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Francesco Pecci, oncologo per passione

«Fin da giovane volevo sconfiggere la “Signora Morte”»

Francesco Pecci, oncologo per passione

Francesco Pecci (nella foto) è laureato in medicina al II Policlinico di Napoli, oggi Federico II, con 110 e lode, tesi sperimentale e bacio accademico. Si è poi specializzato in oncologia. Vincitore di concorso pubblico ha sempre operato nelle pubbliche amministrazioni sino all’anno della pensione.
«Nasco in una piccola clinica di poche stanze, sita al di sopra dell’attuale cinema Acacia, al Vomero, da Antonio, importante letterato e latinista napoletano, anzi “posillipino” ma con origini lucane allievo di Arnaldi e Benedetto Croce, e da Rosalba Valdrè, livornese pedagoga e insegnante delle scuole primarie. Ho frequentato le scuole inferiori e superiori negli istituti del quartiere collinare impegnandomi sempre negli studi e ottenendo ottimi risultati senza, però, trascurare lo sport che è ancora oggi una componente importante del mio stile di vita. Ho il mare nel sangue e per questo motivo ho iniziato da piccolo a praticare nuoto e poi pallanuoto. Quando mio padre fu nominato preside di un’importante scuola di Ischia ci trasferimmo per un lungo periodo nell’Isola Verde e lì ho continuato il mio perfezionamento in nuoto subacqueo conseguendo numerosi brevetti federali PADI. Ho fatto anche una breve esperienza velica e canoa da discesa, ma il mio grande amore è stata ed è la pesca di superficie e quella subacquea».

Dopo la maturità classica conseguita allo storico liceo...

«La scelta fu dettata dal fatto che sin da giovane volevo sconfiggere la “Signora Morte”e avrei fatto qualsiasi tipo di studio pur di diventare oncologo. Laureatomi brillantemente, pur avendo vinto ben 3 concorsi alle scuole di specializzazione (allora, nell’82 si poteva fare) cioè quella di Igiene, quella di Malattie Infettive e quella di Oncologia medica, optai per quest’ultima, diretta allora da Lello Bianco. Avevo collaborato per anni come interno con Francesco De Lorenzo nell’ambito delle ricerche portate avanti nei suoi laboratori dove, oltre alla linea di ricerca sulle malattie congenite neonatali, avevo lavorato ad un filone di ricerca, all’avanguardia per l’epoca, che si occupava di mutagenesi e cancerogenesi chimica. Ma non mi bastava».

Quindi che cosa fece?
«Le piccole grandi scoperte fatte da Franco De Lorenzo, prima in Usa e poi in Italia, che segnavano continue vittorie nel cammino verso la conoscenza e la sconfitta sulle malattie tumorali, cui pure in minima parte avevo partecipato, non appagavano completamente il mio sentimento di volere essere ancora più concretamente e direttamene coinvolto nella sfida tra le più difficili ma anche più affascinanti della medicina, e cioè quella contro la “Grande Mietitrice”. Questa scelta, allora considerata “scellerata” dai miei genitori si è poi rivelata vincente».

In che senso?
«Il contatto quotidiano con il dolore e il fine vita hanno fortemente condizionato e modellato il mio carattere nonché il mio atteggiamento verso l’esistenza e verso gli altri. Da un punto di vista poi, professionale e di crescita culturale, esso mi ha regalato esperienze, ai miei occhi, di incommensurabile valore umano. Il desiderio di conoscenza, l’ansia di cercare ogni giorno di vincere almeno una partita contro “la più grande giocatrice di carte”, mi hanno portato a collaborare con i più grossi centri oncologici e/o di ricerca dall’Italia alla Svezia, dagli Usa alla Germania ed al Regno Unito, etc. Vincere contro di lei anche un sol giro di carte, mi dava la forza per continuare, oltre le tante partite che perdevo. Credo profondamente di essere in questo stato aiutato anche molto dalla Divina Provvidenza che, fattasi Amore, ha congiunto il mio operato alla fiducia e speranza che i miei pazienti riponevano in lei ed in me, facendomi/ci raggiungere traguardi di cura oltre ogni limite atteso».

Dopo aver svolto la professione in ambito prima universitario e poi ospedaliero incontrò sul suo percorso un noto manager della sanità campana.
«Pietro Cerato, uno dei miei mentori. È stato un mio grande direttore prima Sanitario e poi Generale. Mi “portò via dalla clinica” e mi volle a dirigere alcune strutture della Asl che dirigeva. Intanto la “Signora in Nero” mi privava in poco tempo dell’affetto di tutti i miei cari: 5 morti di tumore nel giro di pochi anni, quasi a volersi vendicare di quante anime ero riuscito a strapparle. Ma, ancora incredulo e sgomento di essere rimasto solo al mondo, iniziò una delle più belle stagioni lavorative della mia vita».

Ci racconti.
«Ricevetti una telefonata, alla quale all’inizio risposi anche male credendo fosse uno scherzo, con cui mi comunicarono che sarebbe stata gradita la mia presenza quale tecnico esterno c/o l’assessorato alla Sanità della Regione Campania. Lì incontrai Bruno Zamparelli, lo stratega della cabina di regia tecnica per l’area Assistenza Sanitaria dell’assessorato già da anni. Divenni da subito il suo più stretto collaboratore. È stato maestro, amico, insegnante e guida per le mie future scelte non solo in ambito professionale ma anche umano».

Tra le molteplici iniziative messe in campo con lui negli anni a seguire, quale ricorda con maggiore soddisfazione?
«La fondazione della SIHHS (Società Italiana di Healt Horizon Scanning) di cui, come Segretario nazionale ancora mi occupo, divenendo, come esperto per questa materia, professore universitario a contratto all’Università di Fisciano».

Sul finire degli anni ’90 è entrato a far parte del Corpo Militare del Sovrano Militare Ordine di Malta. Che relazione c’è con il suo essere medico oncologo?
«Venni a sapere che esiste una Convenzione risalente al 1949 tra lo Stato Italiano e l’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta. È un accordo internazionale, rinnovato nel tempo, che disciplina i rapporti tra il Servizio Sanitario Nazionale italiano e le strutture sanitarie dell’Ordine, gestite in Italia dall’Associazione Italiana, ente di diritto pubblico melitense, l’Ospedale San Giovanni Battista a Roma alla Magliana, i numerosi Centri Antidiabetici e Poliambulatori in diverse città italiane. In particolare, il Corpo Militare dell’Associazione è un Corpo Speciale Ausiliario dell’Esercito Italiano che è gestito in collaborazione tra l’Ordine di Malta e la Repubblica Italiana. Il suo scopo istituzionale, sancito nella Convenzione è quello di: “...cooperare con l’Esercito Italiano per lo svolgimento di attività di soccorso sanitario in circostanze di guerra, pubblica calamità e di emergenza, sia all’interno del territorio nazionale, sia nel corso di missioni umanitarie e per il mantenimento della pace al di fuori del territorio nazionale”. Tale convenzione prevede che un pubblico dipendente del comparto sanità, previa ratifica dell’accordo da parte del proprio datore di lavoro, una volta entrato nei ruoli del Corpo Militare Ausiliario dell’Esercito denominato A.C.I.S.M.O.M. possa venire richiamato, attraverso regolare precetto militare, in servizio effettivo e temporaneo per un dato spazio temporale al fine, ognuno con le proprie competenze e grado, di operare, a seconda delle esigenze, di concerto con il personale militare. Cessata l’esigenza di servizio, il militare ritorna a svolgere il proprio lavoro nell’azienda di appartenenza, riacquistando la condizione giuridica di “civile”. Lo spirito di puro volontariato in soccorso dei bisognosi che anima gli appartenenti a questo Corpo Militare, si attanagliavano al mio stile di vita e professionale, per cui accettai con entusiasmo di entrarne a far parte».

È stata un’esperienza significativa?
«Sì, ed è durata sino al 2021. È stata l’occasione per fare conoscenze e imparare pratiche che mai da civile avrei potuto ottenere, il tutto nello spirito del volontariato più puro. Nei periodi in cui ho prestato servizio, infatti, ho potuto acquisire capacità tecnico professionali, non solo in ambito militare, ma anche e soprattutto aderenti al mio ruolo di medico, quale il corso di MEDical EVACuation (Med Evac), atto a formare il personale militare per servizio di triage, caricamento e trasporto a mezzo aeromobile di persone ferite da un luogo ad un altro, anche in zone di conflitto, per prestare le cure mediche necessarie, (AirMedEvac). Potrei citare tanti i momenti che ho condiviso con i miei “compagni di viaggio”, medici e non del Corpo Militare nello svolgere funzioni di alto livello applicativo e tattico».

Il momento più vivo nei suoi ricordi?
«Quando fui selezionato dall’allora comandante generale del C.M. per partecipare al 120° Corso di Qualificazione per Ufficiali inferiori (all’epoca ero S.Ten. med.) per il conseguimento della qualifica di “Addetto alla Difesa NBC” (Nucleare, Biologica e Chimica). Il corso si tenne a Rieti, in un inverno particolarmente rigido. Ricordo che, a detta dei militari in Servizio Permanente Effettivo che avevano partecipato alle precedenti “edizioni”, il mio corso fu molto più performante. Era trascorso poco tempo dall’11 settembre del 2001 quando furono abbattute le Torri Gemelle, e la particolare mission del corso era di formare addetti militari che potessero avere le competenze necessarie atte al contrasto di attività criminose messe in campo da singoli e/o da gruppi di persone attraverso appunto l’utilizzo di materiale nucleare, biologico e chimico. Gli sforzi fisici (non era prevista alcuna assenza al corso), quelli economici (a differenza degli altri militari in servizio permanente effettivo non percepivo alcuna diaria di rimborso spese in quanto appartenente ad un corpo volontario) furono però ben ripagati sotto il profilo umano. Conseguii il diploma dopo i rigidissimi esami finali classificandomi al secondo posto della graduatoria. Il Corso terminò il 19 dicembre e il Natale che venne è stato uno dei più belli della mia vita».

Quel diploma le è servito per conseguire altre gratificazioni umane e professionali.
«Con somma sorpresa ebbi il privilegio di ricevere l’incarico di svolgere delle conferenze tematiche proprio nella Scuola NBC di Rieti che mi aveva visto allievo. Successivamente ho lasciato anche una “testimonianza” nella mia amata Napoli perché ho tenuto analoghe conferenze anche alla gloriosa Scuola Militare Nunziatella».

Ha fatto anche un’esperienza professionale nel mondo del cinema.
«Sì, ma di genere ben diverso. La Ripley Productions LTD volle che seguissi, come medico personale, gli attori Gwineth Paltrow, Matt Damon e Jude Law, i tre protagonisti del film “Il talento di Mr. Ripley” per tutta la durata delle riprese girate tra Ischia, Napoli e Procida».

Attualmente sta vivendo un’altra importante avventura.
«Dalla mia vita ho ricevuto in dono veramente tanto. Da circa un anno ho deciso quindi che era giunto il momento di condividere tali doni con gli ultimi e i più bisognosi. Con profonda gioia mi occupo “pro bono” della Piccola Opera della Divina Provvidenza di Don Orione, un istituto religioso maschile di diritto pontificio con sedi in tutto il mondo. Io vado in quella di Savignano di Ariano Irpino e chiunque viene a trovarmi è accolto come “uno di famiglia”».

Oltre alla pesca, nutre altri interessi?
«C’è un hobby che mi accompagna da sempre e che è diventato quasi un secondo lavoro: le arti figurative (Ottocento napoletano e fiammingo), il collezionismo e il mondo delle memorabilia. Continuo a dedicarmi alla pesca, compatibilmente con la stagione e nuoto con costante frequenza al Circolo Canottieri Napoli di cui sono socio».

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