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Inflazione e speculazione stringono la tenaglia Bce

U n’altra botta. L’ennesimo aumento dei tassi d’interesse operato dalla Bce è un’ulteriore stretta all’economia italiana. Tradotto in soldoni, vuol dire che le famiglie subiranno nuovi rincari del costo di mutui e prestiti al consumo, già saliti ora a livelli preoccupanti se non insostenibili. Soprattutto per i redditi più bassi. Inoltre gli investimenti delle imprese, già crollati ai minimi dal 2003, risulteranno ulteriormente frenati a causa dell’aumento del loro costo, così come rincareranno i prestiti alle aziende. Insomma, non ci vuole certo un fine economista per capire che fermare la spirale dei prezzi rappresenta una priorità assoluta, sia per ragioni economiche che per evitare tensioni sociali. Gli aumenti dei tassi imposti dalla Bce, infatti, continuano ad essere giustificati dall’andamento dell’inflazione che nelle sue componenti di fondo non scende come dovrebbe, senza che si trovi una sola giustificazione di questo fenomeno diversa dalla speculazione. È una faccenda seria che sta diventando piuttosto grave. A tenere alto il carovita non è l’aumento dei costi energetici, tantomeno il rincaro delle materie prime, quanto la crescita abnorme dei profitti non reinvestiti. Mentre gli stipendi sono fermi e il loro potere d’acquisto scende da due anni, tutti i dati disponibili dicono che gli utili delle imprese non solo sono saliti ben oltre i livelli pre-pandemia, ma rappresentano ora quasi la metà del rialzo del tasso d’inflazione. Significa che la speculazione sta diventando intollerabile in troppe filiere produttive. A giugno l’indice generale dei prezzi dell’area euro ha segnato un aumento del 5,5% ma gli alimentari sono saliti più del doppio: +11,7%. Il tutto mentre l’energia ha fatto registrare un - 5,6% dal -1,8% del mese precedente. Sono numeri che si commentano da soli. Su questo fronte l’azione del Governo è stata finora troppo timida. In Italia c’è un’inflazione da profitti e da sussidi che va sradicata in fretta. Ha fatto bene il ministro Adolfo Urso a chiamare i signori del carrello della spesa per provare a calmierare almeno i prezzi di alcuni dei generi di prima necessità, speriamo solo che non finisca come gli altri tentativi fatti finora: le compagnie aeree sono state convocate, qualcuno ha notizie della riduzione dei biglietti? E che dire della Commissione di allerta prezzi che lo stesso Urso riunì due mesi fa per chiedere conto degli abnormi rincari della filiera del cibo? Risultati? Zero. Ecco, va detto con chiarezza che se anche questo tentativo dovesse fallire beh, allora non resterebbe altro da fare che sollecitare formalmente ispezioni della Guardia di Finanza. Il Fondo monetario internazionale scrive a chiare lettere che «i profitti rappresentano il 45% degli aumenti dei prezzi dall’inizio del 2022»: sono quindi i profitti da rincari ingiustificati che stanno spingendo l’inflazione, penalizzando non solo i lavoratori ma le stesse imprese oneste, soprattutto piccole, costrette a fare i conti con le conseguenze della stretta monetaria della Bce. Di fronte a questo scenario occorre un’azione più incisiva. Tutti devono essere messi davanti alle loro responsabilità e chiamati a fare la loro parte per fermare il mostro del carovita. Diciamola tutta: questi extraprofitti sono spesso destinati a sparire in fallimenti pilotati, con le stesse aziende “morte” pronte a resuscitare il giorno dopo e a lasciare sul conto della collettività i loro debiti fiscali e previdenziali; per non parlare di quelli con fornitori e dipendenti sottoposti al ricatto della riassunzione. Il profitto per le imprese in un’economia di mercato è sacro; la speculazione con la scusa dell’inflazione sulla pelle degli italiani che non ce la fanno no. Non solo perché produce l’aumento delle diseguaglianze, ma perché ora sta mettendo a repentaglio la crescita dell’economia. Il Governo agisca con decisione. O vedrà i risultati nei dati della seconda parte dell’anno.

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