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03 Aprile 2019 - 15:30
NAPOLI. È difficile, quasi azzardato, descrivere, affidandosi alle parole, “Passo oscuro”, lo spettacolo, seducente, straordinario, che Alfonso Benadduce ha messo in scena, nel mese di marzo, al Teatro Mercadante di Napoli. È difficile, perché l’opera di Benadduce non sceglie la parola. Anzi, la respinge, la soffoca, la boccia in quanto insufficiente, non adeguata, non utile. Il linguaggio abbracciato è un altro. È il costume attorico, è il gesto, il movimento, il passo. E il passo è oscuro perché non sa, non conosce la direzione. E, non sapendo, cerca di individuarne progressivamente una, che resta una non direzione. Sulle splendide note della nona sinfonia di Anton Bruckner, appaiono, conquistano lo spazio scenico e scompaiono, in sequenza, una alla volta, figure smarrite che muovono i loro passi danzanti nel buio esistenziale del non sapere. Una meravigliosa galleria pittorica di “folli”, anime fragili, il cui volto e la cui voce sono ingabbiati, mummificati in uno scafandro di tessuto, che affascina, angoscia, intenerisce. L’impatto visivo è forte, potente. L’impatto emotivo è altrettale. La solennità della sinfonia di Bruckner scandisce l’hic et nunc di ogni singola figura che Alfonso Benadduce indossa, vestendole tutte con abiti fascinosi, in qualche caso insolenti, e parrucche stravaganti. C’è un personaggio che ciascuna di loro incrocia, nel corso della propria danza delirante. È un assistente, porge oggetti. È l’unico che sembra sapere cosa fare e quale sia la direzione da intraprendere, in contrasto con il danzante precipitare delle “folli” nell’abisso. Si tratta del bravo, perfetto nel suo ruolo, Francesco Domenico D’Auria. Veli e tendaggi intervengono a tracciare una scenografia essenziale, ma suggestiva, dove tuniche, funi, catene calano improvvisamente dall’alto in sospensione sul palcoscenico. Alle luci, la mano sapiente di Mauro Milanese consente, con un tocco da allestimento museale, di incorniciare, stagliare le protagoniste, rendendole indelebili, nonostante che esse siano condannate alla dissolvenza. Sul finale il sipario si chiude e, un attimo dopo, si riapre. Un ultimo quadro ancora, un ultimo passo oscuro. Il sipario si richiude. Il pubblico è ammutolito, stordito, sgomento. Partono gli applausi, si levano le ovazioni per Alfonso Benadduce, per l’unicità, l’originalità del suo lavoro. L’opera, una produzione ABT, cura: Dora De Maio, ha mosso i primi passi in Italia, è stata poi in Corea del Sud, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Seoul, è quindi approdata al Teatro Mercadante di Napoli. Peccato, un vero peccato che lo Stabile partenopeo l’abbia ospitata per una sera, soltanto per una sera.
Nunzia Russo
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