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il personaggio
16 Luglio 2025 - 22:29
Mimmo Falco (nella foto di Edoardo Tranchese) ha il diploma di laurea in Social-Welfare e la laurea in Servizio Sociale Facoltà di Scienze Sociali. È stato presidente del Corecom Campania, presidente della Fondazione Giordano Bruno di Nola, e vice presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. È vice presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania.
«Sono nato in un quartiere popolare, la Sanità, al vico Canale ai Cristallini 28. All’epoca si partoriva in casa e la mia famiglia abitava a via Santa Maria Antesaecula 107, nella casa di Totò. Ero il primo figlio e, per non lasciare sola mamma, papà decise di farla andare a casa di mia nonna distante circa 200 metri, dove venni alla luce il giorno dopo. Era un appartamento antico, all’ultimo piano, con la loggia a livello, come si chiamava allora il terrazzo. Ho vissuto da bambino in quel quartiere che mi ha regalato i grandi doni dell’umanità, dell’umiltà e della solidarietà. L’“economia” del vicolo era caratterizzata da quel profondo e caldo rapporto umano che sottende la più autentica napoletanità caratterizzandola e differenziandola dalle altre culture. La nostra, infatti, è quella greco-latina, cioè la “cultura dell’anima”, a prescindere dalla classe sociale di apparteneza. Dopo qualche anno ci trasferimmo a Fuorigrotta, nel Rione Lauro. Papà era uno dei primi marescialli dei Vigili Urbani e fece richiesta di un alloggio al Comandante Achille Lauro, all’epoca sindaco di Napoli, che l’accolse. Da casa nostra si vedeve lo stadio San Paolo in costruzione e, in lontananza, al di là dell’enorme campagna dove ora sorgono palazzi e negozi, era visibile nitidamente la metropolitana dei Campi Flegrei. Purtroppo papà morì prematuramente per un cancro lasciando mamma, Maria, con due bambini piccoli, io e mio fratello Alberto, che aveva due anni e mezzo mentre io ne avevo quattro in più. Anche Alberto a soli 47 anni ci lasciò per un infarto fulminante, arrecandomi il più grande dolore della mia vita perché eravamo legatissimi».
Dopo la maturità s’iscrisse all’università?
«Non subito perché volli iniziare a lavorare per contribuire a portare avanti la famiglia. Mamma non era riuscita ancora a trovare un’occupazione. Tramite un avvocato, amico di famiglia, fui assunto dalla società Cedoka esperta in consulenza del lavoro. Ci rimasi circa un anno e mezzo e poi andai via».
Perché?
«Fui assunto come contrattista nella Regione Campania. Era il 16 novembre del 1973 e da quel giorno la mia vita cambiò. Le Regioni erano nate da poco e gran parte del personale era formato dai “distaccati” dai ministeri. Il presidente della Giunta era Carlo Leone, fratello del Presidente della Repubblica, mentre il primo Presidente del Consiglio regionale fu il colonnello Giuseppe Onofaro. Dopo qualche tempo insieme ad altri giovani contrattisti partecipai a un concorso interno per entrare nel ruolo della Giunta o in quello del Consiglio con contratto a tempo indeterminato. Lo vinsi ed entrai nel ruolo della Giunta».
Quale lavoro faceva?
«Mi occupavo dell’ufficio stampa che era la cosa che più mi piaceva».
Perché?
«La mia attività giornalistica è iniziata appena diplomato. Mi piaceva scrivere e lo facevo bene. Grazie al professore Elio Michele Fusco, corrispondente da Napoli del “Secolo d’Italia”, organo di partito del Movimento Sociale Italiano, diventai anche io corrispondente del giornale da Pozzuoli».
C’è stato un episodio storicamente importante di cui lei fu protagonista. Ce lo ricorda?
«Ho fatto parte del gruppo di giornalisti che accolsero i profughi della Libia espulsi da Gheddafi al loro arrivo al porto di Napoli. In quell’occasione ho conosciuto Aldo Moro che, come ministro degli Esteri, venne a Napoli ad accoglierli. Ricordo che c’era un gruppo di monache. Per curiosità giornalistica mi avvicinai a una di loro che mi disse che la meravigliosa basilica cristiana di Tripoli sicuramente sarebbe diventata una moschea. Lo scrissi nel mio articolo. La sua previsione divenne realtà dopo qualche mese e io feci il primo scoop della mia carriera. Conservo ancora il giornale».
Ritorniamo al momento in cui vinse il concorso in Regione e si occupò dell’ufficio stampa. Conobbe una persona che diventò il suo mentore. Di chi si tratta?
«Del “mitico”giornalista Enzo Piscopo, responsabile dell’ufficio stampa della Giunta, che diventerà poi nel dicembre del 2007 il portavoce del cardinale Crescenzio Sepe e direttore dell’ufficio stampa della Curia. Grande professionista, ha seguito noi giovani con pazienza e grande affetto insegnandoci molto del difficile e delicato mestiere del giornalista».
Dove fu assegnato?
«All’ufficio stampa dell’assessorato degli Enti locali dove ho conosciuto Tommaso Masi, un dirigente molto preparato e di grande livello professionale. Quindi passai all’assessorato all’Agricoltura e poi all’Ersac, l’Ente di sviluppo agricolo per la Campania, e fui nominato responsabile dell’ufficio stampa».
Erano gli anni Settanta e si sposò con Maria Cristiano.
«Era il il 6 agosto, giorno di San Salvatore, del 1977. È la mia compagna di vita ed è la madre dei nostri tre figli: Luigi, Salvatore e Maria. Porta il nome di mia madre perché è stata la prima femminuccia a nascere dopo trent’anni nella nostra famiglia. La conobbi fuori la chiesa di via Epomeo perché da Fuorigrotta, nel 1969, ci eravamo trasferiti in quella strada, al parco Quadrifoglio. L’appartamento di Fuorigrotta era molto piccolo e mamma, rimasta vedova a 32, anni con me e mio fratello da crescere, era stata assunta come impiegata amministrativa al Comune di Napoli. Quindi come dipendente pubblica aveva potuto fare richiesta per l’assegnazione di un appartemento in quel parco».
Ci ha detto che aveva conosciuto sua moglie nel piazzale della chiesa. Ma in quale occasione?
«Ero impegnato in politica ed ero stato eletto come consigliere nella Circoscrizione. Quel giorno, con il nostro patrocinio, era in corso una manifestazione di beneficenza a favore dei meno abbienti. Maria faceva parte del gruppo dei giovani che preparavano i pacchi regalo. Ad un tratto i nostri sguardi si incrociarono, familiarizzammo e ci fu il fatidico colpo di fulmine».
Riprendendo la sua progressione di carriera, dopo l’assessorato all’Agricoltura passò nei ruoli del Consiglio regionale.
«Sono sempre stato affamato di sapere e di conoscenza. Ricordo che il grande Indro Montanelli diceva che il giornalista deve essere ignorante perché solo in questo modo può imparare tutto, ovviamente vestendosi di umiltà e professionalità. L’esperienza nel Consiglio è stata ancora più bella e formativa perché è l’organo che esercita i poteri legislativi e regolamentari attribuiti o delegati alla Regione e determina il suo indirizzo politico ed amministrativo. Dopo quarant’anni ho concluso la mia carriera come responsabile dell’ufficio di coordinamento del Questore al personale del Consiglio».
Durante il lavoro in Regione riprese a scrivere come giornalista sul Golfo di Ischia, un giornale fondato da Domenico Di Meglio.
«Avevamo la stessa fede ideologica. Dopo il congresso del Msi del gennaio 1977 che confermò Almirante, Democrazia Nazionale si scisse dal Msi e si trasformò in partito politico. Fui nominato coordinatore del gruppo regionale Dn e da Ischia fu comandato dal Comune di Serrara Fontana Di Meglio. Eravamo entrambi giovani e Domenico era un vulcano desideroso di fondare un giornale. Creò un settimanale con il nome “Lo Sport isolano”. Nessuno credeva in lui e invece fu un successo al punto che il settimanale divenne quotidiano e prese il nome “Il Golfo di Ischia”, oggi “Il Golfo”. Cominciai a collaborare con lui come opinionista politico e feci la pratica per l’iscrizione all’Albo come giornalista pubblicista. Diventammo un binomio vincente».
Poi conobbe il compianto Mimmo Castellano e fu la seconda sliding doors della sua vita professionale.
«Gli devo tantissimo e gli sarò riconoscente per tutta la via. È stato il mio maestro. Era il 1982 e Mimmo Castellano, anche lui dipendente della Regione Campania, aveva la responsabilità dell’ufficio stampa dell’assessorato al Turismo, Sport e Spettacoli. Un giorno, mentre eravamo sotto il portone del Palazzo di Santa Lucia, si avvicinò un signore molto distinto. Era Nando Rocco, il presidente dell’Associazione Granaria Meridionale, che raggruppava tutti i produttori di grano tra cui Casillo e Ambrosio. Rivolto a Mimmo gli disse che gli serviva un giornalista perché voleva fondare il primo telegiornale della Campania. Mimmo, senza che io sentissi, fece il mio nome. Mi convocò e, dopo un provino, mi affidò la direzione del nascente telegiornale della sua emittente, Telelibera 63, con sede al Parco Comola Ricci 53. Misi in piedi una redazione di alto livello con giovani giornalisti di razza tra cui Carlo Alvino, Gianni Filosa, Genny Bruzzano e Rodrigo Rodriguez e tre squadre esterne di cameramen e operatori. Li ricordo tutti! Ogni giorno terninavo di lavorare alle 15 in Regione e mi precipitavo negli studi televisivi».
Anche con Telelibera 63 fece uno scoop.
«Dovevo intervistare una persona al Gambrinus quando ricevetti una telefonata da Bruzzano che si trovava nella sala stampa della Questura. Mi disse di andare subito a calata San Marco perché era scoppiata una bombola di gas al club americano USO. Quando arrivai mi trovai di fronte ad una scena raccapricciante con corpi dilaniati da un’esplosione. Non si trattava di una bombola di gas ma di un’autobomba. Ero l’unico giornalista presente e diedi immediatamente la notizia del primo attentato terroristico che poi fu rivendicato dall’Armata rossa giapponese. Morirono un venditore ambulante, 3 passanti italiani e una militare Usa. Il 14 aprile del 2021 è stata posta sul luogo della strage una targa commemorativa che ricorda le 5 vittime. Quando Telelibera 63 fu venduta passai a Napoli Tv».
Nel 2001 ancora una svolta nella sua vita professionale perché inizia il suo percorso come rappresentante apicale della categoria dei giornalisti.
«Fui eletto vice Presidente Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Ho ricoperto questa carica per sei anni cioè per due mandati. La morte di Mimmo Castellano, vice Presidente storico dell’Ordine campano, aveva creato un vuoto enorme soprattutto sutto l’aspetto organizzativo. Decisi, perciò, di rientrare a Napoli e dare il mio contributo a livello terriroriale. Mi candidai e fui eletto consigliere. Dal 2007 sono vice Presidente dell’Ordine regionale senza interruzione».
Che cosa alimenta questo suo impegno delicato e difficile, una vera “missione”?
«Amo mia moglie e voglio molto bene ai miei figli e ai nipotini, ma il giornalismo in senso lato è la mia linfa vitale. Ho conosciuto la realtà vera della quotidianità del territorio e continuo a lottare per un giornalismo che sia cronaca oggettiva, scevra da faziosità, interferenze e protagonismi di ogni genere».
Com’è oggi il giornalismo, soprattutto quello della carta stampata?
«Come vice presidente dell’organo di rappresentanza della categoria campana mi dedico prevalentemente ai giornalisti pubblicisti e alle molteplici e profonde difficoltà in cui versa questa categoria. Continua a prevalere una visione napolicentrica per cui non vengono giustamente apprezzate le qualità dei collaboratori sparsi su tutto il territorio regionale. Sono mal pagati o addirittura lavorano senza remunerazione, non hanno sbocchi perché i giornali non assumono e lasciano questo bellissimo mestiere».
C’è un rimedio a questo stato di cose?
«Soprattutto nel Meridione occorre una strategia strutturale delle istituzioni e degli editori. Esistono giornali storici che boccheggiano per sopravvivere. Questa crisi paurosa è poi aggravata dal dilagare incontrollato di valanghe di notizie molto spesso false, diffuse su internet, e dalla presenza di personaggi anche pubblici che vivono di protagonismo mediatico. Occorre tornare al giornalismo vero e autentico».
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