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30 Dicembre 2020 - 21:38
ROMA. Dalla trasmissione “Storie italiane” in onda su Raiuno, l’attrice e cantante Anna Capasso (nella foto) s’interroga, insieme alla conduttrice Eleonora Daniele e agli ospiti in studio, sul futuro degli artisti italiani. Anna Capasso è una delle migliaia di lavoratori dello spettacolo duramente colpiti dalla crisi provocata dalla pandemia. Da sempre fa parte di compagnie teatrali di importanti spettacoli e cantato le sue canzoni avanti a platee in visibilio. Ma con il Coronavirus niente più concerti, niente più teatro. Insomma, riassume lei, «Il Covid-19 ha concretizzato lo scenario peggiore per noi artisti: la nostra professione ha improvvisamente smesso di esistere. Il virus ci ha fatto mancare il terreno sotto i piedi. Noi rappresentiamo una classe di professionisti immensa, fatta di più e più mestieri. Sono centinaia le categorie di persone che con gli spettacoli fermi attraversano un periodo di profonda difficoltà. Siamo lavoratori come tutti gli altri e come tutti gli altri dobbiamo essere trattati con il rispetto che meritiamo». La Capasso ha ricordato la necessità dei “ristori” per questi lavoratori che hanno un’occupazione precaria. E ha insistito sui sette giorni, quelli dei contributi collaborativi per il 2019, necessari per ottenerli: chi non li ha accumulati non prende nulla. E dopo il danno, anche la beffa. «Il nostro lavoro è fisiologicamente caratterizzato da periodi di fermo. Può capitare - e spesso capita - che anche gli artisti più affermati restano a casa per molti mesi. Ecco che allora ci si ritrova a dover certificare dei giorni lavorativi che magari non sono stati effettuati, quando poi probabilmente l’anno precedente si è lavorato per tanti mesi». E in questi giorni in cui sembra che il mondo stia crollando davvero, dopo mesi e mesi di chiusura, i “teatranti”, commedianti, musicanti, tecnici - o più in generale lavoratori dello spettacolo - sono messi al bando: da quando l'epidemia di Coronavirus ha colpito il Paese, i conseguenti provvedimenti cautelativi, hanno determinato la chiusura di teatri, cinema, con l’ovvio annullamento di spettacoli e concerti, in tutte le regioni colpite maggiormente dal virus. E se per molte categorie ha significato lo smart working, la malattia, la riduzione delle ore di lavoro, per i lavoratori dello spettacolo, invece, vuol dire perdita di lavoro e di danaro. «È una situazione estremamente difficile, siamo stati i primi a chiudere e, probabilmente, saremo gli ultimi a riaprire: è necessario che le istituzioni ascoltino alla pari tutti i lavoratori», conclude la Capasso. E in mezzo a questa giusta discussione, non bisogna dimenticare che intanto, le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo “non mangiano”. Ma, come diceva Bertolt Brecht, “Prima vien la pancia piena e poi viene la morale”.
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