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I PERSONAGGI

Gianni Donzelli, self made man di successo

«Ho inseguito un sogno, a mio figlio ho dato un’opportunità»

Gianni Donzelli, self made man di successo

Gianni Donzelli e, di fianco, con l’amico Franco Di Mare

Gianni Donzelli è fondatore e socio al 50% della EdilDoVI. È componente del direttivo Acen, è consigliere Cassa edile Napoli e iscritto all’Unione industriali. È stato nell’Ance Campania, è presidente onorario Amici di Ischia e consigliere Associazione Torri in festa Torri in luce (Ischia) premio giovani Architetti. «Nasco a Napoli e ho studiato al “Villaggio del Fanciullo” Sant’Ignazio di Loyola nell’omonima strada del centro storico. Sono rimasto alla scuola dei gesuiti fino alla terza media. Era un istituto in “concorrenza” con il Pontano di corso Vittorio Emanuele e frequentato dai figli della migliore borghesia partenopea. Una scuola d’elite, in poche parole, dove si riceveva un’educazione rigida. Il mio temperamento rispettoso ma un po’ ribelle e la passione per il calcio giocato, mal si conciliavano con quell’ambiente per cui il pomeriggio mi recavo all’oratorio di Santa Chiara dove i frati francescani erano aperti ai diversi strati sociali e ci facevano giocare a pallone. Dai gesuiti, invece, lo sport praticato era soprattutto la pallacanestro e poi anche la pallamano. Formammo una squadra e giocavamo al campo del Denza dove il mitico campione del Napoli, Gianni Improta, il “baronetto” di Posillipo, ci impartiva qualche lezione. Era un periodo molto bello sia per me che per mio fratello Giuseppe e mia sorella Enza, entrambi più piccoli. La mia famiglia era benestante perché nostro padre Luigi, insieme ai fratelli, aveva un avviato laoratorio di ebanisteria. Frequentavo il Serpentone di via Petrarca e d’estate erano frequenti le “scorribande” a Ischia con gli amici dove andavamo a ballare nei locali fino a tarda notte. Purtroppo papà si ammalò giovane e io mi trovai appena ventenne a essere il capo famiglia. Quindi dovetti abbandonare gli studi, volevo fare il geometra, e cominciai a lavorare. Anche mamma, Giovanna Peluso, fu costretta a cercare un’occupazione e la trovò all’ospedale Cardarelli».

Iniziò al laboratorio di ebanisteria con gli zii paterni?

«No, perché dopo la morte di nostro padre i rapporti si incrinarono, come purtroppo accade spesso quando sui sentimenti prevalgono gli interessi. Fui assunto nell’impresa edile dei parenti di mamma. Dalla sera alla mattina, come si suol dire, passammo da una situazione di benessere a un quotidianità di estremi sacrifici. Oltretutto nel rispetto della volontà di papà dovevamo mantenere agli studi mio fratello e mia sorella. Oggi Giuseppe è laureato ed Enza è diplomata geometra. Fortunatamente già da allora dimostravo di avere un carattere forte, determinato e anche un po’ sognatore che mi consentiva di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Questo mi consentì di buttarmi anima e corpo nel lavoro e di farmi apprezzare dagli zii e anche dai loro clienti».

Di che cosa si occupava l’impresa edile?

«Lavorava molto per la Sip, la società dei servizi telefonici, nel settore centrali elettriche».

Quanto tempo ha fatto quel lavoro?

«Sicuramente per quattro anni, ma la mia aspirazione era quella di mettermi in proprio nonostante guadagnassi bene. Un giorno, poi, accadde un fatto che mi fece decidere di dare quel tipo di svolta alla mia vita».

Che cosa successe?

«Avevo finito di lavorare un po’ prima del solito e approfittai per andare a prendere mamma al Cardarelli perché me lo aveva chiesto più di una volta. Mi avviai sulla mia rumorosa e alquanto malandata Autobianchi 112, che ero riuscito ad acquistare con i risparmi e raggiunsi l’ospedale. Salii alla dodicesima Divisione di medicina e mi sedetti su una panchina all’inizio del corridoio in attesa che terminasse l’orario di lavoro di mamma. A un tratto, guardando in lontananza, vidi una figura indistinta che avanzava lentamente, con la schiena un po’ piegata per la fatica, pulendo con uno spazzolone il pavimento. Quando si avvicinò riconobbi in quella persona mia madre. Rimasi scioccato perché pensavo che svolgesse un lavoro impiegatizio e non quello di addetta alle pulizie. Feci questo pensiero non perché ritenessi quel lavoro disprezzabile ma in quanto non immaginavo che mamma, abituata al benessere, fosse stata in grado di affrontare con umiltà una situazione tanto diversa dal tenore di vita che aveva avuto quando era in vita papà. Naturalmente non le dissi nulla ma scendendo le scale del nosocomio dissi tra me e me che avrei lascito l’impresa degli zii e mi sarei impegnato per mettermi in proprio».

Quindi che cosa fece?

«Stavo occupato nel cantiere dell’impresa che curava l’ampliamento della centrale della Sip a Marano. Andai da uno degli zii e gli dissi che, ultimati i lavori, mi sarei dimesso perché volevo realizzare il mio sogno. Insistettero tutti i parenti per farmi desistere dal mio intendimento dicendomi che ero bravo e che con loro avrei fatto carriera, ma non fui irremovibile».

Ebbe quindi coraggio e audacia per lasciare il posto fisso e rimanere disoccupato.

«Il progetto sul mio futuro lo avevo chiaro nella mente e l’esperienza fatta con gli zii me lo aveva rafforzato: volevo creare un’impresa edile. Realizzai il sogno di lì a poco perché mia sorella si era fidanzata con un giovane, Luciano Vitiello, geometra, che temporaneamente lavorava presso il famoso ritorante “Il Sarago” che era a piazza Sannazaro. Anche lui era in cerca di un nuovo lavoro. Una sera fu proprio Enza a lanciare l’idea dicendoci: “ma perché non vi mettete insieme”. Detto fatto, costituimmo la EdilDoVI che è l’acronimo composto dalle prime due lettere del mio cognome e le prime due di quello di Luciano, oggi marito di mia sorella. Era il 1984: io avevo 25 anni e lui 22».

Su quali basi creaste l’impresa?

«Partimmo da zero, per non dire peggio. Non disponevamo di risorse economiche ma solo di una grande deteminazione e molto entusiasmo. Formavamo un binomio formidabile perfettamente amalgamato. La mia esuberanza e iperattività erano temperate nella giusta maniera dall’equilibrio e saggezza di Luciano, nonostante fosse più piccolo di me. Fittammo uno studietto a via De Pretis. Eravamo convinti di potere iniziare facendo affidamento sui miei quattro anni di esperienza maturati con gli zii materni e sulle conoscenze che avevo avuto modo di acquisire in quel periodo. Una persona fu molto importante. L’avevo conosciuta ai tempi della mia frequentazione al Sant’Ignazio di Loyola. Era più grande di me e mi dava lezioni nel doposcuola. Ero venuto a sapere che aveva fatto una brillante carriera nella Sip e lavorava a Roma. Un giorno mi presentai da lui senza preavviso. Mi riconobbe e mi accolse con affetto. Gli esposi il mio progetto di lavoro e mi diede preziosi consigli. Primo fra tutti quello di fare domande alle varie società per essere inseriti con la EdilDoVi nel loro albo di “fornitori” di fiducia».

Aveste qualche risultato?

«Piccoli lavoretti di ristrutturazione di parti di appartamenti, negozi e condomini. Ma il nome della EdilDoVi cominciò a circolare con il passaparola e ci arrivarono proposte di lavoro anche da altre regioni. Fu questa sicuramente la chiave della nostra graduale ma costante ascesa perché non avemmo timore di metterci in macchina e superare “il recinto” del nostro territorio. Andavamo a Roma, Firenze, Milano e ovunque ci chiamassero.Ricordo che un giorno Luciano e io ci demmo appuntamento a un autogrill dell’autostrada nel modenese per scambiarci l’unico flex che possedevamo. Attualmente il 95% del fatturato lo abbiamo fuori dalla Campania».

Di che cosa si occupa specificamente la EdilDoVi?

«Oggi l’azienda, oltre al settore delle costruzioni, realizza anche impianti tecnologici, civili e industriali. È scesa in campo anche la seconda generazione composta da Umberto, figlio di Luciano e da mio figlio Sergio Luigi al quale ricordo sempre che io con grandi sacrifici ho inseguito e realizzato un sogno mentre a lui ho dato un’opportunità».

Qualche esempio di lavori?

«Abbiamo relizzato la centrale elettrica di Capri su mandato della Terna, ristrutturato la Sala Stampa del Vaticano, i lavori sono terminati quest’anno e abbiamo in carico la manutenzione di alcuni appartamenti sempre del Vaticano. La Prelios Credit Servicing ci ha affidato la ristrutturazione della Galleria “Alberto Sordi” a Roma dove ci sono prestigiosi negozi e una delle sedi della Presidenza del Consiglio».

Il 4 aprile scorso ha ricevuto “L’Economy-RSM Award - Premio Legalità e Profitto”.

«Il prestigioso riconoscimento, nato su iniziativa di Economy Group, casa editrice di testate giornalistiche specializzate nell’informazione di servizio, e giunto alla quarta edizione,viene consegnato alle imprese che hanno ottenuto il massimo rating di legalità unito a un bilancio considerevole. La EdilDoVi fa parte delle 100 imprese con un fatturato inferiore ai 500 milioni di euro e che si sono distinte per aver ottenuto il rating di legalità e, al contempo, registrato una crescita economica significativa. La cerimonia si è svolta a Roma, nella Sala Capitolare presso il Chiostro di Santa Maria sopra Minerva».

Ama definirsi napoletano di nascita e ischitano di adozione, Perché?

«Il mio amore per l’Isola Verde è nato quando ero ragazzo. Quando io e mia moglie Luisa Rigoni siamo diventati genitori di Sergio Luigi decidemmo di comprare una residenza estiva sull’isola. Avevamo pensato a Ischia Ponte ma poi optammo per Forio, famosa per i suoi meravigliosi tramonti».

La vostra residenza estiva, è diventata nel tempo anche un luogo di incontri culturali tra amici.

«L’abbiamo chiamata Villa Luisina che è il nome che abitualmente usiamo per mia moglie. Si affaccia sulla baia di San Francesco offrendo un panorama che definisco una “gouache” di rara bellezza. Mi consenta di dire che Luisina è una donna eccezionale. L’ho conosciuta quando era una fanciulla molto bella, oggi è un’affascinante signora, ed è stata al mio fianco sempre, e in modo particolare nei momenti difficili degli inizi dell’attività imprenditoriale. È una moglie esemplare e una madre premurosa ed equilibrata. Senza di lei sicuramente non sarei diventato l’uomo, il padre e l’imprenditore che ritengo di essere, senza falsa modestia. Siamo entrambi molto ospitali e casa nostra riceve tanti amici tra cui artisti, intellettuali, giornalisti, uomini di cultura in generale. Improvvisiamo serate a tema affrontando, nel confronto, svariati argomenti. Naturalmente non mancano le cene conviviali. Sono un buongustaio».

Tra i tanti amici ne cita uno che per lei ha un significato particolare?

«Il compianto Franco Di Mare. Giornalista e corrispondente di guerra di raro valore ma soprattutto un uomo sensibile, altruista e sempre pronto a darmi i migliori consigli quando ne avevo bisogno. Per me è stato un altro fratello».

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