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L'intervista

Massimiliano Gallo racconta gli anni ’90

L’attore illustra il suo nuovo spettacolo e svela i particolari del debutto alla regia cinematografica

Massimiliano Gallo racconta gli anni ’90

Massimiliano Gallo

Massimiliano Gallo ammirato in tv in “Questi fantasmi”, nella versione diretta da Alessandro Gassmann, e dopo il successo della seconda stagione della serie “Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso”, porta avanti in teatro un lavoro importante sugli anni Ottanta e Novanta per evidenziarne gli aspetti salienti.

Lo spettacolo “Anni ’90... noi che volevamo la favola” racconta appunto gli anni Novanta: in che modo?

«Ho raccontato gli anni Ottanta in “Stasera, punto e a capo!” perché erano gli anni della mia infanzia, che è stata felice, anche se in quel decennio sono accadute cose terribili, tanto che lo spettacolo si chiudeva con la caduta del muro di Berlino. Ma noi adolescenti di quegli anni abbiamo vissuto il sogno che l’America e la Russia potessero vivere in pace, che nel mondo finissero le guerre. Abbiamo avuto la possibilità di vivere un sogno. La generazione dei giovani degli anni Novanta questa possibilità non l’ha avuta. È colpa di noi adulti, come dico nel monologo finale dello spettacolo, se sono sfiduciati perché gli facciamo vedere un mondo senza futuro in cui non esiste la meritocrazia, in cui nulla serve. Con me in scena ci sono la Napolinord Big Band, il corpo di ballo Anni ’90 dance e Carmen Scognamiglio, una cantate bravissima. Tutti insieme diamo vita a questo spettacolo di teatro-canzone che piace molto al pubblico».

Sempre restando in ambito teatrale porta in scena il suo Vincenzo Malinconico in “Malinconico-Moderatamente felice”, scritto con Diego De Silva: ce ne parla?

«È un personaggio che amo tanto, e credo che la dimensione teatrale sia giusta per lui. Sul palcoscenico teatrale possiamo prenderci delle libertà in più rispetto alla tv. Malinconico è un “non vincente” per scelta, perché è uno che non vuole partecipare alla gara. In un mondo come il nostro, dove la competizione è il pane quotidiano, è strano trovare uno come lui. Invece, anche a giudicare dalla grande quantità di messaggi che ricevo da avvocati di tutta Italia, ci sono molti più Malinconico che principi del Foro in giro. Mi dicono, infatti, che è un personaggio molto realistico il mio, molto di più di quello che si possa pensare. Le musiche di questo lavoro sono di Joe Barbieri e si sposano molto bene con il progetto».

Uscirà nelle sale “Figli di una stella”, il suo esordio alla regia cinematografia: cosa racconta e che tipo di regista è stato?

«Racconta un periodo particolare, gli anni Ottanta, quando diciotto detenute del carcere di Pozzuoli, a causa del bradisismo, furono spostate nel carcere di Nisida, e nello stesso periodo, era il 1983, Eduardo De Filippo fece costruire una sorta di teatro nell’istituto di pena minorile con cui salvò tanti ragazzi. È un film corale con tanti attori, e segna il mio esordio alla regia di un film. Ci sono arrivato con una grande consapevolezza. Non è stato facile, perché il tempo è sempre poco, ma è come se tutto il mio bagaglio artistico mi abbia aiutato tanto».

Quindi è un attore che “ruba” il mestiere sul set?

«Sì, sono molto curioso sul set, guardo sempre come si muovono i registi, perché scelgono un’inquadratura anziché un’altra. La regia cinematografica è un mondo a parte; infatti, in una regia teatrale uno spettatore può decidere chi seguire, quella cinematografica, invece, è la firma del regista, il suo punto di vista, il suo modo di raccontare la storia».

Eduardo ritorna tanto nella sua vita e s’ispira a lui anche nel modo di pensare. Proprio quando fece costruire il teatro per i detenuti lo fece nella consapevolezza che tante colpe dei giovani sono degli adulti. Cosa bisognerebbe fare per i giovani oggi?

«Prendere atto di quello che ci succede intorno, della deriva che coinvolge tanti giovani, è solo il primo tassello di un percorso che dovrebbe portare ad un’autocritica generale e a delle azioni concrete soprattutto verso i giovani. Eduardo regalò il teatro e quindi la vita a tanti giovani».

Ha lavorato in “Questi fantasmi” con la regia di Alessandro Gassmann: lui che tipo di regista è?

«Avevo già lavorato con lui come regista, ma in “Questi fantasmi” l’ho trovato ancora più consapevole e preparato. È un regista che sa cosa vuole, valorizza i propri attori, conosce le loro fragilità e lavora anche su quello».

Con “Questi fantasmi” ha concluso la trilogia televisiva dedicata ad Eduardo: che difficoltà per questa terza opera?

«Era il più difficile, perché è un vero capolavoro drammaturgico in cui si parla addirittura di fantasmi. Probabilmente Pasquale preferisce credere ai fantasmi piuttosto che affrontare la realtà per com’è. Era complicato anche per le scene iconiche presenti, come quella del caffè per esempio, da interpretare, ma considerato il giudizio positivo ed unanime di pubblico e critica possiamo essere tutti contenti».

Per altri tre anni si occuperà della direzione artistica del teatro Tasso di Sorrento: come ha affrontato questo incarico?

«Come una sfida, perché questo teatro non aveva una sua identità, i sorrentini non lo consideravano il loro teatro. Ho voluto fare una rivoluzione partendo dalla totale ristrutturazione del locale. Per me Sorrento è alla pari di Montecarlo e deve aver un suo teatro che viva tutta la giornata, dalla mattina alla notte. Al suo interno, infatti, c’è anche un bar. Il cartellone è molto ricco e di livello internazionale ed il mio sogno è fare arrivare, un giorno, Sting. Sono fiero del lavoro che stiamo facendo perché i sorrentini mi fermano per strada per ringraziarmi per avergli restituito un teatro che, ora, sentono proprio. Non solo spettacoli e concerti, ma anche rassegne e incontri sul cinema caratterizzano la mia direzione artistica. Un passo alla volta arriveremo anche a Sting, tutto è possibile quando si ha un sogno condiviso». 

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