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Alla Sala Scarlatti “Novecento – Quel che non vidi”

Il capolavoro di Baricco rivive in una visione poetica firmata da Paolo Tortiglione

Alla Sala Scarlatti “Novecento – Quel che non vidi”

NAPOLI. Il sipario non si apre: si dissolve. Il suono del mare riempie la Sala Scarlatti e avvolge gli spettatori, come una nebbia lieve e densa. Prima che le luci calino, è già iniziato il viaggio. “Novecento – Quel che non vidi”, creazione originale del compositore Paolo Tortiglione, è molto più di uno spettacolo: è un atto di evocazione. Una riscrittura visionaria del monologo di Alessandro Baricco, che diventa partitura di corpo, suono e luce. Sulla scena, il pianista nato sull’oceano – Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, l’uomo che non ha mai conosciuto la terraferma – prende vita attraverso la danza fluida di Mirko Ingrao e Chiara Bergamini, interpreti intensi, capaci di restituire con il movimento l’eco di una vita sospesa tra l’infinito del mare e la prigionia dell’anima. La coreografia, firmata dallo stesso Ingrao, esplora il limite come spazio poetico: la soglia tra la scelta e la rinuncia, tra il sogno e la realtà.

Il tessuto sonoro è un’opera nell’opera. Giuseppe Di Maio al clarinetto, Alfonso D’Aniello al violoncello e Irene Coppola alle percussioni costruiscono un lessico musicale che oscilla tra carezze e tempeste, mentre la voce recitante di Daniela De Riso sfiora e attraversa il testo, con delicatezza e intensità. Le sonorità elettroniche – presenza invisibile e potente – amplificano l’atmosfera, moltiplicando i livelli della narrazione. A completare il quadro, una scenografia sobria ma evocativa, firmata da Enzo Gagliardi con il supporto di un giovane gruppo di assistenti del Conservatorio, e un disegno luci di grande finezza firmato da Antonio Caccavale.

Ogni elemento concorre a costruire una dimensione onirica e sospesa, dove la nave diventa metafora dell’esistenza e il palcoscenico, il ponte tra la realtà e il ricordo. Tortiglione, compositore e docente al Conservatorio San Pietro a Majella, dimostra qui non solo rigore formale ma anche profonda sensibilità artistica. Il suo “Novecento” non è una trasposizione, ma un’elaborazione poetica, un viaggio nella memoria emotiva che accompagna lo spettatore ben oltre il tempo della rappresentazione. Chi ha amato il testo di Baricco riconoscerà i battiti del cuore della storia. Chi non lo conosce, ne uscirà con la sensazione di aver toccato qualcosa di antico e necessario: la nostalgia di ciò che non abbiamo vissuto, ma che sentiamo nostro.

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