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24 Settembre 2024 - 18:22
Grazia Palomba
Grazia Palomba è laureata in architettura e docente di disegno e disegno tecnico. Ha esperienza di libera professione a livello nazionale. È poetessa, pittrice e scrittrice. Ha pubblicato i romanzi “Nostalgie d’estate”, “Omaggio ad un incanto”, “Momenti del mio ’68 ovvero il sogno infranto”; ha pubblicato il libro di poesie “Tu sol comandi, Amor” e “Lungo il mio cammino”, raccolta di poesie e racconti. Ha esposto i suoi dipinti in Italia e all’estero (Londra, Lugano, New York, Norimberga, Roma, Napoli, Venezia, Arezzo, Forlì, Fano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Ercolano, Gubbio, Candelara); ha partecipato per due volte alla Biennale di Chianciano, dove come premio ha avuto il privilegio di esporre alla prestigiosa Gagliardi Gallery di Londra; ha vinto numerosi premi letterari e di pittura.
«Sono nata a Torre del Greco e nella città dei coralli ho studiato fino alle scuole medie. Fin da piccola mi piaceva disegnare, scrivere favole e comporre piccole poesie. Le leggevo e le recitavo in famiglia, ricevendo i complimenti da parenti e amici, cosa che mi gratificava molto. Però, allora, non avevo ancora acquisito, data la giovane età, la disinvoltura necessaria per esibirmi in pubblico. Inoltre avevo avuto un’educazione “all’antica”, per cui non mi era consentito stare tra i “grandi” senza essere autorizzata dai miei genitori. La mia predisposizione per il disegno mi convinse ad iscrivermi al Liceo artistico di Napoli a via Costantinopoli. Fu una scelta difficile perché ero consapevole dei sacrifici che avrei dovuto affrontare quotidianamente per andare e venire da Napoli. Prendevo il treno della Circumvesuviana alle 7,07. Ricordo le carrozze con i sedili di legno, molto caratteristiche, quasi da trenino di un parco giochi ma altrettanto scomode. Arrivata alla stazione terminale di Porta Nolana, un filobus mi portava a piazza Cavour, un po’ prima del Museo Nazionale; scendevo e raggiungevo l’istituto a piedi. Questo ogni giorno e con qualsiasi condizione meteo perché saltare una lezione, soprattutto quelle delle materie artistiche o di disegno tecnico e architettura, per me era impensabile».
Dopo la maturità artistica che cosa fece?
«Sostenni con risultato molto soddisfacente l’esame di abilitazione per l’insegnamento di disegno e disegno tecnico alle Medie e alle Superiori. Immediatamente dopo mi iscrissi alla facoltà di architettura dell’attuale Federico II a via Monteoliveto, che è ospitata nel famoso Palazzo Orsini di Gravina. È un inconfondibile edificio del XVI secolo caratterizzato dalla facciata in bugnato di piperno, simile a quella del vicino Palazzo Sanseverino, oggi Chiesa del Gesù Nuovo, nella omonima piazza, che però è “a punta di diamante”, e che fece la sua apparizione per la prima volta nella nostra città. Il perché di questa forma a punta aguzza trova spiegazione nella narrazione della Napoli esoterica. Ero matricola quando il 2 febbraio del 1968 la facoltà fu occupata per la prima volta. A Palazzo Gravina, durante l’occupazione, vi erano non solo gli studenti ma anche i baraccati di via Marina, che protestavano perché non avevano avuto ancora l’alloggio a loro promesso da lungo tempo».
Quale fu la sua reazione?
«Ero una ragazza che veniva dalla provincia dove il clamore del movimento studentesco, appena esploso in tutta Italia, era arrivato ovattato. Rimasi colpita dall’atmosfera in cui ero improvvisamente calata e compresi che ero diventata partecipe di un momento di trasformazione socioculturale senza precedenti. Però non sono mai stata un’estremista, anche se ho collaborato alla realizzazione di striscioni e ho partecipato ad assemblee e varie manifestazioni. Oltretutto l’obbligo di frequenza per sostenere gli esami era inderogabile e quelli del biennio comprendevano Analisi Matematica 1 e 2, Geometria Analitica, Chimica, Mineralogia, esami compositivi ed una serie di complementari. Se non si superavano, non si poteva andare avanti. Il corso di laurea durava 5 anni e prevedeva 46 esami oltre alla tesi. Mi sono laureata e ho avuto come relatore il professore Nicola Pagliara, tra i grandi maestri di architettura. Era un uomo poliedrico, istrione, dalle molteplici passioni fra le quali la musica, il cinema e la letteratura. Ha lasciato molte testimonianze del suo genio tra cui, negli anni ’90, l’aula magna della Federico II, nonché il Rettorato e l’Aula del Senato Accademico, opere di forte impatto architettonico e decorativo».
Dopo la laurea che cosa ha fatto?
«Con la mia tesi, che era un progetto per un fabbricato pubblico della mia città natale, ho partecipato a un concorso indetto dal Cnr. Questa esperienza è stata l’anticamera della mia collaborazione alla cattedra di Storia dell’arte e Storia e stili dell’architettura, con il professore Lucio Santoro, presso la facoltà. Di seguito, per alcuni anni, ho collaborato alla cattedra di Disegno per civili, con i professori Cosenza e Guerra, presso il Politecnico di Napoli. Ho partecipato e vinto vari concorsi a cattedra, per cui ho poi sempre insegnato presso diversi istituti superiori».
Ha ricoperto anche un’importante carica nell’amministrazione di Torre del Greco.
«Dal 1995 sono stata prima membro e poi presidente della I commissione edilizia “219”, dei danni conseguenti al sisma del 1980».
In parallelo ai suoi impegni professionali non ha mai trascurato la sua passione per l’arte e ha cercato sempre nuove spinte creative nella pittura, nella prosa e nella poesia, anche quando si è sposata ed è diventata mamma di due figli.
«Da liceale, a metà degli anni ’60, ho partecipato alla I “Mostra concorso di arti figurative per studenti di licei ed istituti d’arte” presso la sala S. Antonio del Brancaccio a Torre del Greco; nel 1965, a soli diciassette anni, ho tenuto la prima personale a Villa Yaeko a Torre del Greco; nel 1966 ho partecipato alla IV rassegna d’arte presso il circolo universitario di Torre Annunziata. Nel 2008 nel Centro d’arte mediterranea in via Marconi a Torre del Greco ho presentato un particolare ciclo ispirato al mondo classico, che ha riscosso un grande consenso ed una rilevante presenza di visitatori. Nel 2016 ho esposto alle Scuderie del Quirinale a Roma nell’ambito delle manifestazioni per il Giubileo degli Artisti “Dal Volga al Tevere”. Ho esposto poi in molte altre collettive e personali. Le divinità greche e gli eroi con le loro armature sono sempre stati ispiratori di dipinti, in cui li rappresento in una realtà contemporanea. La maggior parte dei critici ha apprezzato il mio stile e per tutti cito il professore Luigi Jannelli che ha scritto: “Grazia Palomba espone in una serie di impressioni pittoriche il frutto di una concreta elaborazione artistica. È la prima volta che affronta, con una personale, il giudizio del pubblico non meno esigente con i piccoli che con i grandi e lo affronta con la coscienza di un lavoro compiuto per l’arte e nell’arte, in una armonica composizione di prospettiva e di colore, in un gioco a volte potente di luci e di ombre, a volte tenue come il lieve colore dei petali di un fiore. È una giovanissima; ha dipinto con l’animo proteso al meglio, anzi all’ottimo, e col cuore”».
Quali sono stati i suoi maestri?
«I più significativi li ho avuti al Liceo artistico. In particolare, Mario Colucci, Armando De Stefano, Carmine Di Ruggiero e Gianni Pisani».
Quando ha debuttato ufficialmente come poetessa?
«Tanti anni fa con una silloge di poesia d’amore. Partecipai per curiosità al Premio nazionale “Histonium” di poesia e narrativa a Vasto ed ebbi un importante premio. Poi ne ho accumulato ancora 13 tra nazionali e internazionali».
Il primo libro di che anno è?
«Ho scritto il primo romanzo, “Nostalgie d’estate”, nel 2011. Come per le poesie anche la narrativa ha come fil-rouge l’amore per la vita, le persone, la natura in ogni sua declinazione».
L’ultimo suo lavoro letterario è di quest’anno. Si differenza dagli altri. Perché?
«Sono ricordi espressi in una serie di racconti attraverso i quali tento una ricostruzione del Sessantotto. Scrivo testualmente: “Mi ricordo che all’inizio della primavera del 1968 avrei dovuto ascoltare una lezione in un’aula della facoltà di Architettura della Federico II insieme con compagni di corso; la lezione non ebbe luogo perché la facoltà venne occupata. Di quei giorni così particolari ho un ricordo di Napoli nel contempo affascinante e fortemente emozionale”. Nella sua prefazione Giovanni Cardone, saggista e critico dell’arte, dice che la mia narrazione “ha evidenziato con grande passione che in ogni epoca le nuove generazioni, stimolate con giuste prassi e metodologie affascinanti, volgono con interesse lo sguardo al passato, leggendolo anche in modo nuovo e originale, e ne traggono spunto per il futuro”».
Fa riflettere che lei introduca il suo libro con l’“Ode alla Pace” di Pablo Neruda. Perché questa scelta?
«Considero la pace come alta espressione dell’amore che, come ho detto, sottende tutti i miei lavori artistici ed anche l’ultimo libro ne è pervaso in maniera subliminale. Ho sentito l’Ode di Neruda come mia perché, come lui, affermo che “le guerre sono fatte da persone che uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono”. La sua poesia è una preghiera alla quale mi unisco, affinché i conflitti bellici in tutto il mondo possano finalmente finire».
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