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Il lutto

Addio a James Senese, il re “rivoluzionario” del sax

Morto ad 80 anni all’ospedale Cardarelli dove era ricoverato da un mese per gli esiti di una polmonite. I funerali oggi alle ore 12 nella parrocchia Santa Maria dell’Arco a Miano

Addio a James Senese, il re “rivoluzionario” del sax

James Senese

NAPOLI. La città di Napoli si è svegliata ieri con un silenzio diverso, di quelli che sembrano arrivare dal mare quando l’onda si ritira improvvisa e lascia un vuoto silenzioso, un vuoto lieve, ma doloroso.

La notizia della morte di James Senese - per gli esiti di una polmonite all'ospedale Cardarelli dove era ricoverato da un mese - ha attraversato i vicoli e le piazze come un soffio freddo, rompendo per un istante il ritmo caldo della città. Se n’è andato un uomo che non ha soltanto suonato Napoli: l’ha raccontata, difesa, incarnata.

Oggi, mentre la sua musica continua a vibrare nei bar, nelle autoradio delle macchine in coda, nelle finestre aperte sul cortile, sembra che a mancare sia una voce della città stessa. Un respiro.

Figlio del dopoguerra e della sua complessità, nato da madre napoletana e padre afroamericano, Senese portava nella sua stessa presenza la mescolanza che definisce Napoli. Cresciuto nei quartieri popolari, imparò presto che la musica era resistenza, dignità, sopravvivenza.

Il sassofono divenne la sua voce: ruvida e calda, urgente e struggente. Ogni nota era un racconto di strada, un brivido di vita vera, una dichiarazione d’identità. La sua carriera prese forma negli anni Sessanta, in una città attraversata da fermento culturale, ma fu nel 1975, con la nascita dei Napoli Centrale (che fondò dopo il gruppo degli Showmen), che Senese creò qualcosa di assolutamente nuovo.

Quel suono mescolava jazz, funk, rock e sangue napoletano: non aveva padroni, non cercava approvazioni. Brani come “Campagna” e “’Ngazzate nire” erano storie scolpite nel ritmo, denunce sociali, collera e amore insieme. Napoli Centrale fu una rivoluzione: la musica come voce di chi voce non ne ha.

In quegli anni James collaborò anche con artisti che, come lui, cercavano una lingua nuova per raccontare la città: su tutti Enzo Avitabile, altro figlio inquieto di Napoli, e Franco Del Prete, compagno di tante battaglie. Poi arrivò l’incontro destinato alla leggenda: James Senese e Pino Daniele.

Due anime sorelle, due ferite aperte che riconobbero nell’altra la stessa fame di verità. Nei dischi e nei concerti degli anni Ottanta, il sax di Senese era una lama che tagliava l’aria e poi la ricuciva, una carezza data con il pugno. In “Nero a metà”, in “Bella ’mbriana”, nelle notti infuocate di piazza del Plebiscito, quel dialogo tra voce e fiato era Napoli stessa: ferita e splendida, sofferente e orgogliosa.

Era un pezzo di quella super band di Pino, al fianco di Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo, Tony Esposito, Joe Amoruso: un linguaggio musicale irripetibile, che ancora oggi molti provano a inseguire senza riuscire a riprodurne la verità. Ma Senese non fu mai soltanto compagno di viaggio di altri.

Il suo percorso solista fu vasto e coerente, mosso da una ricerca continua. Album come “O’ sanghe” o “James is Back” raccontano un artista maturo, fiero, inquieto, pronto a rimettersi in discussione ogni volta. Amava ripetere: «La musica è sangue, non mestiere».

E chi lo ha ascoltato lo sa: nelle sue note c’era la memoria dei vicoli, il peso della storia, la promessa di un futuro che non deve arrendersi. Nel corso della sua carriera Senese portò la sua musica nei teatri e nelle piazze di tutta Italia, ma i concerti più indimenticabili restano quelli nella sua città: le serate al Trianon Viviani, gli abbracci sonori del Palapartenope, le esibizioni al teatro San Carlo, dove la sua musica trasformava il teatro in una preghiera laica.

Le tournée all’estero, dalla Francia alla Germania, dai festival jazz internazionali alle piccole sale dove il pubblico ascoltava trattenendo fiato. Nel cinema lo ricordiamo nel documentario “Passione” di John Turturro: lì, il suo sax sembrava parlare più di mille parole, come se raccontare Napoli fosse un gesto che non aveva bisogno di voce, solo di fiato, di soffio, di anima. Nonostante la fama, James è sempre rimasto uomo delle strade che lo avevano cresciuto.

Parlava della città con la sincerità di chi la ama senza illusioni: «Napoli è bella perché è vera. E la verità fa male». Portò quella verità in Italia e nel mondo, e ovunque andasse, il suo sax diceva chiaramente da dove veniva: non dall’accademia, ma dalla vita.

Ieri è morto un musicista. Ma soprattutto è morto un pezzo della città. Nei cuori di tutti resterà non solo la sua musica, ma anche la sua risata timida, lo sguardo fiero, quella frase detta con semplicità: «Io vengo da là»… da quel quartiere, da quella storia, da quella verità.

Oggi si terranno i funerali, occasione per un ultimo saluto a un artista che non ha mai smesso di far respirare Napoli, alle ore 12 nella parrocchia Santa Maria dell’Arco in piazza Madonna dell’Arco n.8 a Miano, nel quartiere della periferia cittadina dove l’artista ha vissuto tutta la sua vita.

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