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Carmine Malzoni: «Sotto la mia direzione, sono nati circa 136.000 bambini»

Il prossimo dicembre festeggerà il 60esimo anno di laurea

Carmine Malzoni: «Sotto la mia direzione, sono nati circa 136.000 bambini»

Carmine Malzoni

Carmine Malzoni nasce ad Avellino il 23 giugno del 1941. Si laurea in medicina e chirurgia all’età di 24 anni con il massimo dei voti nel dicembre del 1965 presso l’allora Università degli studi di Napoli; poi Seconda Università di Napoli (SUN), attualmente Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Il prossimo dicembre festeggerà il 60° anno di laurea. Consegue, cum laude, nel 1965 la specializzazione in ginecologia e ostetricia, presso la suddetta Università. È stato assistente di ruolo nella stessa Università fino al 1973 e anni dopo professore di specialità alla SUN e all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

«Nasco ad Avellino e sono il secondogenito di Mario e Giada Porcelli. Ho avuto una sorella Mariella. Mio padre ha fondato ad Avellino la Clinica Malzoni nel 1957, ove erano operativi i reparti di ginecologia, ostetricia, chirurgia generale, ortopedia, nefro-urologia. In clinica inizialmente vi erano 30 posti letto, nel corso degli anni la sede è stata ingrandita fino agli attuali 160 posti. È dotata di 5 sale operatorie, di una Terapia Intensiva Neonatale (TIN), di una Terapia Intensiva Post-Chirurgica (TIPC) e di un centro di dialisi».

Dove ha studiato?

«Ho frequentato la scuola elementare, la scuola media inferiore ad Avellino. Nella stessa città ho frequentato il liceo classico "“Pietro Colletta”, del quale ho un ottimo ricordo».

Quali materie preferiva?

«Ho sempre avuto una grande passione per i numeri anche se le ore dedicate alla matematica durante il corso di studi erano poche. Un’altra disciplina che mi ha appassionato sin da bambino è stata la storia, per il suo fascino misterioso».

Praticava qualche sport?

«Ho praticato la pallacanestro a livello agonistico fino all’età di 18 anni. Ho giocato nella squadra della mia città natale che in quegli anni militava in serie C».

Dopo la licenza liceale scelse di iscriversi alla facoltà di medicina e chirurgia. Perché?

«Mio padre era ginecologo, fu primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di Avellino e presidente dell’Ordine dei medici della stessa città. Mi trasmise la passione per la ginecologia e fu quasi una scelta prevedibile e ovvia».

Come ricorda gli anni universitari?

«Ho vissuto a Napoli per 12 anni, durante i 6 anni di studi universitari, 4 anni di specializzazione e 2 anni in cui divenni assistente di ruolo nel reparto di ginecologia dell’Università di Napoli. Ho un ricordo indelebile di Napoli ove ho vissuto gli anni della mia giovinezza, ove ho vissuto nella bellezza di una città incantevole».

Con quale tesi si è laureato?

«Con una tesi sperimentale sulla malattia emolitica del neonato, detta anche malattia emolitica fetale altrimenti detta eritroblastosi fetale. È una malattia in cui i globuli rossi del feto o del neonato vengono distrutti prematuramente a causa di un’incompatibilità immunologica con il sangue della madre. La loro causa anche anemia e ittero».

Qual è stata la sua prima esperienza lavorativa?

«Fui assistente di ruolo all’Università fino al 1973 e anni dopo divenni professore di specialità alla SUN e alla Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dopo qualche anno dalla morte di mio padre, avvenuta quando avevo 28 anni, decisi di licenziarmi dall’Università e mi dedicai al miglioramento dei reparti di ginecologia e di ostetricia della clinica “Malzoni”».

Qual era il suo progetto quando decise di licenziarsi dall’Università?

«L’intento era quello di creare dei “reparti ospedalieri privati di eccellenza” dotati di personale medico e paramedico autonomo, non solo in ambito ostetrico e ginecologico, ma anche in molte altre specialità mediche, che potessero esser punto di riferimento per l’assistenza sanitaria regionale e oltre. Ero fermamente convinto che non ci fossero limiti qualitativi nelle prestazioni e che anche una struttura privata nell’ambito del Sevizio Sanitario Nazionale potesse erogare servizi di alto rilievo».

Ha sempre cercato di portare innovazione nell’esercizio della sua professione?

«Decisi di dedicarmi all’oncologia ginecologica che all’epoca in Italia praticavano solo pochi centri. Ragion per cui ho acquisito competenze di chirurgia generale, di chirurgia vascolare, di urologia e di tecniche anestesiologiche in modo da poter esser un chirurgo completo e risolvere complicanze gravi che avrebbero richiesto un’equipe multidisciplinare. Ho organizzato numerosi congressi e ho invitato centinaia di colleghi per discutere sulle innovazioni e sui progressi in campo ginecologico, ostetrico e oncologico. L’utilizzo della partoanalgesia, insieme delle tecniche per alleviare o eliminare il dolore durante il travaglio di parto e il parto, risale al 1965. Durante un viaggio in Giappone nel 1971 acquistai il Sonicaid, un dispositivo elettronico per auscultare il battito cardiaco fetale. La prima isteroscopia, esame endoscopico che permette di visualizzare e intervenire nell’interno dell’utero, risale agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso. Il primo ecografo utilizzato per la diagnostica ginecologica e ostetrica risale al 1978. L’Unità di ostetricia della clinica Malzoni si avvale della presenza della TIN (Terapia Intensiva Neonatale) per la cura dei neonati critici e prematuri già da decenni. Il primo apparecchio diagnostico TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), oggi detto TC (Tomografia Computerizzata), fu installato in clinica nel 1981».

Si occupa anche di ostetricia?

«Nell’Unità di Ostetricia, sotto la mia direzione, sono nati circa 136.000 bambini e il tasso di tagli cesarei è del 14% per la primigravida. Inoltre, la prima amniocentesi l’ho effettuata nel 1979, tra i primi in Italia in collaborazione con Carlo Valente che la praticava già negli Usa. Ho effettuato circa 90.000 amniocentesi. La prima tecnica di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) tramite FIVET (Fecondazione In Vitro con Embryo Transfer) risale al 16 novembre del 1987 in collaborazione con l’Università di Napoli. Fu la prima procedura nel sud Italia e i primi 100 trattamenti furono offerti gratuitamente».

La sua grande passione è la ginecologia oncologica?

«Ho imparato tecniche chirurgiche dai migliori professionisti nazionali e internazionali, invitando costoro nella mia clinica. Ho effettuato il primo intervento di isterectomia radicale nel 1968 a una donna di 38 anni affetta da cancro originaria di Solofra, un paese della provincia di Avellino. Son lieto di avere avuto due figli, Annamaria e Mario, che hanno seguito le mie orme e attualmente sono professionisti affermati e apprezzati. In particolare, mio figlio si occupa di laparoscopia ed è riconosciuto esser uno degli esperti più affermati a livello mondiale. Abbiamo organizzato congressi internazionali che ci hanno fatto conoscere nel mondo da numerosi specialisti nel settore della laparoscopia. Tutto ciò è stato coronato, nel 2019, da un prestigioso riconoscimento europeo da parte dell’ESGO (European Society of Gynaecological Oncology [Società Europea di Ginecologia Oncologica]), ovvero abbiamo ricevuto la certificazione di centro d’eccellenza europeo nella cura dei tumori ginecologici, unitamente ad altri 8 centri oncologici europei. Il Centro Oncologico Malzoni nell’approccio alle patologie oncologiche si avvale dell’ausilio del G.O.M. (Gruppo Oncologico Multidisciplinare) costituito da: ginecologo oncologo, oncologo medico, anatomopatologo, radioterapista, radiologo, ecografista e anestesista».

Lei pratica anche la chirurgia per via vaginale?

«Negli ultimi anni la chirurgia per via vaginale è prepotentemente ritornata in auge e le indicazioni per questa terapia chirurgica si sono avvalse dell’introduzione di nuove tecniche. Il primo intervento ginecologico per via vaginale l’ho effettuato nel 1970. Si tratta di una tecnica mininvasiva, indicata per alcune patologie, che si esegue attraverso la vagina e permette un recupero post-operatorio e tempi di degenza più brevi rispetto all’accesso per via addominale».

In quale ambito della medicina, secondo lei, si troveranno le risposte ai quesiti attuali?

«Sicuramente nell’immunologia. Infatti, le ricerche mediche degli ultimi anni virano in tale direzione e hanno ribadito l’importanza che il sistema immunitario assume nel determinismo dell’eziologia di numerose malattie. Già da decenni si considera la gravidanza alla stessa stregua di un trapianto. Al momento della fecondazione lo spermatozoo entra nella cellula uovo e diventa un’entità autonoma e diversa rispetto alle cellule di origine detta zigote. Dopo qualche giorno lo zigote si divide in molte cellule e si avrà l’impianto nell’utero, ed è proprio l’impianto che segue le stesse regole di un trapianto. L’organismo della donna tenderebbe attraverso il suo sistema immunitario, che induce la coagulazione del sangue, a rigettare l’embrione, il quale a sua volta ha le strutture idonee per difendersi. Quindi la sopravvivenza dell’embrione dipende dalla prevalenza dello stesso o del sistema immunitario materno. Se l’embrione è sano avrà l’apparato di difesa idoneo alla sopravvivenza».

Come l’Intelligenza Artificiale potrà agevolare la pratica medica?

«Certo, non possiamo ignorare i proficui benefici di cui la medicina potrà disporre grazie all’Intelligenza Artificiale. Questa tecnologia ci consentirà di dialogare con il nostro sistema immunitario per consentire la soluzione di problemi terapeutici non solo nel settore oncologico. Cionondimeno, dovrà esser utilizzata nel modo giusto. È un’occasione da non perdere per il progresso tecnologico».

Cosa le ha donato il suo lavoro?

«Soddisfazioni straordinarie, mi sento in debito con la vita. Ho avuto una vita lunga, non mi par vero di aver potuto erogare salute e gioia agli altri. Ho avuto il privilegio di aver assistito al miracolo della nascita e di aver dato dignità alle pazienti terminali. Son grato alla vita di aver avuto l’opportunità di aver salvato molte donne affette da tumori gravi. Un piacevole ricordo sono i miei viaggi in Albania, al confine con il Kosovo, iniziati nel 1986, con i missionari della Caritas per dare assistenza medica ai meno fortunati. Per 30 anni ho presto servizio volontario, due volte l’anno, a persone che abbisognavano di aiuto».

Riesce a trovare del tempo libero tra tutti i suoi impegni?

«Pochissimo, in verità. Quando posso viaggio con la mia barca».

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