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La morte di Giulia: il problema è collettivo, non individuale

Opinionista: 

Con Giulia morta muore ancora un altro pezzo della bella società patinata che mostriamo sui social. Quante responsabilità, chi enormi, chi grandi, chi piccole, e chi, infine, microscopiche abbiamo tutti, nessuno escluso. Tante le colpe di chi è a capo delle istituzioni, molte, probabilmente ancora inconsapevoli, quelle dell’opinione pubblica che riapre gli occhi sul fenomeno apprendendo dell’ultima tragica notizia di una donna ammazzata dall’uomo che aveva amato e che, poi, voleva lasciare. Bisogna prendere consapevolezza che il problema è collettivo, non individuale; occorre fare ognuno la sua parte, anche in maniera minimale. Non è più il momento di demandare solo alla politica e al mondo della cultura la correzione di questa piaga della società e non si può più delegare solo alla scuola la formazione di giovani che sappiano affrontare l’abbandono. Le famiglie ritornino ad avere il proprio ruolo primario nello strutturare le personalità dei loro figli. Non li guardino solo con gli occhi dell’affetto, li osservino con l’occhio critico di chi vuole formarli ad essere uomini , cioè esseri fatti di umanità e non solo adulti vincenti. Non si vince in nessun campo, meno che mai, in quello delle relazioni amorose, se non si padroneggiano le proprie emozioni. Non servono i muscoli bene in vista, la voce alta, la bocca digrignata per riprendersi ciò che si perde lungo il normale percorso di vita, specie se è quello degli affetti. Sulla strada che si percorre ogni giorno non si trovano sempre porte spalancate e se queste si chiudono, se non ci fanno più andare dove vorremmo, non si abbattono con la forza; si cerca di comprendere perché sono state chiuse , di adeguarsi al nuovo scenario e alle ragioni di chi le ha chiuse. “Non sempre si può vincere” era il ritornello di una nota canzone degli anni ’60. Il ritornello ricorrente dei nostri attuali anni è tutt’altro: “Impara ad essere sempre vincente, con qualsiasi strategia possibile”. È un boccone amaro quello della perdita ma col tempo e con le giuste modalità lo si ingoia prima o poi. Il lago di Barcis sembra essersi tinto del sangue innocente di una giovanissima aspirante ingegnera che all’ultimo step del suo percorso universitario è stata stoppata dalle mani del suo ex ragazzo. Tutti lo definivano “bravo ragazzo”, poi aggiungevano, a bassa voce, quasi a vergognarsene, “solo un po’ nervoso”. Occupiamoci tutti, famiglia in primis, di questi ragazzi che devono imparare il rispetto dell’altro prima di ogni altra cosa