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Delocalizzazioni, ora serve un freno

In queste ultime settimane il tema lavoro è diventato centrale nella discussione politica del nostro Paese. Purtroppo, infatti, dopo la pandemia e a causa degli effetti della crisi economica in alcuni settori, alcune questioni chiave riguardo al lavoro stanno venendo al “pettine”: licenziamenti, misure anti-Covid a partire dal green pass, ammortizzatori sociali e delocalizzazioni. In questo clima, credo che le posizioni espresse, in primo luogo da Confindustria attraverso il presidente Bonomi e portate avanti anche da alcune forze politiche di centrodestra, non aiutino la ripresa economica del nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, e rischiano di acuire una stagione di tensioni sociali. Il primo segnale negativo di questa filosofia che ha condizionato le scelte del governo è stato in relazione al blocco dei licenziamenti. Eliminare infatti questo tipo di protezione, senza procedere contemporaneamente, ad una riforma universalistica degli ammortizzatori sociali, sta provocando forti contraddizioni, in particolare al Sud. Era chiaro a tutti, anche ai sindacati, che non si potesse prorogare il blocco sine die, ma farlo così ex abrupto, e differenziando piccole e grandi aziende, è stato certamente un errore. In questi ultimi giorni, ha assunto rilevanza centrale sui giornali e nel dibattito politico il tema delle delocalizzazioni, soprattutto a causa di alcune vertenze chiave che purtroppo hanno provocato centinaia di licenziamenti: Whirlpool e Gkn su tutte. Infatti il ministro Orlando, insieme al sottosegretario allo Sviluppo Todde, ha presentato una bozza di decreto sulla scorta dell’esperienza francese, che in pochi articoli prevede norme contro l’abuso delle delocalizzazioni attraverso un diritto di allerta, per conoscere preventivamente le intenzioni aziendali, un advisor come interfaccia con gli interlocutori istituzionali e le parti sociali, e sanzioni consistenti in multe e black list che inibisce l’accesso ai finanziamenti pubblici per un minimo di tre anni. Come al solito, apriti cielo!, il presidente Bonomi ha tuonato contro questa ipotesi di decreto definendolo contrario alle imprese e ironizzando sul fatto che ci sarebbe una fuga degli investitori verso la Spagna. Innanzitutto sia in Francia che in Spagna ci sono norme almeno severe quanto quelle previste nella bozza di decreto. Inoltre è accettabile che su ogni tema sociale e del mercato del lavoro il Presidente di Confindustria intervenga a gamba tesa in un momento così delicato per il mondo del lavoro per ridurre tutele e diritti? Conviene anche alle imprese che non vi siano norme di contrasto a questa mattanza dei licenziamenti selvaggi? E, soprattutto, non serve anche al mondo imprenditoriale disciplinare in modo trasparente e chiaro le imprese che, usufruendo di incentivi pubblici, hanno a cuore anche gli aspetti sociali delle loro realtà? Credo che serva, nei prossimi mesi, una riflessione profonda su come si gestisce una fase così delicata della nostra vita sociale ed economica e ritengo che sia interesse di tutti che, a partire dall’utilizzo dei fondi del recovery, il clima sociale del paese consenta una partecipazione attiva del mondo del lavoro alle scelte che si faranno.

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