’istruzione. Quaranta medici collaborano con l’associazione “Gocce d’amore”. In quell’occasione vidi uno di loro che aveva difficoltà nell’estrazione di un dente a un bambino. Mi avvicinai e lo aiutai. Il dottor Nowfal se ne accorse e mi chiese se volessi unirmi a loro nella missione medicoodontoiatra che stavano facendo. Accettai senza esitazioni».

Durante quella giornata visse un’esperienza indimenticabile. Ce la ricorda in breve?

«Sentii le urla strazianti di una madre che stava al di là della parete. Andai a vedere e trovai una giovane donna con in braccio una bimba ai limiti dell’anoressia che piangeva a dirotto. L’interprete mi spiegò che aveva lesioni per tutta la bocca e che non poteva mangiare. La visitai e vidi che si trattava di esostosi, ovvero di iperaccumuli di tessuto osseo. Avevo visto casi del genere sui testi ma mai in concreto. Non sapevo cosa fare. Mi venne in aiuto il dottor Nowfal e asportammo, con i pochissimi ferri chirurgici a disposizione, le numerose escrescenze ossee dalla bocca della bimba. Si chiamava Aisha, la controllammo dopo giorni e la trovammo in salute e di buon appetito. Mi regalò una collana di artigianato tribale che conservo gelosamente».

Ritornò a Zanzibar dopo quattro mesi e poi?

«Il console del Benin, l’avvocato Giuseppe Gambardella, amico di famiglia, mi propose di andare in Benin, a Natitingou con lui. Ne fui entusiasta e mi impegnai a fondo per capire la macchina organizzativa di una missione umanitaria e medica, aiutata in maniera superlativa dalla dottoressa Lucrezia Botta, responsabile delle relazioni diplomatiche internazionali. Insieme al console, poi, contribuii a curare i contatti con i ministri beninesi e con l’intero apparato burocratico di questo Stato africano. Capiti i meccanismi decisi che avrei creato un’associazione tutta mia».

Lo ha fatto?

«Rientrato in Italia ho avviato l’iter burocratico per farlo e ho fondato “Aisha”. Il nome l’ho scelto in onore della bambina che operai in Zanzibar».

Grazie al suo brillante curriculum fu contattato dalla Smom, l’associazione di Solidarietà Medico Odontoiatrica nel Mondo. Perché?

«L’associazione realizza progetti di sviluppo sanitario nei quattro continenti con l’obiettivo di ridurre la prevalenza della patologia sul territorio attraverso programmi di prevenzione primaria e secondaria. Mi chiesero di andare in Africa, a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, a fare un master ai neolaureati in odontoiatria per conto dell’Università Cattolica di Milano. In particolare dovevo trattare della chirurgia orale per consentire ai giovani colleghi di specializzarsi in questa materia. È stata un’esperienza fondamentale nel mio percorso professionale. Sono in contatto continuo con quei colleghi per dare loro consigli quando me lo chiedono».

Da poco è rientrato dalla Costa d’Avorio.

«Sono stato relatore al Senato in un incontro sull’importanza del volontariato nei rapporti umanitari tra Italia e Africa. Nell’occasione Gianluigi Gaetani d’Aragona, console onorario del Sud Africa, mi ha presentato una signora ivoriana che mi ha parlato della situazione disperata in cui versano i bambini di alcune zone della Costa d’Avorio. Non esiste assistenza odontoiatrica e molti di loro muoiono per sepsi. Il primo agosto scorso sono partito per la città di Ouragahio in missione “odontoiatrica”, per la prima volta da solo con la mia onlus. Ho portato medicinali, vestiti e anche 150 palloni di calcio. Ho fatto di tutto e di più, usando un piccolo ufficio adattato ad ambulatorio. Ho visitato oltre 600 persone tra cui 170 bambini dei quali ne ho curato almeno 70. Ho gettato il seme per creare un ambulatorio permanente e attrezzato».

Quali sono le prossime missioni che ha in programma con “Aisha”?

«Ne abbiamo previste quattro: Kenya a dicembre, Sahara occidentale a febbraio 2024, nuovamente in Benin a marzo e poi ritorno da dove sono partito, cioè Zanzibar. Nell’immediato, il 12 ottobre mi recherò in missione medico odontoiatrica in Transilvania, in Romania, a fare visita ai bambini di un orfanotrofio». Un sogno nel cassetto? «Fare diventare l’associazione “Aisha” una Ong».

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