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08 Ottobre 2023 - 11:36
L’Europa ha detto “sì”. ll cancelliere tedesco Scholz ha dovuto fare “buon viso a cattivo gioco”, ritirare l'emendamento pro Ong e Bruxelles ha dato il via libera al regolamento su “rimpatri, controlli comuni e ricollocamenti obbligatori tra i paesi Ue”. Come avevano chiesto l'Italia e la Meloni, perché “non possono essere i trafficanti di uomini a decidere chi entra in Europa”. Un risultato che conferma quanto scritto qualche “Il Punto” addietro: “La vera isolata in Europa è la sinistra”. E a dispetto delle tensioni che ancora continuano fra magistratura e governo Meloni di cui la prima ogni volta contesta i provvedimenti e se relativi all'immigrazione, addirittura li disapplica. Forse, poiché più mediatici e “rumorosi” il “no” della giudice del tribunale di Catania, Apostolico, all'applicazione dei decreti sicurezza per l'accelerazione delle espulsioni e la remissione in libertà di quattro cittadini tunisini, (due dei quali, per altro, già espulsi) docet – stimolano il protagonismo dei giudici. La misura applicata – secondo la magistrata sarebbe “illegittima” priva “di idonea motivazione, e di valutazioni su base personale e sulle esigenze di protezione manifestate” e “incompatibile con quella dell'Unione e quindi va disapplicata”. A pensarci bene, però, forse, il regolamento appena approvato a Bruxelles ha cambiato qualcosa. O no? Già. Ma le polemiche fra esecutivo Meloni e magistratura, non partono da qui. Bensì dal suo ingresso a Palazzo Chigi e da quelle riforme cui la maggioranza degli elettori ha detto “sì”. È da allora, infatti, che è cominciata la pioggia di “alt” sostanzialmente politici delle toghe. “Niet”: allo stop ai rave party; all'abolizione dell'abuso d'ufficio; alla separazione delle carriere; alla riforma delle intercettazioni (criminali, corruttori e corrotti si organizzano per telefono?); al ritorno della vecchia prescrizione e al maggioritario. A tutto ciò, insomma, che rischia di rafforzare il Governo e di limitare le prerogative – quelle non scritte in Costituzione e strappate grazie alla pavidità di una classe politica compromessa – di certa Magistratura. Tant'è che, dopo l'Apostolico altri tre giudici (tra cui un ex vice capo di gabinetto di Orlando) a Firenze ne hanno seguito l'esempio; l'Anm, si è schierata a sua difesa e una decina di magistrati del Csm hanno lanciato una raccolta firme (cui hanno risposto “no” quelli di MI: “Noi non facciamo politica” hanno detto) per chiedere l'apertura di una pratica a sua tutela. Ma da cosa? Dalla “delegittimazione professionale”, ovvio, no? Peccato, però, che a delegittimarsi abbia già provveduto da sola, con alcune prese di posizioni social, in cui ha mostrato una caratterizzazione, ai limiti dell'appartenenza a movimenti di sinistra e scendendo in piazza a Catania nel 2018, per la manifestazione dell'estrema sinistra contro Salvini causa lo stop allo sbarco dalla nave Diciotti. Ma è quello di discutere la legittimità delle norme approvate dal Parlamento e controfirmate a garanzia di costituzionalità dal Capo dello Stato o quello di applicarle, il compito che la Costituzione assegna alle toghe? Domanda retorica. Tant'è che al Titolo IV che statuisce l'”Ordinamento giurisdizionale” della Magistratura, all'art. 101 si legge: “La giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”; all'art. 104 “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (un “ordine indipendente” , quindi, non un “altro potere”. Come quello dei commercialisti, insomma, e non risulta che questi possano stabilire che una tassa sia ingiusta e non farla pagare ai propri clienti. E ase lo scrive la Costituzione...; al 108 “le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge”; al 110 “Ferme le competenze del Consiglio Superiore della magistratura, spettano al ministro della Giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”. Al magistrato non spetta, quindi, alcun controllo di legittimità sulle norme approvate dal Parlamento, ma l'applicazione. Salvo ricorrere alla Corte Costituzionale se non si è convinti della sua costituzionalità. Ma, giustamente, perché perdere tempo per ricorrere quando c'è già una sentenza di Repubblica che ha deciso che quello della Meloni è “un governo incostituzionale”?
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