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I personaggi
17 Marzo 2025 - 12:21
Annibale Bovenzi
Annibale Bovenzi, laureato in Economia e Commercio, è un imprenditore e manager di una società di formazione e consulenza organizzativa, la Form&Atp S.r.l. Bovenzi è anche un noto velista italiano, socio del Circolo Canottieri a cui è molto legato e di cui è fortemente orgoglioso. È appassionato di jazz, motociclismo e automobilismo.
«Nasco a Napoli, in via Tasso, ma ho seguito per anni i miei genitori, Eugenio, manager di logistica industriale, e Paola, che lavorava in alcune compagnie marittime, trasferendomi in varie città d’Italia. Sono sposato e ho una figlia che quest’anno sosterrà l’esame di maturità, anche lei appassionata di vela. Il lavoro di mio padre mi ha portato durante l’adolescenza a Giugliano, dove ho frequentato il liceo scientifico. In questi anni è iniziata l’attività sportiva del nuoto. Ho frequentato la piscina International Sport Casandrino di proprietà di un imprenditore, Gennaro Pedato, che aveva costruito un impianto importante con una piscina di 25 metri coperta, un’altra di uguale misura scoperta che all’epoca era all’avanguardia perché era a sfioro, e quindi velocissima. Dopo essere entrato nella squadra agonistica di stile libero ho fatto anche delle gare. A una di queste mi premiò il compianto Fofò Buonocore. Poi per motivi vari andai via. Ricordo bene gli anni del liceo e i miei compagni di classe: oltre all’affetto ne conservo il ricordo dell’umanità e dell’impegno scolastico. Ancora oggi li sento e qualche volta riesco a trovare il tempo per una rimpatriata».
Dopo la maturità scientifica che cosa fece?
«Scelsi la facoltà di Economia e Commercio dell’Università Federico II di Napoli. Con un pizzico di orgoglio ricordo che, seppur non necessario, ho sempre cercato un po’ di indipendenza economica e, fino al conseguimento della laurea, nei periodi estivi ho lavorato nei villaggi turistici in giro come istruttore di vela e di windsurf».
Dove in particolare?
«Andai in vacanza in Sardegna e feci il giro dell’isola in motocicletta: partii da Palao e tornai a Palao. Mi fermai al Villaggio Santo Stefano che sta in un’isola di fronte alla Maddalena. Gli addetti ai lavori mi dissero che avevo l’attitudine per quegli sport e mi chiesero di fermarmi per fare da istruttore. Da ragazzo avevo fatto un po’ di esperienza con mio padre. Ho preso anche dei brevetti in entrambi gli sport».
Quando si è avvicinato al catamarano?
«Andavo anche ad Alimini, a Otranto in Puglia. Ebbi l’occasione di trovare un piccolo catamarano che si era praticamente sfasciato. Lo comprai per pochi soldi e lo rimisi a posto. Con quel Cat 16 ho anche partecipato a due mondiali, uno in Spagna e l’altro in Australia. L’equipaggio era composto da me e da una velista che poi è diventata mia moglie. In un’ altra occasione, mentre partecipavo a una Velalonga nel golfo di Napoli, arrivò una botta di vento terribile. Sospesero la gara. Ero partito dal circolo Partenopeo a Coroglio dove avevo il Cat 16. Ricordo che sulla estremità del molo del Molosiglio, dove c’è il faro, il mitico nostromo della Canottieri, Raffaele Esposito , si sbracciava e urlava per farci entrare nel porticciolo, Riuscì ad afferrarci e ci fece salire sulla banchina. Purtroppo è morto anni fa prematuramente, ed è stato il mio primo contatto con la Canottieri. Ritornai definitivamente al circolo qualche anno dopo come socio con il mio nuovo catamarano Cat 18 che ho tutt’ora».
Che cosa è il catamarano?
«Il catamarano è una imbarcazione a vela appartenente alla categoria dei multiscafo, formato da due scafi collegati da una struttura di collegamento chiamata ponte. Può essere da diporto e da regata e può avere un motore ausiliario. Questa barca fu ideata dallo statunitense N. Herreshoff nel 1946».
Perché questo nome?
«La parola catamarano deriva dalla lingua tamil parlata in India, Sri Lanka e Singapore. È composta da kattu e maram: kattu “legare” + maram “albero”, e trae origine dalle imbarcazioni utilizzate dalle popolazioni del Paravas, un’aristocratica comunità di pescatori posta nel litorale sud di Tamil, in India. In Europa la conoscenza di questa imbarcazione trae origine della canoa polinesiana o canoa a bilanciere, diffusa da millenni fra le popolazioni insulari poste tra l’oceano Indiano e l’Oceano Pacifico».
Che cosa hanno di particolare queste imbarcazioni?
«I catamarani sfruttano la riduzione della resistenza al moto che si realizza, per le carene dislocanti (cioè il cui sostentamento/galleggiamento è garantito dalla spinta idrostatica e non da effetti idrodinamici). Sono veloci, grazie alle carene filanti di elevato allungamento, cioè con la lunghezza accentuata rispetto a larghezza e immersione. Il carico trasportato generalmente si trova sia all’interno dei due scafi che sul ponte di collegamento dei due scafi».
Ha partecipato a gare con questa imbarcazione?
«Sicuramente a tre campionati mondiali e a un campionato italiano nel 2015 dove arrivai quarto a pari punti con il terzo. Ero stato primo per tre giorni su quattro».
Dopo la laurea che lavoro intraprese?
«Entrai nell’azienda in cui papà era socio. Ero giovane, ma l’esperienza dei soci senior ha contribuito al mio sviluppo professionale. Iniziai dalle mansioni più semplici, per poi girare le varie aree aziendali. Oggi l’azienda fa parte di una rete che copre tutti i servizi per le risorse umane».
Di cosa si occupa la Form&Atp srl?
«Da più di 30 anni affianchiamo le aziende nella formazione, sviluppo e consulenza organizzativa, in Italia e in Europa. Ci sono tre mission fondamentali:1-Orientamento al cliente, dove ogni cliente è un partner con cui condividiamo esigenze, costruiamo valore ed instauriamo una relazione duratura basata sulla trasparenza, la professionalità e la fiducia reciproca. 2- Innovazione, rispondendo alle sfide del cambiamento proponendo soluzioni innovative, consapevoli dell’importanza per i nostri clienti di essere sempre un passo avanti rispetto ai tempi. Progettiamo ed eroghiamo attività formative nel rispetto dei requisiti previsti dalla norma UNI EN ISO 9001. 3- Lavorare in team. Lo spirito di squadra è la nostra forza, per noi questo significa condividere e lavorare con il cliente per realizzare gli obiettivi prefissati. Il denominatore comune di questi tre principi è l’affidabilità. Abbiamo costruito negli anni un’immagine di competenza e correttezza che mettiamo in gioco ogni giorno, con ogni cliente e con ogni progetto».
È socio ma è anche inserito nell’organigramma aziendale. Il suo compito in particolare?
«Sono un manager che cura tutto il settore acquisti».
La vela e il lavoro per lei che cosa hanno in comune?
«La vela presenta dinamiche simili al lavoro: nonostante le previsioni atmosferiche, le correnti, le onde e il vento possono cambiare improvvisamente, bisogna adeguarsi velocemente, spesso cambiando strategia e tattica. Condurre un’azienda significa sapere che puoi pianificare tutto, avere piani alternativi, ma c’è sempre il rischio che fattori economici nazionali e internazionali si manifestino improvvisamente, in modo diverso da quanto previsto dagli studi di analisi economica. Un altro elemento in comune tra la vela e la conduzione di un’azienda è il fattore umano. Il successo di un’azienda dipende dall’innovazione, dalle competenze, ma soprattutto dalle risorse umane. Al di là del singolo talento, bisogna sviluppare il potenziale delle persone, trasmettere fiducia e dimostrare capacità di ascolto e condivisione, non solo degli obiettivi aziendali, ma anche di quelli individuali. In un’azienda è fondamentale creare un team e abituare i collaboratori al problem solving, non solo individuale ma anche di gruppo».
La vela, quindi, per lei è simile all’organizzazione di un’azienda?
«Sì. Ogni regata è diversa, con condizioni meteorologiche uniche. Chi timona o sceglie la strategia per tagliare il traguardo, o semplicemente per completare la regata, deve poter contare sul suo equipaggio. Anche il marinaio più inesperto, appena salito a bordo, è fondamentale. Un equipaggio è fatto di persone, ognuna con uno o più compiti. Deve funzionare come un’unica entità, come gli ingranaggi di un orologio. Ogni persona sulla barca deve fidarsi degli altri membri dell’equipaggio e, soprattutto, di chi timona. Per questo è essenziale sviluppare le competenze, il potenziale e l’autostima di tutti. Una regata non si prepara solo a bordo, ma anche a terra, ascoltando l’equipaggio prima e dopo».
Ha progetti per questa disciplina sportiva che alla Canotttieri sembra sia un po’ sottotono?
«Contribuire a riportare questa disciplina sportiva ai livelli degli anni Sessanta, quando c’era il mitico Carlo Rolandi alla Canottieri. Intanto il 5 e 6 aprile prossimo abbiamo organizzato al sodalizio giallorosso tre regate: i FINN, la nazionale formula 18, che è la mia, e i laser che adesso si chiamano ILCA».
Un’altra passione è la musica.
«Ascolto e suono il sax, non da professionista ma da “apprendista stregone”. Il momento più bello per me non è suonare da solo, ma insieme a una jazz band, facendo musica con altre persone. Ho iniziato nell’adolescenza sollecitato da mia madre che mi diceva sempre: “ti piace la musica, ma prova a suonare uno strumento!”. Le rispondevo che mi piaceva la musica jazz per cui gli strumenti erano la tromba o il sassofono. Il maestro di tromba non lo trovavo e passai al sassofono. Ho lasciato per un lungo periodo e ho ripreso da otto anni e da allora non l’ho più abbandonato».
Ha una band sua?
«Non ho un gruppo fisso anche perché nel jazz le formazioni cambiano sempre in quanto i brani spesso sono gli stessi ma le interpretazioni variano».
Ama le motociclette ma anche le auto.
«Soprattutto le auto e con la mia Porsche ho partecipato ad alcune competizioni in pista che si chiamano gare del circuito interserie».
Che significa?
«Il Porsche Club Interseries ha uno spirito non competitivo e non agonistico fin dalla sua prima stagione del 2016. Lo scopo fondamentale è quello di portare in pista i soci che desiderano divertirsi alla guida delle loro vetture, sfruttandone appieno le prestazioni e, contemporaneamente, migliorare le proprie capacità di guida. In pista si va direttamente con le auto perché hanno la targa. Il campionato si disputa su tutti i circuiti. Io partecipo solo a quelle che non si sovrappongono alle competizioni veliche. Il circuito più vicino a noi è Vallelunga, poi cè il Mugello e l’organizzazione seleziona anche Misano, Monza e circuiti all’estero».
Ha avuto un maestro, un mentore particolare nel suo percorso di vita?
«No. Lo sono tutte le persone che ho incontrato nel lavoro e nello sport».
Come vede il suo futuro?
«Il mio futuro non lo conosco ma, come dice qualcuno, il futuro è un’ipotesi. Io penso che il futuro sia affrontare e vivere ogni singolo momento. Saranno l’impegno nel lavoro, le note e il vento a permettermi di tagliare nuovi traguardi».
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