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29 Novembre 2020 - 15:35
Ci sono volte in cui è meglio rimanere in religioso e rispettoso silenzio. Volte in cui, seppur di cose da dire ce ne sarebbero fin troppe, non si riescono a trovare le giuste parole per poter esprimere ciò che si prova, ciò che si sente dentro. Anche perché, diciamocelo, chi non ha sperato nella sua resurrezione nel terzo giorno? Maradona non è stato solo il dio del calcio, è stato molto di più. Uno dei tantissimi ragazzi che popolano i 'barrios' argentini, nato a Villa Fiorito e partito letteralmente dal nulla per arrivare poi fino al tetto del mondo. "Diego ha smesso di vivere a 15 anni, quando si è caricato sulle spalle la sua povera e numerosa famiglia" diceva di lui l'amata sorella. In questa frase è racchiusa la vita del Diez: un uomo solo contro il mondo. Un uomo divenuto leader, simbolo, icona e bandiera prima della sua famiglia e poi di due interi popoli, quello argentino e quello napoletano. Un uomo che ha sfidato i potenti del mondo, sfruttando da sempre la sua immagine e la sua visibilità mediatica per schierarsi apertamente dalla parte dei più deboli, dalla parte degli oppressi. Un uomo che ha denunciato le malefatte della FIFA, di Blatter e di Platini prima ancora che queste venissero a galla. Un uomo, tra i pochi, che ha avuto il coraggio di denunciare apertamente il fenomeno del 'match fixing' e del calcioscommesse. Un uomo che ha sempre puntato il dito contro gli Stati Uniti e, soprattutto, contro la loro pseudo esportazione di democrazia, bagnata nel sangue delle guerre. Amico intimo e sostenitore di Fidel Castro e amante di Che Guevara. Non è un caso in effetti che Diego risulti ancora oggi antipatico. Non è un caso che, terminata la sua carriera da calciatore, non abbia mai più fatto parte del 'calcio che conta', un calcio che in realtà non conta nulla. Non sorprendono le parole al veleno e cariche di odio da parte di personaggi che mai saranno al suo livello. Non sorprendono i giudizi, fin troppo spesso ingiusti, sulla sua persona. Non sorprende chi, anche dopo la sua morte, non è riuscito a trattenersi dall'esprimere ancora una volta l'astio nei confronti di un uomo che, evidentemente, deve essere stato un incubo non solo per gli avversari sportivi. Personaggi come Diego infatti vanno messi a tacere, vanno attaccati, vanno screditati, vanno minimizzati, vanno criticati, vanno giudicati, vanno allontanati. Personaggi come Diego risultano antipatici, scomodi, pericolosi. È lo specchio della società attuale: chi si espone in prima persona, chi ha il coraggio di dire la sua, di dire la verità deve necessariamente essere messo da parte, eliminato. Non è un caso, inoltre, se Diego ancora oggi sia volutamente ricordato come un tossicodipendente, un alcolista, un evasore fiscale, un sessista, amante della bella vita e delle belle donne e chi più ne ha più ne metta. Eppure di personaggi del genere il mondo del calcio è pieno: basti pensare a George Best o Paul Gascoigne, solo per citare due tra gli esempi più banali ma la lista è lunga. È evidente che l'accanimento senza precedenti nei confronti di Maradona nasca da qualcosa. Effettivamente non ce l'hanno con chi commette o ha commesso gli errori che ha commesso Diego, ce l'hanno proprio con Diego. La cosa veramente triste è che spesso e volentieri questo odio ossessivo venga proprio dalla nostra nazione, una nazione che evidentemente non si rende conto del privilegio che ha avuto di vederlo giocare qui, in Serie A. Sì, perché Maradona a Napoli doveva essere soltanto un giocoliere, un fenomeno da baraccone, niente di più. Come diceva il grande Italo Cucci, Maradona ha smesso di essere simpatico quando ha iniziato a vincere con gli azzurri. Fu allora che, piuttosto che parlare del campione, la gente preferì iniziare a parlare dell'uomo e della sua vita privata, andando ben al di là dello sport, ben al di là del calcio. Eppure le stesse persone non avevano mai palesato, né lo hanno poi fatto in seguito, lo stesso rancore nei confronti di atleti, attori, cantanti e celebrità varie che hanno condotto uno stile di vita simile a quello del Pibe de Oro. Diego in effetti era riuscito a portare la squadra simbolo del Sud Italia sul tetto dell'Italia e dell'Europa. Era riuscito da solo a cambiare la mentalità di una 'provinciale' tramutandola in una compagine vincente. Aveva restituito orgoglio, fierezza, dignità, ma soprattutto una speranza ad un'intera città e ad un in intero popolo, la più infangata, il più infangato. Imperdonabile da parte sua. Per non parlare poi dei Mondiali in Italia del 1990. Nessun italiano gli fece passare la vittoria in semifinale contro gli azzurri. Come si era permesso? Avrebbe giustamente dovuto lasciare all'Italia il pass per la finale con la Germania, pur essendo argentino, numero 10, nonché capitano della nazionale albiceleste. D'altronde, dopo aver trascinato l'Argentina alla vittoria del Mondiale di Messico 1986, unendo un intero popolo a detta degli stessi argentini, poteva anche lasciarsi sconfiggere in quella notte di mezza estate al San Paolo. È la sintesi perfetta del popolo italico, un popolo decisamente strano, incoerente, ipocrita. Per giudicare Maradona, per giudicare la sua vita privata bisognerebbe prima trovarsi ad essere Maradona, a vivere la vita che ha vissuto. Facile analizzare solo i lati positivi dell'essere Maradona. Facile per un signor nessuno puntare il dito dal proprio divano. Facile dire "io al suo posto...". Non saremo mai al suo posto. Non sentiremo mai sulle spalle il peso di un'intera nazione e di un'intera città. Non saremo mai chiamati a rappresentare un popolo, figuriamoci due. Non saremo mai costretti a poter uscire solo a notte fonda, non potendo scendere di casa di giorno perché una folla oceanica di persone ci aspetta fuori al cancello. Non avremo mai la luce dei riflettori puntata perennemente addosso come nel Grande Fratello di George Orwell. Non sentiremo mai il peso dell'essere paragonati e ritenuti al pari una divinità, pur ritenendoci in tutto e per tutto comuni mortali e volendo, soprattutto, essere identificati come tali. Non porteremo mai addosso la croce di dover essere sempre a tutti i costi, per chissà quale motivo, un esempio. Per tutti questi motivi, e non solo, nessuno può sentirsi in diritto di giudicare un uomo che nella vita ha fatto del male solo ad una persona: sé stesso. Nessuno può sentirsi in diritto di giudicare i modi in cui quest'uomo cercava di distrarsi e fuggire alla realtà quotidiana, una realtà che lo asfissiava. Lasciamo, quindi, all'Onnipotente il giudizio sulla persona. Limitiamoci a giudicare il calciatore, senza nessuna ombra di dubbio il migliore di tutti i tempi. Caro Diego, non ti curar di chi non ti ha saputo capire, non ti curar di sciacalli che, non brillando di luce propria, si vedono costretti ad offuscare la tua per avere un briciolo di visibilità. Dicesti "voglio diventare l'idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires". Ce l'hai fatta. Tra i vicoli di questa città, nel cuore di tutti gli scugnizzi eri già un mito, ma da oggi il tuo nome sarà sempre e per sempre leggenda. Riposa in pace re immortale, grazie di tutto, grazie di cuore.
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