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I PERSONAGGI

Cioffi, ortopedico per amore “a prima vista”

«La terapia rigenerativa con cellule staminali è entusiasmante»

Cioffi, ortopedico per amore “a prima vista”

Luigi Cioffi

Luigi Cioffi è medico chirurgo, laureato cum laude, presso la Sun, oggi Università Luigi Vanvitelli. Vincitore di concorso per la Scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia e per quella in Neurochirurgia, si è specializzato in Ortopedia e Traumatologia. Ha acquisito capacità e competenze professionali in Italia, Europa e Stati Uniti.

Relatore e moderatore di congressi nazionali e internazionali, è particolarmente esperto nella chirurgia protesica di anca e ginocchio, nella chirurgia rigenerativa, utilizzando le cellule staminali, e nella chirurgia del piede. È direttore della III Ortopedia e Traumatologia a indirizzo rigenerativo con incarico di sostituzione di direttore di UOC dell’“Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli” - Ospedale Cto. Nel 2022 ha frequentato il XXXI Corso di formazione Manageriale per Direttori Sanitari e Direttori di UOC di Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale superando l’esame finale. È autore di numerose pubblicazioni specialistiche.

«Sono “un mezzo polentone” per essere nato a Ferrara da un papà noto neurochirurgo napoletano, motivo per il quale i miei primi anni di vita li ho trascorsi in giro per il Nord Italia. La cara mamma, invece, è una semplice casalinga che amorevolmente ha cresciuto me e le due care sorelle Emma, logopedista a Napoli, e Maria Elisabetta, ottimo architetto ad Ostuni. Ho una serena famiglia con la mia bella moglie Marianna che, nonostante il suo impegno lavorativo da psicopedagogista con interesse per i bambini fragili e disabili, mi sopporta e supporta nel mio percorso di vita professionale e familiare, e due gran bei ragazzi adolescenti: Fernando Antonio e Ludovica, entrambi bravi studenti con importante interesse per lo sport agonistico. Il primo è calciatore nelle giovanili della Turris, la ragazza invece è atleta di danza ritmica. Sono cresciuto nella bella Posillipo dove ancora oggi ho la maggior parte degli amici del periodo più bello della vita con i quali condivido una chat telefonica, la mitica “Vico Soprano”, territorio di risate e tanti sfottò quotidiani. Le medie inferiori le ho frequentate alla scuola Nevio II di via Manzoni, succursale funicolare, mentre il liceo scientifico l’ho fatto al Denza di capo Posillipo: è inutile ricordare tutte le storie e storielle che mi legano a quel pazzo gruppo dell’adolescenza».

Allo studio affiancava un’appassionata attività sportiva. In quale disciplina?

«Ho praticato sempre attività sportiva ma sicuramente gli sport a cui più sono legato sono stati il canottaggio al Circolo Posillipo, colori sociali con i quali sono riuscito ad arrivare alle selezioni per la Nazionale Italiana, e poi il caro calcio con la squadra di quartiere, il Casalposillipo, che negli anni ’80/’90 era una realtà di tutto rilievo sul territorio cittadino. Anni bellissimi!».

Licenza liceale e poi iscrizione all’Università. Quale facoltà scelse?

«Per pressioni familiari, soprattutto da parte di mio padre, ero orientato verso la Medicina e Chirurgia ed in particolare per le Scienze Neurologiche e Neurochirurgiche. Ma durante gli studi a volte si devono fare delle scelte di cuore e non di testa ed ecco la passione prima per la Chirurgia Plastica , poi per la Cardiologia, la Dermatologia, l’Oculistica ed infine l’amore per l’Orto-traumatologia diventata la mia disciplina».

Perché?

«Dopo una notte di studio intenso; può sembrare incredibile, ma in quel lasso di tempo avevo letto l’intero testo di Ortopedia e traumatologia e scoppiò il classico “amore a prima vista”».

A quale Ateneo si iscrisse?

«Alla Seconda Università degli studi di Napoli, oggi Luigi Vanvitelli. Terminato il corso di laurea vinsi il concorso alla scuola di specializzazione in Ortopedia conseguendo al termine questa specialità».

Qual è stato il suo maestro?

«Il compianto Professore Emerito Giuseppe Guida che già durante gli anni di specialità mi permise di studiare in giro per L’Europa».

Dove è stato?

«Un anno in Inghilterra ed un anno a Lione in Francia dove ho sicuramente messo le basi per la Orto-Traumatologia. Il mio orientamento iniziale fu la chirurgia vertebrale, una disciplina a cavallo tra la neurochirurgia e l’ortopedia ch poi, per approfondimenti di altre sezioni anatomiche, ho abbandonato per la chirurgia dell’arto inferiore ed in particolare del ginocchio e del piede».

Dove ha iniziato la sua attività professionale?

«Al Cto di Torino per circa due anni che sono stati fondamentali per la mia esperienza».

E dopo?

«Sono rientrato a Napoli e ho preso servizio al Cto di Capodimonte dove ho incontrato la persona più importante per la mia formazione nella chirurgia».

Di chi si tratta?

«Del professore Renato Rotondo, vero artista della chirurgia ortopedica, forse un po’ rigido negli insegnamenti ma oggi posso dire che è stato il mio Maestro per antonomasia. Erano numerosi i suoi rimproveri e le tensioni che ne derivavano sul campo operatorio. Uno su tutti mi è rimasto particolarmente impresso nella memoria e lo ricordo con affetto».

Ci racconti.

«Un giorno, per la prima volta, mi programmò due semplici interventi di artroscopia di ginocchio per due sue conoscenze. La mattina degli interventi il destino mi riservò una spiacevole sorte: non sentiì la sveglia che avevo puntato alle 7 per arrivare in sala operatoria in orario. Purtroppo giunsi quando il professore aveva già iniziato a operare a “ginocchio aperto”. Ricordo ancora una delle strumentiste che mi venne incontro mentre entravo in sala operatoria dicendomi di evitare l’incontro in quel momento perchè il professore era molto arrabbiato. Mi riferì che aveva detto testualmente “non lo voglio vedere più in sala operatoria”. Mi consigliò di parlargli il giorno dopo perché lo avrei sicuramente trovato più tranquillo».

Seguì il suggerimento?

«Sì. L’indomani mi feci ricevere. Mi rimproverò ma accettò, con grande magnanimità, le mie scuse».

Quanto deve al professore Rotondo?

«Il buon Renato mi ha permesso di crescere al suo fianco e di rubare tutte le sue eleganti movenze da maestro di una scuola qual è ed è stato. Oggi se dirigo e porto avanti la scuola di Ortopedia e Traumatologia del Cto, che fu prima del professore Mignogna e poi appunto di Renato Rotondo, lo devo proprio a lui».

Attualmente di che cosa si interessa particolarmente?

«Oltre a occuparmi fondamentalmente di tutta la traumatologia che arriva al pronto soccorso del mio ospedale, mi sono trovato una importante “nicchia” per la chirurgia protesica di anca e ginocchio, per la chirurgia rigenerativa, utilizzando in particolare le cellule staminali e, in ultimo, per la chirurgia del piede».

Quali di queste tre pratiche specialistiche le sta dando maggiori gratificazioni?

«Sicuramente la terapia rigenerativa con cellule staminali mi sta dando tantissime soddisfazioni professionali in quanto la prevenzione delle patologie degenerative e delle patologie della cartilagine è oggi una delle specializzazioni più richieste dalla utenza ortopedica».

A novembre scorso ha organizzato un importante convegno dal titolo “Le fratture da fragilità: come ottimizzare la gestione”. Perché proprio questo argomento?

«L’abbiamo organizzato in tre: Luigi Matera direttore dell’ospedale Rummo di Benevento, Nicola Orabona direttore dell’ortopedia dell’Ospedale del Mare e io. L’incontro ha rappresentato un focus su una tematica di grande rilevanza per il sistema sanitario moderno: le fratture da fragilità, soprattutto negli anziani, rappresentano una sfida crescente per la sanità, non solo per l’aumento dell’età media della popolazione, ma per la complessità dei casi che coinvolgono pazienti oncologi e pluripatologici. Abbiamo promosso un approccio multidisciplinare, essenziale per affrontare la gestione di questi pazienti. Non si tratta solo di interventi chirurgici, ma di una sinergia tra ortopedici, anestesisti, fisiatri e altri specialisti, che lavorano insieme per migliorare gli outcome funzionali e ridurre le complicanze postoperatorie. Questo tipo di collaborazione permette di ridurre il rischio di sindrome da immobilizzazione, uno dei principali pericoli per i pazienti con fratture da fragilità. Abbiamo anche evidenziato le recenti scoperte nel campo dell’ortopedia, che permettono di trattare fratture complesse con tecniche innovative. La chirurgia protesica, ad esempio, sta permettendo di affrontare anche i casi più difficili con risultati sempre migliori».

Tanto lavoro, le rimane qualche spazio da dedicare a interessi particolari?

«Naturalmente la vita non può essere solo professionale. Esistono le passioni che oggi cerco di condividere con la mia famiglia».

Per esempio quali?

«Il mare, la pesca, la montagna ma soprattutto il cuore azzurro per il Napoli e per il calciatore più grande di tutti i tempi: Diego Maradona».

È stato sempre tifoso della squadra di calcio?

«Sì, ma non con l’intensità e l’entusiasmo che sono letteralmente esplosi negli anni ’80. Da allora coltivo una passione non normale verso la squadra della mia città. Sono pazzo del Napoli, del mio primo idolo Ruud Krol e del suo gioco alla “olandese”, e poi per le magie del più grande di tutti: Diego. Da folle tifoso mi iscrissi in un gruppo di tifosi organizzati della Curva B per poter seguire la squadra del cuore la domenica in casa e spesso fuori casa. Mio papà mi definiva “patuto” non tifoso».

Qualche aneddoto?

«Ho amato la maglia numero 5 con la quale ho sempre giocato nella posizione di libero proprio come il grande olandese. Da giovane portavo i capelli con il suo taglio. Qualche anno fa, in un suo ritorno a Napoli, riuscii anche a conoscerlo di persona. In quell’incontro portai con me mio figlio Fernando che in quella occasione vestiva la maglia numero 5 arancione dell’Olanda. Ruud nel vedere mio figlio gli chiese: “ma cosa ci fai con questa maglia e poi numero 5?”. “Colpa tua - disse Fernando. In tuo onore mio padre indossava la numero 5 ed anche io oggi gioco a calcio con la 5”. Scherzi della vita».

È anche un gourmant, un buongustaio.

«Come amante della campagna e della montagna, spesso quando ho un po’ di tempo libero mi diverte passeggiare tra il verde della bella Irpinia e del Sannio intervallando la vita salubre a sedute in ristoranti ed agriturismi per gustare le bontà dei cibi della nostra terra campana accompagnati dal sapore unico dei nostri vini autoctoni di uva a bacca bianca e a bacca rossa che non hanno nulla da invidiare a quelli di altri territori».

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