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L'iniziativa

“Festa della musica, un concerto lungo trent’anni”, la trama culturale di una celebrazione

In anteprima su RaiPlay dal 21 novembre e presentato da Rai Documentari

“Festa della musica, un concerto lungo trent’anni”, la trama culturale di una celebrazione

Nel cuore di un’Europa che cerca nuovi linguaggi di coesione, la musica torna a farsi bussola. “Festa della musica, un concerto lungo trent’anni” - disponibile in anteprima su RaiPlay dal 21 novembre e presentato da Rai Documentari - riannoda la trama culturale di una celebrazione che, nata a Parigi nel 1982, è ormai diventata un rito civile condiviso. Un viaggio di 52 minuti, firmato da Andrea De Rosa e Mirella Paolillo e prodotto da Upside Production con il contributo della Regione Campania e della Film Commission Regione Campania, che attraversa generazioni, città, rivoluzioni sociali. E che affida il racconto a chi quella storia l’ha custodita e trasformata: Jack Lang, Dario Franceschini, Enrico Rava, Tosca, Malika Ayane, Paolo Fresu.
Ed è proprio il jazzista sardo, tra i testimoni più autorevoli della Festa, a restituire il senso profondo di questa ricorrenza. Incontrandolo, basta ascoltarlo per cogliere la naturalezza con cui intreccia memoria personale e geografia emotiva.
“Vivo a Parigi da tanti anni e ho visto nascere la Festa della Musica quando in Italia non se ne parlava ancora”, racconta. “Quell’effervescenza, quella possibilità di suonare ovunque, di lasciare che le città risuonassero senza confini, era un gesto politico prima ancora che artistico. Vederla diventare europea è stato come assistere alla crescita di un’idea che appartiene a tutti”.
Nel documentario, la traccia che porta a Napoli - la città in cui Marco Staccioli fece attecchire la Festa, trasformandola in un rito urbano - si intreccia con il racconto di chi, come Fresu, ha attraversato generazioni con la propria tromba. Una presenza discreta e insieme potentissima, che lo ha portato a diventare testimonial della Festa nell’anno più complesso, quello del Covid.
“Accettai con piacere”, ricorda. “Era un momento di sospensione totale: i teatri chiusi, i concerti cancellati, gli artisti senza alcuna rete di protezione. La Festa fu uno dei primi momenti in cui risalimmo su un palco. Non fu soltanto una performance: fu il tentativo di ridare voce a un mondo fragilissimo. Servì a ricordare a tutti l’enorme precarietà culturale di quegli anni”. Una pagina che nel documentario trova spazio attraverso le immagini e le parole di Ezio Bosso, primo testimonial della Festa nel 2018, cui il film dedica un omaggio carico di delicatezza.
Ma Fresu lega questa storia anche a un’altra dimensione, più intima: la sua Sardegna. E, davanti a un accento napoletano che riconosce subito, apre un parallelo spontaneo.
“La Sardegna è un’isola che ha assorbito influssi per secoli. Napoli, pur non essendo un’isola, è un porto del Mediterraneo, un luogo di transito e metamorfosi. In entrambi i casi, la musica nasce come tradizione, ma vive davvero solo se la si rielabora. Melodia e ritmo sono identitari, ma l’identità non è mai un museo: è una porta che si apre”.
È questa tensione tra memoria e mutazione che il documentario cattura con precisione. Lo fa attraverso le voci istituzionali - Jack Lang, oggi presidente dell’Institut du Monde Arabe; Dario Franceschini, che nel 2018 ha istituzionalizzato la Festa in Italia; Gianmarco Mazzi, Gaetano Manfredi, Antonio Bassolino, Massimo Pronio, Paolo Masini, Paola Carruba - e quelle degli artisti che hanno accompagnato la Festa in questi trent’anni, come Enrico Rava, Tosca e Malika Ayane. Senza dimenticare Alan Wurzburger, di cui il film conserva l’ultima performance privata prima della scomparsa.
Il cuore narrativo resta però l’idea di una musica che non si limita a celebrare sé stessa, ma diventa strumento di cittadinanza. Fresu, che ne ha fatto l’asse della sua carriera, lo sintetizza così:
“Quando qualcuno mi chiede cosa possa fare un suono, rispondo che può fare moltissimo. Non è solo bellezza: è un riflettore. È un linguaggio universale che può tradurre conflitti, paure, trasformazioni. E può unire le persone molto più di quanto riesca spesso alla politica”.
A Napoli, la città che più di tutte ha trasformato la Festa in un rito popolare diffuso, questa intuizione risuona in modo quasi fisico. Ed è proprio qui che il documentario affonda le radici, mostrando come il 21 giugno sia diventato un ponte tra generazioni, comunità, culture.
In un momento storico in cui l’Europa è chiamata a riscoprire le sue ragioni profonde, “Festa della musica, un concerto lungo trent’anni” ricorda che la coesione non nasce per decreto: nasce dal respiro condiviso di una piazza, da un assolo inaspettato, da una voce che trova ascolto. E che, a volte, basta una tromba - quella di Paolo Fresu - per raccontare tutto questo meglio di qualunque discorso.

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