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Teatro

Raffaele Viviani: Roma festeggia con “L’imbroglione onesto”

Proposto in questi mesi al Teatro Prati di Roma, per la regia di Fabio Gravina

Raffaele Viviani: Roma festeggia con “L’imbroglione onesto”

«In Raffaele Viviani, attraverso il suo caratteristico repertorio, colpisce profondamente il senso di realismo. […] Egli porta sulle scene del teatro una nota drammatica, a volte anche tragica, improntata sempre ad un vivo sentimento realistico. Tutta una folla, una veristica folla plebea di tipi riprodotti mirabilmente in ogni minimo particolare, perché studiati nella vita e tra quella folla di piccoli eroi e di piccoli delinquenti che si agita e fermenta nella vecchia Napoli, rivive nell’arte di Viviani».

Con queste parole, scritte più di cent’anni fa sulle pagine della Tribuna, il critico teatrale e commediografo Mario Carlo Corsi illustrava il senso profondo dell’arte di Raffaele Viviani; un autore/attore che sentiva la necessità di descrivere con estrema attenzione quel contesto meridionale in cui la cultura popolare e la tradizione erano gli elementi cardini del suo repertorio.

Viviani, infatti, analizzò il mondo popolare napoletano con la simpatia e la profonda comprensione di un uomo che alla realtà della sua città era intimamente legato: il suo teatro era rivolto al popolo e alle sue tragedie, grandi e piccole, del quotidiano.

Nonostante siano passati settantacinque anni dalla sua scomparsa, la sua drammaturgia è ancora materia viva e palpitante, la sua produzione è un’antologia di storie pungenti, spiazzanti, di personaggi emarginati che hanno una loro strategia morale e psicologica con la quale far fronte alla miseria in cui si trovano, vale a dire l’autoironia.

Una delle opere nevralgiche del teatro vivianesco, “L’imbroglione onesto”, è stato proposto in questi mesi al Teatro Prati di Roma, per la regia di Fabio Gravina. La commedia - come evidenziò il giornalista Paolo Ricci - «costituisce un tentativo di aggirare l’ostacolo della lotta al dialetto che il fascismo aveva intrapreso prendendo di mira soprattutto Viviani. La commedia, infatti, non può dirsi in dialetto, anche se il mondo che rivela è infallibilmente napoletano. […] Viviani, con questa commedia, affronta ancora una volta un tema che poi frutterà molto nel repertorio napoletano: quello della crisi della famiglia».

La trama ruota attorno alla figura di Raffaele Conti, un uomo che per educare al meglio il figlio Pietruccio e fargli sposare la figlia di un ricchissimo pastaio di Gragnano, mette su una vorticosa serie di imbrogli. Ma le bugie gli si ritorceranno presto contro. Gravina, che ne ha curato anche l’adattamento, si è calato nei panni di don Raffaele caricando ulteriormente la vis comica insita nel personaggio; ne ha evidenziato con piena bravura la scaltrezza, la furbizia e la capacità estrosa di uscire vittorioso da ogni circostanza.

La compagnia, capeggiata da Gravina, si è rivelata ben assortita ed equilibrata, mostrando un fortissimo affiatamento e una presenza scenica molto accattivante. Ottime le prove di Patrizia Santamaria e Corrado Taranto. Quest’ultimo, erede della gloriosa dinastia artistica dei Taranto, ha deciso di festeggiare i suoi cinquant’anni di carriera proprio con un testo di Viviani.

Il commediografo stabiese, rimasto irrappresentato per anni dopo la sua morte, fu riportato alla ribalta proprio dai fratelli Carlo e Nino Taranto (papà e zio di Corrado), consolidando così quel teatro che costituiva un sincretismo di raro valore tra la tradizione popolare campana, musicale e testuale e che gode, tuttora, di grande fama.

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