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Stefano Fiore, l’università come vocazione e lo sport come ispirazione

«Famiglia, libri, cinema e viaggi gli altri compagni della mia vita»

Stefano Fiore, l’università come vocazione e lo sport come ispirazione

Stefano Fiore (nella foto) è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Napoli. È titolare della Cattedra di Diritto penale presso l’Università degli Studi del Molise. Nel 1992 ha conseguito con lode il Diploma di specializzazione in Diritto e Procedura penale presso la Scuola di specializzazione in diritto e procedura penale dell’Università degli Studi di Napoli. È avvocato penalista iscritto all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine di Napoli. Nel 2011 ha deciso di optare per il “tempo pieno” all’università.
«Nasco a Napoli nel 1964 e con brevi eccezioni, ho sempre vissuto in questa città. Il mio percorso scolastico si è svolto nelle scuole del Vomero dove ho abitato per moltissimo tempo e si è concluso al liceo Pansini dove ho conseguito la maturità classica. Gli anni del liceo erano quelli immediatamente successivi alle proteste del Movimento del 1977, i cui echi erano tuttavia ben vivi nei licei napoletani e in alcuni casi la tensione era ancora chiaramente percepibile, al pari però della voglia, sincera e creativa, delle ragazze e dei ragazzi di partecipare alla vita politica e civile».
Oltre allo studio praticava qualche attività sportiva?
«Lo sport è stata una costante che ha accompagnato e ancora accompagna la mia vita. In realtà non riuscirei a descrivermi correttamente omettendo la parte che riguarda l’attività sportiva (agonistica e non). Ho iniziato, piccolissimo, con il nuoto che ho ripreso a praticare più volte in fasi diverse della mia vita, l’ultima delle quali è quella in corso alla Canottieri Napoli, cosa che mi ha consentito di tornare al Circolo che avevo frequentato da adolescente, praticando per tre anni il canottaggio. L’altro sport molto presente (non solo) nella mia gioventù è stata la pallacanestro, che ho continuato a praticare, sia a livello agonistico che amatoriale, per moltissimi anni, sui migliori ma anche sui peggiori campi della nostra regione (rimpiango entrambi, ovviamente), fino a quando gli inequivoci segnali di “usura” fisica hanno suggerito di rallentare conducendo infine alla forzata rinuncia. In questo elenco dovrebbero essere compresi anche altri sport, quantitativamente meno presenti, ma altrettanto importanti, come la pallamano che mi ha consentito di rappresentare con la squadra del mio liceo la Campania alle finali nazionali dei Giochi della Gioventù e che completano un quadro di esperienze formative che hanno contribuito “concretamente” a costruire la mia identità».
Dopo la licenza liceale si iscrisse all’Università. Quale facoltà scelse e come è stato il suo percorso universitario?
«La scelta di iscrivermi a Giurisprudenza fu inizialmente “tormentata”, essenzialmente per ragioni riconducibili al fatto che mio padre insegnava in quella facoltà e questo ovviamente rappresentava un condizionamento personale, oltre ad essere fonte di possibili pregiudizi sugli esiti della mia futura carriera universitaria. Superati i dubbi e consapevole che il carico di responsabilità che sentivo era, alla fine, una prova utile a testare la mia motivazione e le mie capacità, il percorso universitario è stato ricco di gratificazioni personali, ma soprattutto - come sono certo valga per molti - quegli anni hanno rappresentato il luogo “fisico e ideale” nel quale era ancora possibile coniugare la leggerezza dell’età giovanile e le responsabilità che l’ingresso nel mondo degli adulti comportava. Ne serbo un ricordo scevro da nostalgia e pieno di gratitudine, anche per le persone che ho conosciuto. Tra queste c’è anche mia moglie, incontrata appunto sui banchi dell’Università, all’ultimo anno di corso e che ho sposato pochi anni dopo».
Riusciva a concedersi qualche distrazione?
«Certamente. Non ho mai avuto, neppure adesso che insegno, una visione claustrale della vita universitaria; anzi, come per tutte le esperienze, la varietà degli interessi, l’apertura, la diversificazione dell’impegno e la conseguente necessità di pianificare il proprio tempo, fissare priorità e saperle riorganizzare, rappresentano fondamentali fattori di crescita. Sarebbe insano fare diversamente. Non ho mai rinunciato, ad esempio, al rito di uscire con gli amici la sera prima di ogni esame: era certamente presente una componente scaramantica, ma in realtà nella trascurabile ritualità di quel gesto c’era anche la volontà di riaffermare non solo la possibilità ma in qualche modo la necessità di trovare un equilibrio e la convinzione che le rinunce, piccole o grandi che siano, sono a volte necessarie ma non devono essere autoinflitte come condizione di vita».
Chi considera il suo maestro?
«Ho avuto la fortuna e il privilegio di crescere scientificamente nel contesto estremamente stimolante di una prestigiosa Scuola, quella penalistica napoletana, che considero il mio Maestro “collettivo”, per così dire. Sono dunque molte le persone alle quali devo qualcosa e ad alcuni devo più di altri, ma il mosaico della mia gratitudine è formato da molte tessere, tutte fondamentali. Certamente la figura di mio padre, che ha avuto, lui sì, la riconosciuta statura scientifica e accademica di un Maestro, nel senso pieno del temine, assume nella mia formazione indubbiamente un ruolo centrale, ma comprensibilmente le dinamiche accademiche mi hanno posto in relazione diretta e indiretta con altri riferimenti che hanno attraversato più di una generazione. Tra questi, certamente merita di essere ricordato il professore Vincenzo Patalano, che ha saputo guidarmi con autorevolezza, affetto e intelligenza in tutta la prima parte della mia carriera universitaria».
Con quale tesi si è laureato?
«La mia tesi di laurea, relatore proprio Patalano, che poi sarebbe diventata a distanza di qualche mese anche la mia prima pubblicazione scientifica, era dedicata a “La condotta susseguente al reato”, tema che il mio relatore definì, introducendo la discussione, una scommessa che aveva fatto con il candidato e che riteneva fosse stata vinta. Tra gli aspetti a margine del lavoro di compilazione della tesi, può apparire singolare oggi ricordare che quella fu l’occasione per avere - come regalo anticipato - il mio primo personal computer: nel 1988 non era così usuale e questa precoce dimestichezza con gli strumenti informatici mi ha sicuramente giovato, consentendo di sviluppare, in tempi più recenti, metodiche didattiche innovative, proprio grazie all’uso integrato dei formidabili strumenti dei quali oggi disponiamo».
Dove ha cominciato la sua attività lavorativa e professionale e perché decise di intraprendere la carriera universitaria?
«Dopo la laurea ho iniziato parallelamente la pratica forense nel prestigioso studio dell’avvocato Adriano Reale, altra figura fondamentale per la mia formazione professionale e umana, e il percorso di studio e di ricerca necessario a gettare le basi di quella speravo potesse essere la mia carriera universitaria. Tra le fortune che ho avuto c’è anche quella di appartenere ad una generazione di professionisti il cui “teatro di formazione” era Castelcapuano. L’asettica (dis)funzionalità del Centro direzionale, dove gli uffici giudiziari furono trasferiti qualche anno dopo, ha sottratto certamente un po’ di fascino e forse anche un pizzico di umanità a quella esperienza. Non indulgerò tuttavia in atteggiamenti nostalgici, né tanto meno intendo assecondare una mitologia retrospettiva dei luoghi e dei tempi passati: c’erano già allora esigenze pratiche e gestionali che non era possibile ignorare e che richiedevano luoghi e strutture diverse. Una volta abilitato come avvocato ho affiancato mio padre nell’attività del suo studio e successivamente ho svolto la professione in un contesto associato, insieme ad alcuni professionisti napoletani di grandissimo valore, amici fraterni e preziosi ancora oggi. La mia esperienza professionale, che considero parte integrante e non rimovibile della mia identità, è durata per oltre 20 anni fino a quando, nel 2011, ho deciso di optare per il “tempo pieno” all’università. Non è stata una scelta facile e ci sono aspetti della professione che decisamente mi mancano molto (in particolare l’udienza, il contraddittorio, la discussione), ma ha prevalso la volontà di rendere più completa la dimensione universitaria, che intendevo arricchire con esperienze che erano difficilmente compatibili con un’attività professionale così responsabilizzante come quella di avvocato penalista. Nel frattempo, infatti, incoraggiato da chi allora mi guidava, il mio impegno scientifico era proseguito e, dopo alcune tappe “obbligate” - compresa l’esperienza all’estero nella mia amata Friburgo - ancora molto giovane, avevo vinto prima un concorso come ricercatore e poi, in tempi abbastanza ravvicinati, quello come professore associato e infine come professore ordinario nel settore scientifico disciplinare del diritto penale».
Attualmente è titolare di quale cattedra e presso quale Ateneo?
«Sono titolare della Cattedra di Diritto penale presso il Dipartimento Giuridico della Università degli Studi del Molise, dove insegno da molti anni e dove, nel tempo, ho ricoperto anche diversi ruoli all’interno della governance di Ateneo (Direttore di Dipartimento, membro del Consiglio di Amministrazione, tra gli altri). Naturalmente negli ormai oltre trent’anni di insegnamento ho avuto in affidamento o titolarità anche altre cattedre, sempre di materie dell’area penalistica; numerose sono state poi le esperienze nell’ambito della formazione post universitaria e professionalizzante. Questo mi ha concesso il privilegio di essere in contatto con un numero enorme di studentesse e di studenti, nonché di giovani studiosi, dai quali, mi si perdoni il tono che potrebbe suonare retorico, ho ricevuto molto più di quanto sia stato capace di dare».
Nel tempo libero coltiva qualche passione e/o hobby?
«A parte la costante e già ricordata presenza dello sport, praticato e promosso in varie forme e in molte sedi (mi piace ricordare i dieci anni trascorsi come dirigente del settore giovanile dell’Amatori Napoli Rugby), le mie giornate e in generale la mia vita non sarebbero le stesse senza libri, cinema e viaggi. Tre cose che si contendono tutti gli spazi lasciati liberi dagli impegni e non prevaricati dalla pigrizia, tre passioni, voglio sottolinearlo in conclusione, non solo trasmesse ma soprattutto condivise con i miei figli: ricordare i viaggi - per fortuna sono tanti - fatti insieme o discutere di un film con loro sono momenti nei quali avverto con particolare precisione la forza dei nostri legami».

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