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Giustizia politicizzata, denunciare non basta più

Riforma o silenzio. Lo scandalo perché di questo si tratta della politicizzazione della magistratura, non giustifica più il frastuono delle chiacchiere che ogni volta lo accompagna. Emblematici gli ultimi episodi a Catania e Firenze, dove alcuni magistrati hanno prima disapplicato una legge dello Stato e poi stabilito quale sia la lista dei Paesi considerati “sicuri” per rimpatriare i migranti: tutti sono rimasti ai loro posti, senza che accadesse nulla di diverso dalle solite, sterili polemiche. Ciò dimostra quanto sia urgente una profonda e radicale riforma dell’ordinamento giudiziario. Giorgia Meloni si è detta «basita» per quanto sta avvenendo. Ma la premier si sbaglia, perché invece dovrebbe essere basita dall’unica cosa che veramente lascia basiti: dopo un anno di governo la riforma della giustizia, che pure figurava (e figura) tra le priorità del programma del centrodestra, è ancora lettera morta. Non esiste neanche uno straccio di articolato legislativo su cui ragionare. Perché dirsi «basiti» allora? Cose come quelle successe a Catania e Firenze non sono forse la scontata conseguenza dell’assenza di un serio intervento che riporti la magistratura nel suo alveo costituzionale? Come mai si continua a cincischiare? Mesi addietro, all’esplodere dell’ennesima polemica per alcune sacrosante dichiarazioni del Guardasigilli, Carlo Nordio, la premier ebbe a dire che la riforma si sarebbe fatta in accordo con la magistratura. Da queste colonne ci permettemmo di segnalare sommessamente che si trattava di un errore clamoroso, perché annunciare una riforma siffatta equivaleva a dire che non si sarebbe realizzato nulla. O che se ne sarebbe fatta una all’acqua di rose. Che è anche peggio. I risultati si sono visti: nessun cambiamento. Le toghe politicizzate, reduci di una battaglia ideologica che non hanno mai smesso di combattere, continuano a fare sostanzialmente quello che vogliono. Compresa l’opposizione al Governo, vanificandone i provvedimenti e contestandone le leggi invece di applicarle. È una storia già vista e rivista mille volte, esito logico di un Ordine tramutatosi in contropotere dello Stato cui nessuno sembra avere il coraggio di porre un freno. Salvo poi lamentarsi, o dirsi «basiti» di fronte alle conseguenze che il mancato intervento radicale sulla materia provoca. L’Italia sta affrontando come sempre, ovvero con spirito umanitario, la nuova ondata migratoria che ne sta travolgendo i confini; ha varato (sbagliando) un super decreto flussi da 450mila ingressi in tre anni; sollecita interventi europei per la Tunisia e altri Paesi del Nordafrica mentre gli alleati fanno orecchie da mercante; ha convocato alla Farnesina una grande conferenza internazionale con i Paesi africani per varare un piano di aiuti al Continente nero, dimostrando così piena consapevolezza di tutta la drammaticità del fenomeno e disponibilità a collaborare con una strategia di lungo termine. Ebbene, mentre il centrodestra con grande fatica e responsabilità tesse questa complessa tela, prosegue l’uso politico della giustizia per disfarla. Uno scandalo che mina alle fondamenta la credibilità della magistratura e continua ad avvelenare la vita politica e istituzionale della Nazione. Solo in una Repubblica giudiziaria può accadere che un magistrato possa schierarsi pubblicamente contro il Governo e poi disapplicare un decreto senza che accada nulla. Mentre la casta delle toghe, riunita nell’Anm, e mezzo Csm fanno quadrato attorno a quel giudice. Tuttavia, una cosa dev’essere chiara: gli unici a poter intervenire sono il Governo e il Parlamento. Non altri. Se intendono davvero cambiare le cose, invece dei paroloni inutili i leader politici tirino fuori il coraggio di agire: ne hanno tutto il potere, gli strumenti e il mandato popolare per farlo. Dimostrino di saper resistere alle pressioni. La smettano di polemizzare a vuoto, alimentando così il teatrino di quel talk show permanente nel quale siamo immersi. Si vari una riforma risolutiva e profonda. Altrimenti chi è causa del suo mal pianga se stesso.

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