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il personaggio
16 Luglio 2025 - 22:03
Francesco Piccialli (nella foto) è Professore Associato in Computer Science presso il Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli” dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. È co-fondatore e responsabile scientifico del Mathematical modelling and Data AnaLysis.
«Sono un napoletano Doc, nato e cresciuto nel cuore pulsante della città: i Decumani. Da bambino ho frequentato la scuola privata Calasanzio dei Padri Scolopi, dove ho ricevuto un’educazione rigorosa e dove ho imparato il valore della disciplina. Il mio percorso, poi, è proseguito all’istituto Ugo Foscolo, un ambiente stimolante dove ho stretto amicizie che durano ancora oggi. Infine, ho frequentato il liceo scientifico Vincenzo Cuoco, un vero e proprio crocevia di menti brillanti dove ho avuto la fortuna di incontrare professori straordinari che mi hanno trasmesso l’amore per la scienza e la voglia di approfondire le mie conoscenze. Ricordo con piacere le lunghe chiacchierate con i miei compagni, le ore passate a studiare insieme e le prime “sfide” intellettuali».
Oltre allo studio praticava qualche attività sportiva?
«Fin da ragazzo ho praticato nuoto al Circolo Canottieri Napoli, uno sport completo che mi ha aiutato a sviluppare disciplina e resistenza. Ma la mia vera passione è il calcetto. Ho fatto parte della Virtus Partenopea per oltre vent’anni, una polisportiva storica di Napoli. Lì ho giocato a livello agonistico, partecipando ai tornei del CSI Centro Sportivo Italiano, sia a livello nazionale che internazionale facendo un’esperienza formativa a 360 gradi».
Perché si iscrisse a Scienze Informatiche?
«È stata una scelta quasi naturale, un’ evoluzione del mio percorso. Già da piccolo ero affascinato dai computer e le prime volte che ho usato un Pc ho provato l’emozione di potere creare, interagire e vedere le cose accadere sullo schermo. Crescendo questa passione è diventata sempre più forte. M’incuriosiva capire come funzionassero i programmi, come venivano creati i software, come i computer “pensassero”. Ma non era solo passione, c’era anche un forte fascino perché l’informatica è una disciplina rigorosa, logica, che richiede precisione e metodo. Sono per natura curioso e razionale, ed ero convinto che studiare questa scienza mi avrebbe permesso di sviluppare il mio pensiero critico, la mia capacità di risolvere problemi, di affrontare sfide complesse in un settore in continua evoluzione, pieno di opportunità e di innovazioni».
Con quale tesi si è laureato?
«Mi sono laureato con una tesi magistrale sullo sviluppo di un software di analisi dati in ambito medico, specificamente a supporto della diagnosi e gestione della sindrome di Down. Il progetto si chiamava “Carolina Curriculum” ed era una tesi sperimentale in stretta collaborazione con il Dipartimento di Pediatria dell’Università Federico II. È stato un lavoro impegnativo ma estremamente gratificante che ha rafforzato la mia convinzione che la ricerca e l’innovazione tecnologica debbano essere sempre al servizio dell’umanità».
Dopo la laurea che cosa ha fatto?
«Ho intrapreso il percorso del Dottorato di Ricerca in Scienze Computazionali ed Informatiche sempre alla Federico II. È stata una scelta impegnativa, ma anche molto stimolante. Mi sono concentrato su quello che allora si chiamava “Data Mining” e “Analisi Dati”. Erano anni in cui queste discipline stavano emergendo, aprendo nuove frontiere nella ricerca e nelle applicazioni pratiche. Ho avuto il privilegio di partecipare attivamente allo sviluppo di queste tecnologie che oggi conosciamo come Intelligenza Artificiale, Machine Learning e Deep Learning. Mi sono immerso subito nel mondo della ricerca e dell’insegnamento e ho avuto la possibilità di collaborare con gruppi di ricerca internazionali e viaggiare. Ricordo, in particolare, le esperienze in Cina, in Corea del Sud, e soprattutto la collaborazione con il Mit».
Che cosa insegna?
«Nello specifico, tengo il corso di laboratorio di programmazione alla laurea triennale in Matematica, dove cerco di trasmettere ai ragazzi le basi dell’informatica e le competenze necessarie per affrontare le sfide del mondo digitale. Insegno, poi, “Algoritmi ed Applicazioni per l’Intelligenza Artificiale” al corso di laurea magistrale. Quest’ultima è una materia che mi appassiona particolarmente, perché mi permette di condividere le mie conoscenze e la mia passione per l’AI con studenti brillanti e motivati. Cerco sempre di rendere le lezioni interattive e coinvolgenti, stimolando la curiosità e la voglia di approfondire. Credo fermamente che l’insegnamento sia un’opportunità unica per “fare la differenza” nella vita delle persone, per trasmettere non solo nozioni ma anche valori e passione per la conoscenza».
È co-fondatore e responsabile scientifico del Mathematical mOdelling and Data AnaLysis. Che cosa è?
«Il M.O.D.A.L. è un laboratorio nato nel 2017, per volontà, impegno e passione, all’interno del Dipartimento di Matematica e Applicazioni “Renato Caccioppoli” e grazie al supporto e sostegno del Direttore e dei colleghi, uno su tutti, l’amico di sempre e co-fondatore Salvatore Cuomo. Abbiamo un nome un po’ tecnico, ma ci piaceva l’idea di richiamare la modellistica matematica, che è la base di tutto, e l’analisi dei dati, che è il cuore del nostro lavoro. Ricordo ancora il giorno in cui abbiamo iniziato: eravamo in pochi, con un sacco di entusiasmo e tante idee in testa. Sembrava quasi un’avventura, una scommessa. Invece piano piano il laboratorio è cresciuto, si è strutturato, e oggi è diventato una realtà solida e riconosciuta».
Che cosa fate?
«In parole povere, in M.O.D.A.L. ci divertiamo a “giocare” con l’AI, ma non nel senso di usarla come una scatola nera, magica e incomprensibile, come fanno forse alcuni. Noi vogliamo capire cosa c’è dentro, come funziona, e soprattutto come possiamo usarla per risolvere problemi reali e concreti. Ci piace l’idea di creare strumenti intelligenti che siano trasparenti, affidabili e comprensibili, perché crediamo fermamente che l’AI debba essere al servizio dell’uomo, non il contrario. Non vogliamo che le macchine ci sostituiscano, ma che ci aiutino a fare meglio quello che già facciamo, e magari anche a fare cose che prima non potevamo fare».
Ci spieghi meglio.
«Ci occupiamo di sviluppare algoritmi e modelli avanzati per le applicazioni più disparate dell’AI, dalla salute digitale, che mi sta molto a cuore, all’industria, dall’energia alla sicurezza e ovviamente le città intelligenti. Abbiamo un occhio di riguardo anche per i beni culturali».
Cioè?
«Ci tengo molto a questo aspetto. Siamo molto interessati all’Explainable AI (l’intelligenza artificiale spiegabile, per capirci), all’Apprendimento Federato (che permette di allenare i modelli senza dover spostare i dati, proteggendo la privacy, un tema molto attuale), e al Scientific Machine Learning (che integra le conoscenze scientifiche nei modelli di apprendimento automatico, per dare più robustezza e significato ai risultati). Insomma, cerchiamo di spingerci sempre un po’ più in là, di esplorare nuove frontiere e di trovare soluzioni originali, magari anche un po’ controcorrente».
Con chi interagite?
«Collaboriamo attivamente con università, aziende e istituzioni pubbliche, sia in Italia che all’estero, per trasferire le nostre ricerche in soluzioni pratiche e innovative, che abbiano un impatto reale sulla vita delle persone».
Vi limitate alla ricerca?
«Assolutamente no. Ci piace anche formare i nostri studenti, organizzare workshop, seminari e corsi su temi legati all’AI e all’analisi dei dati. Crediamo che sia fondamentale preparare le nuove generazioni ad affrontare le sfide del futuro, e siamo felici di poter dare il nostro contributo. In fondo, M.O.D.A.L. è un po’ come una grande famiglia, un luogo dove la passione per la scienza si unisce alla voglia di fare la differenza, un posto dove ci si sente a casa».
Quali sono le attuali tecnologie che sottengono l’AI?
«Le tecnologie che la sostengono oggi sono tantissime e in continua evoluzione. Ci sono il Machine Learning, che permette ai computer di imparare dai dati senza essere programmati esplicitamente, e il Deep Learning, che utilizza reti neurali artificiali complesse per riconoscere pattern e fare previsioni. Poi ci sono il Natural Language Processing, che consente ai computer di capire e interagire con il linguaggio umano, e la Computer Vision, che permette loro di “vedere” e interpretare le immagini. E potrei continuare a lungo, perché l’AI è un campo vastissimo e in continua espansione. Ma la cosa più importante da capire è che tutte queste tecnologie sono interconnesse e si influenzano a vicenda, creando un ecosistema in cui l’innovazione è all’ordine del giorno».
In parole semplici?
«Mi concentrerei su due aspetti metodologici e poi su delle aree applicative».
Ci dica.
«Dal punto di vista metodologico, il Deep Learning e il Federated Learning sono due tecnologie che mi stanno particolarmente a cuore. Il Deep Learning, con le sue reti neurali profonde e complesse, è come uno strumento multiuso, un po’ come un coltellino svizzero ben affilato. Può fare davvero tante cose, dal riconoscimento delle immagini alla traduzione automatica, dalla generazione di testi alla guida autonoma. È potente, versatile, ma anche un po’ esigente: richiede tanti dati e tanta potenza di calcolo. Ma quando funziona è uno spettacolo! E poi c’è il Federated Learning, una tecnologia che per via di un aspetto mi sta molto a cuore: la protezione dei dati sensibili. Immaginiamo di dover addestrare un modello di AI su dati medici, ad esempio. Non si possono spostare questi dati da un ospedale all’altro, per ovvi motivi di privacy e sicurezza. Il Federated Learning risolve questo problema permettendo di addestrare il modello direttamente “in loco”, sui dati dove sono. Ogni ospedale contribuisce con il suo “pezzo” di modello, e alla fine si crea un modello globale, più potente e accurato. È un approccio molto interessante e promettente».
Per quanto concerne le aree di applicazione?
«Al M.O.D.A.L. siamo molto attivi su diversi fronti. La sanità digitale è uno dei nostri “campi di battaglia” preferiti, perché l’AI può fare davvero la differenza nel migliorare la diagnosi, la cura e il monitoraggio dei pazienti. Poi c’è la Smart Mobility, con progetti che riguardano il traffico, i trasporti pubblici e la guida autonoma, tutti temi caldissimi e pieni di sfide. L’Industria 4.0 è un altro settore in cui crediamo molto, perché l’AI può portare grandi benefici in termini di efficienza, produttività e innovazione. E non dimentichiamo la sismologia, su cui abbiamo un progetto di ricerca finanziato dal Mur e Pnrr, un tema molto importante per la nostra regione e per il nostro paese».
Non pochi sostengono che l’AI ha ricadute negative nel campo dell’occupazione e non solo. Qual è il suo pensiero in merito?
«L’impatto dell’AI sull’occupazione è molto dibattuto. Penso che sia ingenuo negare che ci saranno dei cambiamenti, e che alcuni lavori verranno inevitabilmente automatizzati. Però, vedo anche l’altra faccia della medaglia: l’AI può creare nuove opportunità, nuovi lavori che oggi nemmeno immaginiamo. Comunque è indispensabile una regolamentazione per il suo corretto utilizzo».
Nel privato coltiva qualche interesse in particolare e ha un hobby?
«Sì, assolutamente! Cerco sempre di ritagliarmi del tempo per i miei interessi, anche se devo dire che il lavoro mi assorbe molto, come penso accada a tanti. Ma la famiglia viene prima di tutto, e i miei due splendidi figli sono la mia priorità. Ultimamente abbiamo scoperto una passione comune: costruire Lego complesse! Passiamo ore a seguire le istruzioni, a incastrare i mattoncini, a creare modelli incredibili. È un modo per stare insieme, per divertirci e per stimolare la creatività di tutti».
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