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il personaggio
17 Luglio 2025 - 16:56
Giacomo Lus (nella foto) è nefrologo presso l’U.O.C. Nefrologia ed Emodialisi in elezione e in emergenza del Cardarelli. È specializzato anche in cardiologia.
«Mi sento un pochino siciliano, un po’ irpino, ma di fatto sono napoletano. La mia cara mamma mi ha fatto nascere a Napoli, nella allora Villa dei Gerani, poiché qualche anno prima aveva perso a casa il mio fratellino Ciruzzo, che era appena nato. Sono venuto così bene, che anche mio fratello Pasquale, oggi insegnante in pensione, nacque nella stessa clinica due anni dopo. La nonna materna era di Mazara del Vallo, venuta in Irpinia per fare la maestra a Fontanarosa, e volle che le sue figlie nascessero siciliane. Anche la mia mamma era dunque di Mazara del Vallo. Dato che il nonno paterno era palermitano, ecco il sangue siciliano che scorre nelle mie vene. Il mio cognome, un po’ insolito e storpiato da molti, avrebbe origini spagnole o anche di provenienza dall’America latina. Il nonno materno era il sindaco di Fontanarosa, città della pietra in Irpinia ed è lì che ho vissuto i miei primi sei anni, in una casa padronale, piena di gente, soprattutto sei cugini e un paio di nutrici e donne di compagnia che hanno reso indimenticabile la mia infanzia in paese. Si giocava in giardino tutto il giorno, giochi antichi e giochi inventati da noi, ma il pallone non mancava mai e la sera si medicavano le ferite - povere ginocchia! Mi dicono che avevo uno spirito teatrale, creavo storie e le sceneggiavo e le raccontavo o rappresentavo ai cugini, tutti attenti ad ascoltarmi e i grandi trovavano modo di riposare un po’. Allora si veniva su con i fumetti Disney, che raccoglievamo ogni settimana con cura. A Disney seguirono alcuni anni dopo i supereroi; possedevo collezioni intere di Batman e Superman».
Dove ha studiato?
«Il primo giorno di asilo - si chiamava così - dalle suore: è un ricordo terribile; mi trascinavano in tre, mentre io urlavo e piangevo. Ci volle un po’ di tempo per abituarmi alla disciplina di scuola. In estate si andava al mare dagli zii a Torre del Greco e lì ricordo altri pianti perché non mi piaceva l’acqua fredda del mare e i cugini napoletani mi trascinavano in acqua, probabilmente facendosi beffe di me. Un bel giorno la mia famiglia si trasferì a Portici per preparare il futuro ai figli e oggi vivo ancora nella stessa casa da oltre sessanta anni. Portici era una splendida cittadina di vacanza, pronta a diventare un dormitorio di Napoli per le schiere di famiglie che arrivavano da tutta la regione. Ben presto è diventata una realtà gioiello, piena di fermenti artistici e culturali; convivono molto bene e civilmente professionisti, imprenditori, commercianti e tanta brava gente. In quattro chilometri quadrati ci godevamo sette cinema, un parco borbonico, una grande villa comunale e mare e spiagge molto belle».
Dopo l’asilo le elementari.
«Le ho frequentate con dei magnifici maestri, che oggi ricordo con affetto profondo ed ero un alunno modello; tuttavia non mi sono fatto mancare mai bacchettate e… in ginocchio dietro la lavagna sopra i chicchi di granone (mais). Il mio maestro era lucano, un uomo d’altri tempi, che qualche mese prima di morire mi restituì i miei quaderni di scuola che aveva conservato per quaranta anni. Ci volevamo veramente un gran bene!».
Quindi le medie e le superiori.
«Eccellenti le prime e di grande spessore le seconde al liceo classico. Tutti in famiglia erano insegnanti e davano un gran valore all’educazione scolastica. Ricordo che s’inventavano teoremi di matematica e si traduceva dal greco direttamente in latino».
Praticava qualche attività sportiva?
«Il nostro sport in Irpinia era il ciclismo, cui mi dedicavo tutte le volte che si poteva, soprattutto nelle lunghe giornate d’estate trascorse con i cugini. Qui si passavano estati splendide piene di divertimenti e di monellerie; amavo i miei cugini, che vedevo in tutte le feste dell’anno scolastico».
Poi le vacanze mutarono località.
«Quando nel 1968 ci lasciò il nonno materno, le estati cambiarono colore; si cominciò ad andare in Sicilia, a Mazara del Vallo nei due mesi estivi. È un comune del libero consorzio comunale di Trapani, affacciato sul Mar Mediterraneo, alla foce del fiume Màzaro, a meno di 200 km dalle coste tunisine del Nord Africa. È famosa principalmente per due motivi: il suo importante porto peschereccio, uno dei più grandi del Mediterraneo, e il ritrovamento del “Satiro Danzante”, una statua bronzea di epoca ellenistica. Per me in questo luogo il tempo era fermo, l’aria mi sembrava immobile, la noia era forte, si lasciavano tutti gli amici di Napoli per far contenta la mamma. In quell’atmosfera certamente non allegra nacque la mia passione per la lettura. Leggevo anche un libro al giorno, di qualunque argomento, ed ero felice di scambiarli, commentarli e discutere con gli amici».
Poi con gli amici “inventò” il calcetto.
«A Ercolano, nella villa di un mio amico di infanzia, oggi valente oculista, un fattore ci costruì due porte da calcetto e in un campetto di poche decine di metri si giocava in otto, tutti i fine settimana, per almeno cinque ore al giorno. Quando mancava qualcuno, cercavamo bambini del vicinato, che sono cresciuti con noi liceali, venerandoci come calciatori di grido».
Dallo sport poi passò alla musica.
«Nacque prima la passione per il tennis. È durata per anni e lo giocavamo con grande agonismo; organizzavamo tornei e stazionavamo nel circolo per giornate intere nei fine settimana. Poi musica e anche politica. Ricordo riunioni in cantina o nei box a parlare di musica e politica e ad ascoltare e suonare musica dell’epoca. Con il diploma liceale, raggiunto con il massimo dei voti e la lode terminò la parte più bella della mia vita. Da allora si cominciò a fare sul serio!».
Perché si iscrisse alla Facoltà di Medicina?
«La scelsi per seguire la moda del tempo, ma la mia decisione fu assai gradita da tutta la famiglia».
Come impiegava il tempo libero?
«Era molto contenuto e concentrato soprattutto nel sabato pomeriggio. All’epoca le distrazioni erano un film, un gelato e la caccia alle ragazze. Ma ho avuto e ho ancora tanti amici che sento e amo. Si viveva bene e in serenità: le ragazze rientravano a casa alle venti, noi ragazzi alle ventuno per cena e si relazionava ai genitori quasi tutto quello che si era fatto nel pomeriggio. Ci sentivamo veramente tanto amati e pensavamo che il nostro compito fosse quello di farli sentire orgogliosi di noi».
Come è stato il suo percorso universitario?
«Cinque anni e mezzo di studio matto e disperatissimo, di cui non mi pento, perchè sono stati anni di investimento per il futuro».
Ha avuto un maestro nel corso della sua formazione?
«Gran parte della mia formazione umana e culturale la devo alla mia famiglia, sono stati loro i miei maestri; alla facoltà di Medicina eravamo troppi perché potessero dedicarci tempo, si sgomitava per una domanda al professore! Però un giorno scelsi di preparare una tesi in Nefrologia. Scelsi (e fui scelto) il professore Memoli, una cara persona che mi ha seguito per oltre un anno fino alla laurea che ho conseguito nel 1981 a pieni voti con lode».
Con quale tesi?
«La mia tesi, molto apprezzata, riguardava i filtri per emodialisi, le proprietà chimico-fisiche delle loro membrane».
In sintesi e in parole semplici, se è possibile, che cosa sono?
«I filtri per emodialisi, noti anche come dializzatori, utilizzano membrane semipermeabili per rimuovere le scorie e l’acqua in eccesso dal sangue dei pazienti con insufficienza renale. Queste membrane sono caratterizzate da proprietà chimico-fisiche specifiche che ne consentono il funzionamento, tra cui: permeabilità selettiva, biocompatibilità e superficie di scambio».
Ne conseguì la scelta della scuola di specializzazione in nefrologia.
«Mi sono specializzato in questa branca della medicina che si occupa della diagnosi e della cura medico-farmacologica delle malattie renali acute e croniche, dei disturbi urinari, dell’ipertensione arteriosa, dell’insufficienza renale nei vari gradi di malattia e nelle varie età della vita, fornendo prescrizioni terapeutiche, alimentari- nutrizionali e, quando necessario, orientando verso la terapia renale sostitutiva o il trapianto renale. Nel corso della scuola ho lavorato con i giovani colleghi del II Policlinico e poi nella Nefrologia del Cardarelli, dove ho avuto come maestro di vita il professore Sorrentino. Al mattino si parlava per un’ora del lavoro del giorno - oggi si chiama briefing - e si affrontavano argomenti vari dalla politica allo sport, alla cucina, alla letteratura alla storia, perché lui era un uomo di grande cultura».
Nel frattempo si occupava di studi sperimentali sulla dialisi.
«Sì, e collaboravo con ingegneri e radiologi a scrivere dei lavori scientifici».
Ha trovato anche il tempo di prendere una seconda specializzazione.
«Cardiologia, che seguo con simpatica passione. Oggi l’ospedale mi assorbe molto tempo, ma seguo da sempre ambulatori di dialisi in diversi comuni del Napoletano».
È sposato?
«Dopo gli studi universitari era giunto il momento di creare una famiglia; nel 1993 ho sposato Tiziana, una splendida moglie e una valente insegnante e qualche anno dopo è arrivata Maria Pia, la gioia delle nonne e il completamento della famiglia. Mia moglie è originaria di San Giovanni Rotondo, dove ci rechiamo spesso a onorare Padre Pio e a passare un po’ di tempo con la sua numerosa famiglia. E così, tra San Ciro patrono di Portici, San Pio, San Giuseppe Moscati e San Josemaria Escrivà, ci sentiamo in una botte di ferro. Fin da bambino ricordo di aver osservato con serietà i sacramenti, di aver frequentato la Messa ogni festa comandata e di aver avuto tanti amici sacerdoti con i quali chiacchieravo e mi consigliavo con assiduità. Anche oggi mi sento tanto vicino al Signore e non passa ora che io non la dedichi a preghiere, letture e meditazione, senza trascurare incontri a carattere formativo religioso; questo mi fa sentire sempre il carburante per la giornata. Per questo motivo sorrido al mondo e alla vita quotidiana».
Tante passioni in gioventù, ma da adulto qual è il centro della sua vita quotidiana?
«La famiglia. Poi prediligo una attenta formazione spirituale, una vita contemplativa e di preghiera, opere di bene verso tutti, in quanto li considero fratelli. Il mondo è una grande famiglia e ognuno è in collegamento con il prossimo. Dobbiamo sentire un trasporto verso chiunque ci circonda e il nostro ruolo nel mondo è essere al servizio degli altri. Vivo felice con la mia cara moglie , mia figlia giovane dottoressa quasi nefrologa e quasi sposa e i nostri barboncini Mya ed Ambra. E faccio il tifo per il Napoli!».
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