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I PERSONAGGI
25 Novembre 2024 - 12:05
Pina Amarelli
È presidente onoraria della Amarelli srl fabbrica di liquirizia dal 1731. È componente del Cda della Fondazione Santobono Pausilipon e testimonial dell’Unicef per la Calabria nonché membro della Fondazione Tiche, Technological Innovation in Cultural Heritage, con la partecipazione di Università e Centri di ricerca. È presidente emerito dell’associazione Les Hénokiens, con sede a Parigi, che riunisce le pochissime aziende bicentenarie di tutto il mondo appartenenti sempre alla stessa famiglia.
Nel prestigioso palmares di Pina Amarelli si contano oltre 70 premi tra cui spicca quello conseguito nel 2022 dal titolo “Semplicemente Donna” che viene assegnato a donne che rappresentano modelli femminili esemplari per i valori positivi di cui sono portatrici. È Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica e, prima donna in Calabria, Cavaliere del Lavoro. È giornalista pubblicista.
«Sono nata a Napoli e il mio arrivo fu salutato in famiglia come un segnale di speranza nei mesi più bui che precedevano la fine della seconda guerra mondiale. Nella città partenopea i bombardamenti aerei erano incessanti, tanto che fui battezzata il giorno successivo alla mia nascita. Ho avuto due genitori fantastici, mio padre avvocato di origine pugliese di ottimo carattere appartenente a una famiglia numerosa e affiatata tutta ormai residente a Napoli; mia madre di importante famiglia fiorentina molto attenta alla nostra educazione ma nello stesso tempo di impronta moderna, che si era stabilita a Napoli per amore ma anche ammaliata da questa città. Due genitori particolarmente partecipi, che hanno dato a me e alle mie sorelle più piccole, Giancarla e Valeria, una splendida infanzia. Scuola in uno dei migliori istituti religiosi di Napoli, tante belle amicizie, alcune ancora durature nel tempo, infinite occasioni di incontro, allegre festicciole. Un ricordo indelebile fu la conoscenza con quello che era stato il primo Capo provvisorio della neonata Repubblica italiana, l’avvocato Enrico De Nicola, amico di mio padre, uomo austero e di antica signorilità. Avevo grandissima soggezione nell’avvicinarmi, ma lui mi tese elegantemente la mano, chiamandomi “signorina” e facendomi arrossire ancora di più, avendo all’epoca non più di sette anni! Arrivata alle medie cominciavo ad avere voglia di evadere dal mio piccolo mondo ovattato e chiesi ai miei genitori di poter frequentare le scuole in un istituto pubblico. La mia richiesta fu male accolta dalle suore che, avendo capito che avevo un carattere fermo e libero, miravano a fare di me non una loro consorella ma, con grande intuizione, una dirigente dell’Azione cattolica. Solo in terza media riuscii a iscrivermi alla nuovissima scuola annessa allo storico liceo classico vomerese Jacopo Sannazaro, dove ho proseguito i miei studi ginnasiali e liceali».
Perché quest’indirizzo?
«Lo scelsi senza esitazione, perché amavo la letteratura e la storia e avevo già conoscenza del latino attraverso le preghiere e i riti religiosi. D’altronde seguivo anche una tradizione familiare paterna, con antenati giuristi importanti, e non mi sentivo attratta dagli studi scientifici, sempre stati più congeniali alla famiglia materna insieme ad una notevole vena artistica».
La tradizione familiare e paterna contribuì alla scelta della facoltà universitaria?
«La passione per il diritto dovevo averla nel dna perché dopo una più che brillante maturità, vero spauracchio della meglio gioventù dei favolosi anni Sessanta, nel settembre 1963, senza alcun dubbio, mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza dell’attuale Università di Napoli Federico II. Eravamo pochissime ragazze, tutte molto determinate. Mi appassionai alle materie romanistiche, supportata dai miei ottimi studi classici, tanto da sostenere la tesi di laurea su un testo della giurisprudenza romana e mi laureai con il massimo dei voti, la lode e il plauso della commissione nel 1967».
Acquisito il diploma, che cosa decise di fare?
«Ero già pronta a presentare la domanda per il concorso in magistratura, che da pochissimo era stato finalmente aperto alle donne, ma nel contempo mi fu proposto di rimanere dell’Università e non esitai ad accettare. All’epoca non esistevano corsi di specializzazione, ma ero già stata interna all’istituto di Diritto romano e avevo anche partecipato a una pubblicazione di gruppo. I miei maestri sono stati grandi accademici dell’epoca, il professore Antonio Guarino che tutti ricordano per la sua severità, il professore Francesco De Martino, presidente del Consiglio dei ministri e il professore Mario Lauria. Superai il concorso e divenni assistente. Contemporaneamente sostenni, con eccellenti risultati, l’esame di abilitazione alla professione forense».
Si avviò, quindi alla libera professione?
«Iniziai subito a collaborare nello studio di mio padre, specializzato in diritto civile, commerciale e fallimentare, dividendomi con il mio ruolo di assistente univeritario».
All’università incontrò il compagno della sua vita.
«Sì, e nel 1969 ci siamo sposati. Ha fatto una brillante carriera universitaria come professore di storia del Diritto romano alla Federico II di Napoli e come professore di Ius Romanum presso la Pontificia Università Lateranense. È originario di una famiglia calabrese che, secondo documenti storici, commercializzava radici di Glycyrrhiza Glabra, la liquirizia dolce, già nel XVI secolo, e mi ha fatto scoprire una regione a me ignota. Con la mia passione per la storia iniziai subito a studiare i documenti dall’archivio di famiglia, dichiarato successivamente di interesse storico nazionale dal Ministero. Questo ha segnato una svolta nella mia vita in quanto negli anni ’70, avevamo già due figli, cominciai a seguire la comunicazione in azienda avendo un minimo di strumenti derivati dalla mia esperienza di giornalista pubblicista. Così, quando nel 1986 finì in pochi giorni il fratello maggiore di mio marito, ci trovammo con un cugino a dover seguire l’esaltante ma complessa gestione di un’azienda, affiancando mio suocero già ultraottantenne. Da quel momento la mia vita cambiò!».
Perché?
«Innanzitutto sono finita agli onori delle cronache perché, pur avendo i due forti handicap di essere donna e di operare in Calabria, con il mio ruolo nell’azienda avevo destato grande curiosità nei mass media. Nel frattempo ho avuto la possibilità di fare una serie di altre importanti esperienze. Fui eletta nel consiglio comunale di Napoli subito dopo Tangentopoli, quando la città fu radicalmente cambiata con Antonio Bassolino sindaco, un momento magico con grandi accademici e importanti professionisti tutti impegnati nel governo cittadino. Nel 1996 Romano Prodi, che si candidava a presidente del Consiglio, mi volle con lui e con Sergio Zoppi nella terna del listino proporzionale per Campania 1. Fu un momento di grande entusiasmo popolare che vedeva nell’Ulivo un programma capace di cambiare il nostro Paese. Indimenticabile l’emozione di parlare in un comizio prima di Giorgio Napolitano, presidente uscente della Camera dei deputati, e di incontrare il gotha della politica italiana, con il sottofondo della “Canzone popolare” di Ivano Fossati che accompagnava le varie riunioni. All’alba di un giorno del giugno 1999, poi, ricevetti una telefonata di Antonio Bassolino che mi chiedeva con urgenza di accettare la nomina a consigliere di amministrazione dell’Azienda Napoletana Mobilità, decapitata da un’inchiesta poi finita fortunatamente nel nulla. Ero in partenza per New York e gli promisi che, appena rientrata, sarei andata a firmare l’accettazione. Iniziai così un’altra esperienza durata fino al 2010, integrata poi dalla nomina nel Cda della nuova metropolitana dell’arte di Napoli. Ho potuto conoscere il mondo dei trasporti, affascinante ma molto complesso, e ho portato anche in quella sede le mie competenze giuridiche, introducendo il modello organizzativo ex Dlgs 231/2001 circa la responsabilità penale delle persone giuridiche, presiedendo il relativo organismo di Vigilanza fino al 2018».
La sua presenza in azienda ne risentì?
«Non avevo mai abbandonato l’impegno in azienda, dove salutammo il terzo millennio con l’inaugurazione del “Museo della liquirizia Giorgio Amarelli” nell’estate del 2001 che ha sede nel Palazzo Amarelli, importante residenza d’epoca. La sua origine si fa risalire ad un mitico Ansoise e il cui primo esponente, storicamente accertato, fu Alessandro, crociato nel 1101. Questo piccolo ma significativo museo, premiato subito con il Premio Guggenheim Impresa & Cultura, ci ha dato immense soddisfazioni. Molto divertente quella sera l’incipit del Tg 3 Calabria, che aprì con l’altisonante titolo “Amarelli trionfa a Venezia”. Qualche anno dopo, nel 2004, venne dedicato un bellissimo francobollo, della serie “Il patrimonio artistico e culturale italiano” per celebrare il nostro Museo, ormai meta di visitatori italiani e stranieri tanto da diventare il secondo museo d’impresa dopo quello della Ferrari di Maranello».
È stata componente del Cda di molti altri enti.
«Nel 2012 sono stata eletta in quello della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, dove ho maturato un’importente esperienza che mi ha consentito di essere nominata nel 2020 presidente a Napoli della Banca Regionale di Sviluppo, in forte crisi, ma a fine 2022 sono riuscita a non far mettere in liquidazione facendo una fusione per incorporazione nella Banca di Credito Popolare, salvando la reputazione e il personale. Sono stata nel consiglio direttivo del Touring club italiano, nel consiglio dell’Università Parthenope in rappresentanza del Ministro e poi in quello dell’Orientale. Ho contribuito a fondare l’Unione Imprese Centenarie a Napoli e a Firenze. Ho partecipato dall’inizio all’Associazione Museimpresa, con sede a Milano presso Assolombarda, sorta quasi in contemporanea con il nostro museo, e all’Aidaf, Associazione italiana delle aziende familiari, collegata al network mondiale FBN, family business network. Nominata membro aggregato dei Georgofili a Firenze, sono divenuta successivamente socio ordinario, conoscendo così in maniera più approfondita l’affascinante mondo dell’agricoltura».
È stata anche nel Cda del Teatro Nazionale e in Confindustria.
«Ho anche conosciuto il mondo dello spettacolo dal vivo con la nomina, voluta dal sindaco de Magistris, a vicepresidente del Teatro Stabile Nazionale di Napoli, lo storico Mercadante ed il San Ferdinando. Per quanto riguarda l’impegno in Confindustria ho ricoperto il ruolo di presidente della sezione agroalimentare di Cosenza e, dalla sua creazione, sono stata sempre componente della Commissione cultura, ora diventata Gruppo Tecnico in diretta relazione al presidente nazionale».
È molto presente anche sul fronte dei diritti delle donne.
«Da diversi anni sono parte attiva in Adsi, Associazione delle Dimore Storiche Italiane, che valorizza un patrimonio unico dell’Italia, dove sono a livello nazionale membro della Giunta e del Consiglio. In quest’ultimo anno e con un gruppo di donne fantastiche, ho ripreso l’associazione Ande (Associazione nazionale donne elettrici), nata per ottenere il voto per le donne, e abbiamo deciso di rivitalizzarla dato l’attuale scarso interesse per la politica, spingendo le donne ad una partecipazione attiva, assolutamente non partitica, ma che consenta di portare un contributo positivo nel contesto attuale».
Quanto le sono servite queste esperienze associative nell’azienda “Amarelli”?
«Sono state fondamentali per inserire azienda e museo in contesti innovativi e molto vasti, creando forti sinergie e ricevendo una incredibile visibilità, tanto che ormai sono per tutti “Lady Liquirizia”».
Come impegna il tempo libero?
«Adoro dedicarmi alla famiglia, alle nostre quattro deliziose nipoti, alla lettura e al sociale. Amo viaggiare in Italia e all’estero. Sono appena reduce da un piccolo tour della Turchia, fra Istanbul e Ankara dove, ospite dell’Ambasciatore italiano, ho presentato la nostra storia di antica tradizione ma di costante innovazione e ho partecipato ad un bilaterale con una brillante imprenditrice turca del settore sanitario, mettendo a confronto il ruolo femminile nei due Paesi, veramente molto interessante».
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