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il personaggio
16 Luglio 2025 - 22:17
Roberto Imperatrice (nella foto) è laureato in economia e commercio. Dopo anni di esperienza come dottore commercialista ha deciso di intraprendere l’attività manageriale. Attualmente è presidente esecutivo di Nabucco che è la holding di F&De Group. «Nasco a Napoli dove vivo tutt’ora. Ho frequentato le classi elementari a una scuola privata gestita da suore e le medie le ho fatte alla Tito Livio-Fiorelli in largo Ferrantina. Ero particolarmente portato per le materie scientifiche per cui alle superiori ho frequentato il liceo scientifico Mercalli in via Andrea d’Isernia. I miei genitori credevano fortemente nel principio “mens sana in corpore sano” per cui a 5 anni mi iscrissero, insieme a mio fratello, alla scuola di nuoto del Circolo Canottieri Napoli, al Molosiglio. Ricordo il primo giorno quando facemmo la prova di nuoto. Ci tuffammo in acqua dal bordo piscina, senza alcuna esitazione, sotto gli occhi dell’istruttore Bruno De Luca il quale rimase sorpreso nel vedere che ce la cavavamo bene: sapevamo già nuotare. Dopo qualche anno mi appassionai alla pallanuoto perché ho sempre amato stare insieme agli altri. Il nuoto è uno sport individuale mentre la “waterpolo”, come gioco di squadra, crea aggregazione e fa socializzare molto, soprattutto, nello spogliatoio».
L’ha praticata anche a livello agonistico?
«Sì, sempre con la calottina giallorossa ho partecipato ai Giochi della Gioventù nel 1974, ai campionati giovanili fino ad arrivare in prima squadra vincendo lo scudetto nel 1979».
Fu un anno importante non solo per lo scudetto.
«Era il settimo che il nostro sodalizio conquistava. L’allenatore era l’indimenticabile campione Fritz Dennerlein e il capitano Gualtiero Parisio. Questa vittoria ha rappresentato anche l’anno della nascita della pallanuoto femminile in Italia, con Mario Scotti Galletta che è stato considerato il padre di questa disciplina».
Riusciva a conciliare gli studi con lo sport a questi livelli?
«Con grandi sacrifici perché gli allenamenti erano duri ma la passione era molto forte».
Che cosa le ha lasciato quell’esperienza?
«È stata fondamentale nel mio processo di formazione in un periodo particolare che è quello dell’adolescenza, dove si costruiscono le basi su cui impostare il proprio “diventare” adulto e affrontare le difficoltà che il futuro riserva nel lavoro e nel sociale. Le mie erano solide sia per l’educazione ricevuta in famiglia sottesa dal rispetto dei valori sia per gli insegnamenti del compianto Fritz Dennerlein. Per molti aspetti è stato il mio mentore».
C’è qualche episodio che ricorda in maniera particolare?
«Due sono stati molto significativi. Il primo risale al 1982, avevo 21 anni e giocavo titolare in prima squadra. Era un mercoledì e tenevamo un allenamento, facoltativo, alle 12 con termine alle 13,30. Il sabato successivo avevamo un’importante partita a Firenze. Alle ore 13 circa ero fuori il liceo Umberto seduto sulla mia nuova moto, una Guzzi le Mans 3 carenata, sportiva e bellissima. Conversavo con alcune ragazze che erano uscite dal liceo. Passò Fritz che mi salutò a volo. La sera alle 19 avevamo l’allenamento, questa volta obbligatorio, alla piscina della Mostra d’Oltremare. Naturalmente ci andai e quando entrai in vasca Fritz mi salutò e mi disse che ero fuori squadra per la partita di Firenze! Rimasi stupito e senza parole e gli chiesi: “perché, cosa ho fatto?” Mi guardò con quel suo sguardo profondo e con il suo vocione mi rispose: “la moto si usa per camminare, non per star seduto fuori le scuole a conversare. Hai preferito all’allenamento facoltativo il cazzeggiare. Lo sport agonistico non è un sacrificio ma una scelta. La tua è stata sbagliata, la mia in conseguenza è quella di non portarti a Firenze!” Se a distanza di 43 anni ricordo ancora parole, orari, luoghi e i motivi di quella sua decisione è perché capii tantissime cose che mi hanno fatto crescere. Mi diede una grande lezione di vita».
Il secondo episodio?
«Fu in occasione di una partita a Sori, in Liguria. Andammo lì il giorno prima e la mattina della partita mi svegliai con la febbre a 38. Fritz venne in camera con l’allora dirigente Elio Betti e, sempre con il suo sguardo sornione e con il suo vocione, mi disse: “stamattina non venire in piscina a fare lo scioglimento, prendi 2 aspirine. Stasera la partita è importante e con la febbre si gioca meglio. Dopo la partita dormirai nel vagone letto del treno”. Veramente giocai bene e lì capii che per la squadra e per rispetto dei compagni bisogna sacrificarsi in tutte le circostanze».
Ritornando agli studi, quale facoltà scelse all’università?
«Economia e commercio senza alcuna esitazione. La matematica mi piaceva molto e il mondo economicofinanziario mi affascinava. Non disdegnavo assolutamente le materie giuridiche. Studiavo con interesse il diritto commerciale e il diritto privato che erano materie necessarie per la mia preparazione finalizzata alla scelta della futura attività lavorativa».
Quando si è laureato?
«Nel 1986 alla Federico II con il professore Francesco Lucarelli che ricordo con profondo affetto. Era un intellettuale, giurista e studioso di primo piano. Professore ordinario ed esperto in diritto privato è stato preside della facoltà di economia dell’ateneo. Ho impiegato un anno in più, accontendandomi anche di voti non alti perché durante il percorso universitario giocavo in serie A. Dovevo partecipare a duri allenamenti ed effettuare trasferte a livello nazionale. Per la tesi in diritto privato mi aiutò il mio amico e compagno di squadra Guido Criscuolo, oggi affermato notaio».
Dopo la laurea che cosa fece?
«Mi preparai per sostenere l’esame di abilitazione come dottore commercialista e feci il periodo di pratica presso lo studio dell’indimenticabile campione di nuoto Fofò Buonocore. Era carismatico, disponibile verso i giovani praticanti e sempre pronto a dare consigli non solo professionali. Anche lui è stato un maestro di vita». Ha esercitato la libera professione? «Sì. Nel 1990 aprii il mio studio e ho fatto il dottore commercialista per 15 anni».
E dopo?
«Nel 2006 ho dato una svolta alla mia vita professionale. Ho deciso di fare l’imprenditore e sono diventato azionista nel gruppo nascente Rossopomodoro con i miei soci ed amici Pippo Montella e Franco Manna. Ho assunto la carica di amministratore con delega alla Finanza del gruppo».
Di che cosa si occupa Rossopomodoro?
«È una catena italiana di pizzerie e ristoranti di cucina mediterranea. Era stata fondata a Napoli nel 1997 per merito di Franco Manna, Giuseppe Montella e Giuseppe Marotta. Seguirono quindi aperture a Roma e Milano. È stata una bellissima avventura di successo e abbiamo creato la prima vera catena italiana di ristoranti passando da 4 a 47 esercizi insieme ai marchi Pizza & Contorni e Anema & Cozze. Il gruppo è entrato, poi, nel circuito dei fondi di Private Equity e abbiamo avuto la partecipazione nel capitale del Fondo Quadrivio, italiano, che ha creduto in noi e, successivamente, di due Fondi inglesi».
Poi nel 2018 ha chiuso quest’esperienza. Perché?
«Un altro Fondo inglese acquisì il 100% del capitale. Quando cambia la proprietà, mutano gli scenari. Mi rimisi in gioco perché amo le sfide e mi lanciai in una nuova avventura». Quale? «Nel 2019 il Fondo Quadrivio, con il quale ho sempre avuto e mantenuto ottimi rapporti personali e di reciproca stima, rispetto e fiducia, mi ha chiesto la disponibilità a guidare un’azienda che stavano acquisendo nel settore dell’hospitality e del food. Ho accettato e dal 1 luglio 2019 sono alla guida di F&De Group».
Assunse questo nuovo impegno e dopo qualche mese, purtroppo, il fulmine a ciel sereno: scoppiò in Italia la pandemia da Covid 19.
«Sono stati anni pesanti. Da un giorno all’altro ho dovuto mettere in cassa integrazione circa 1.500 dipendenti che vivevano di stipendio. Ho dovuto cercare di aiutare psicologicamente persone, che sono in grandissima parte delle regioni del nord, non abituati a gestire i periodi di crisi e le problematiche più disparate. Ricordo che nei messaggi in videocall dicevo sempre: non abbiate paura del Covid, passerà; noi a Napoli abbiamo superato il colera, il terremoto, il problema immondizia, le crisi economiche e abbiamo sempre avuto il sorriso sulle labbra».
Recentemente è stato riconfermato vice presidente amministrativo del Circolo Canottieri Napoli. Quanto le è utile la sua esperienza professionale in questo ruolo?
«Un’Associazione sportiva dilettantistica, anche se di grandi dimensioni come il sodalizio giallorosso che annovera molte sezioni sportive, è una realtà diversa da quella di un’azienda vera e propria. Però alcune logiche gestionali sono molto simili con l’aggiunta che occorre conciliare le esigenze di regolarità di bilancio con le aspettative dei soci e, soprattutto, con il raggiungimento degli obiettivi sportivi che sono alla base della “mission” del circolo. Sono stato sempre convinto che non si finisce mai di imparare e il mandato confermatomi dall’Assemblea anche per il biennio in corso continuerà a darmi la possibiliotà di arricchirmi ulreriormente a 360°. Continuo a fare sport almeno 4 volte a settimana, mi diverto nella squadra master over 60 di pallanuoto, così da non farmi mancare l’agonismo della partita, e poi trovo molto bello incontrare nei vari tornei ex compagni di squadra ed avversari , così da rivivere ricordi belli di gioventù. Consiglio sempre ai miei amici di far fare sport ai loro figli e, se si appassionano, di farli allenare anche se hanno meno tempo per studiare. Se riescono nello sport e acquisiscono i principi dell’educazione sportiva riusciranno anche nella vita».
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