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24 Settembre 2024 - 19:19
Nicola Annunziata
Nicola Annunziata è avvocato civilista abilitato al patrocinio innanzi alla Corte di Cassazione e alle altre Magistrature superiori. È uno sportivo e ha praticato il tennis a livello agonistico. Ha la passione per la letteratura classica ed è un acceso lettore. Da venti anni pratica yoga. Coltiva e colleziona bonsai.
«Nasco e vivo a San Giuseppe Vesuviano da una famiglia profondamente radicata nel territorio e sono figlio d’arte. Mio padre era un noto e stimato avvocato civilista. Ho frequentato le scuole inferiori nel mio paese, poi mi sono iscritto al liceo classico Diaz, nella vicina Ottaviano, un liceo di lunga tradizione, una vera eccellenza. Fin dai tempi dell’infanzia sono stato uno sportivo e ho praticato nuoto, calcio e sci. Lo sport è una passione che avevo nel dna, papà era stato un calciatore di buon livello e aveva giocato anche in serie C con la Sangiuseppese. Verso i quattordici anni, mi innamorai del tennis. Erano i gloriosi tempi di Adriano Panatta e mi incantavo davanti al televisore a guardare le sue partite. Al termine scendevo nel garage, impugnavo la mia “Wip Panatta” di legno e giocavo da solo: il mio avversario era il muro. Quando andai al liceo conobbi compagni di scuola che avevano la mia stessa passione e cominciammo a giocare insieme al Circolo Tennis Falangone, diventato famoso con una squadra che ora gioca in serie A. Nonostante fossi un autodidatta, mi dicevano che ero bravo e i tecnici del circolo mi spinsero a iscrivermi ai primi tornei agonistici. Ho giocato a buoni livelli fino alla laurea poi, l’inizio dell’attività professionale, mi costrinse a interrompere l’agonismo. Nel periodo adolescenziale coltivai l’hobby della “meccanica” e mi appassionai alla lettura».
Per quanto riguarda la lettura, quali libri preferiva?
«Nonostante la giovane età in cui solitamente si legge Salgari e Verne, prediligevo gli autori classici italiani e stranieri tra cui Pirandello, Stendhal, Tolstoj, Dostoyevscki, Orwell. L’unico che non sono riuscito a “digerire” è stato Joyce. Per finire il suo “Ulisse” ho impiegato veramente tanto tempo. Leggere è una mia grande passione sin da ragazzino; ricordo che durante il periodo natalizio ero capace di leggere quasi un libro al giorno. Oggi a casa ho una ricca biblioteca che conta più di duemila testi di vario genere. Senza presunzione posso dire, con Socrate, “so di non sapere”: un’ignoranza intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, che accende il desiderio di conoscere».
Ritornando agli studi, dopo la maturità classica scelse subito di iscriversi a giurisprudenza?
«Mi piacevano molto la matematica e le altre materie scientifiche per cui mi iscrissi a ingegneria. Dopo il primo anno però abbandonai questa facoltà».
Perché?
«Avrei dovuto trasferirmi a Napoli per poter seguire tutti i corsi ma soprattutto mio padre mi impose un aut aut. Mi disse: “Se tu non intendi seguire le mie orme, sarò costretto a chiudere lo studio”. Le sue parole mi fecero riflettere. Erano anni difficili per il nostro paese. Da poco si era consumato il rapimento e il tragico assassinio di Aldo Moro; la strage di Bologna era drammaticamente viva in tutti noi; l’inquietante messaggio contenuto nel libro di Orwell, e il pensiero che il protagonista, per leggere i libri messi all’indice dal “Grande Fratello”, si era dovuto rinchiudere in uno stanzino, si riaffacciarono prepotentemente nella mia mente. Mi convinsi che lo studio del diritto, soprattutto quello che sottende le varie carte costituzionali, e delle logiche alla base delle forme di governo di altre nazioni, mi avrebbero aiutato a trovare l’orientamento nel caos che regnava nel nostro paese e fornito una spiegazione sul perché accadessero mostruosità di tale portata, profondamente contrarie ai principi democratici e proprie invece dei regimi dittatoriali. Mi iscrissi perciò a giurisprudenza scegliendo un indirizzo giuspubblicistico in cui era fortemente presente il “discorso” filosofico e costituzionale».
È stata una decisione vincente?
«Dopo la laurea cominciai la pratica forense e il tirocinio nello studio di mio padre, cercando comunque di ritagliarmi uno spazio per continuare le mie ricerche».
Suo padre era civilista. Si occupava di questioni particolari?
«Era un civilista vecchia maniera per cui si occupava del civile in tutte le sue declinazioni. Godeva di grande stima, sia come uomo che come professionista. I suoi clienti erano soprattutto imprenditori, perché San Giuseppe Vesuviano è un paese ricco di attività commerciali. Le questioni che gli sottoponevano erano di varia natura: diritto patrimoniale, commerciale, di famiglia, diritti reali, ma anche obbligazioni, recupero crediti e azioni esecutive. Per me c’era tanto da scegliere per le mie ricerche e i miei approfondimenti. Papà è stato il mio mentore e il mio grande maestro, generoso di preziosi consigli e severo nel giudizio. Quando papà è mancato sono diventato il titolare dello studio e, seguendo il suo esempio, continuo a fare ricerca, studio e approfondimento con la sua stessa determinazione e tenacia, orgoglioso, talvolta, di riuscire, con i miei “ragionamenti”, a modificare l’orientamento di un giudice che inizialmente appariva sfavorevole».
È un avvocato yogin. Quando si è avvicinato alle pratiche ascetiche e meditative?
«Venti anni fa la mia fame di conoscenza, stimolata anche dai fatti della metà degli anni ’70 e ’80 e dalla rilettura più matura dei testi di Orwell, cui è seguito il mio rifiuto verso ogni forma di omologazione, mi aveva spinto a leggere testi sulla cultura orientale, quelli del Dalai Lama sul Buddismo, di Laozi e Zhuāngzǐ sul Taoismo. Queste letture hanno modificato molto il mio pensiero e il mio stile di vita».
Che cosa è lo Yoga?
«Non è una religione ma una disciplina millenaria, le cui origini risalgono alla filosofia dell’India dei Veda, tra le opere letterarie più antiche della storia del mondo. Veda è una parola sanscrita che indica la sapienza, nella doppia concezione di sapere sacro e sapere pratico, le due cose inscindibili nel pensiero indiano: se faccio, capisco; se ho esperienza, conosco; la comprensione profonda del mondo passa attraverso la coscienza radicale della mia mente e del mio corpo che sono interconnessi e, dunque, si influenzano a vicenda».
Qual è il suo fine?
«Concertare le voci dissonanti del corpo e della mente, rendendo armonica ogni divergenza attraverso un’educazione dolce all’ascolto profondo di sé. Ciò vuol dire allenarsi a tirare fuori la potenzialità positiva della mente, mettendola in condizione di fare il miglior lavoro possibile per raggiungere il benessere psicofisico, utilizzando gli strumenti che ha a disposizione nelle circostanze che esistono qui e ora».
Lo si può definire una filosofia che determina uno stile di vita?
«Assolutamente sì e il suo principio fondamentale è l’impermanenza: nulla è permanente, nemmeno il dolore fisico, tutto continua a mutare, tutto è passeggero. Invece di attaccarci in modo giudicante, occorre restare, scorrere e osservare il mutamento perché l’unica costante è il cambiamento. Concetto che determina i precetti fondamentali: lascia andare, non giudicare, non ostacolare, non cercare di modificare. Rispettandoli si ottiene il superamento della concezione dualistica della vita: bello-brutto, buono-cattivo, bene-male… che è spesso causa della nostra infelicità».
Lei dice che questa filosofia sottende anche la sua professione.
«È la mia sfida quotidiana. Mi sforzo di raggiungere il giusto equilibro tra la razionalità che sottende il mio lavoro e i principi dello Yoga. Per questo motivo periodicamente sento il bisogno di partecipare a qualche ritiro per ricaricarmi».
Legge tantissimo. C’è qualche libro al quale è legato particolarmente?
«In assoluto “La Saggezza del Tao” di W.W. Dyer, libro che consiglio spesso di leggere ai miei amici. Tuttavia, per chi volesse approcciarsi al pensiero filosofico, suggerisco “Il mondo di Sofia” (titolo originale Sofies verden), sottotitolato Romanzo sulla storia della filosofia (Roman om filosofiens historie), un romanzo filosofico scritto da Jostein Gaarder e pubblicato nel 1991. È un romanzo e nel contempo un breve trattato sulla storia della filosofia, scritto in maniera discorsiva e di facile lettura. Infatti, ritengo che la filosofia possa insegnarci a vivere meglio e sia più efficace di qualunque farmaco, come sostenuto dal filosofo Marinoff nel suo libro “Platone è meglio del Prozac”, di cui ugualmente consiglio la lettura».
Oltre allo Yoga ha altri interessi?
«Continuo a giocare a tennis con gli amici, coltivo bonsai e quando posso viaggio con la mia famiglia, ma in valigia porto sempre più di un libro».
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