Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

L’arco costituzionale? Una nostalgia di Letta

Opinionista: 

Da quando il Partito democratico, nelle ultime consultazioni politiche del 2018, ha avuto la più bruciante sconfitta, la sua instabile dirigenza sta collezionando una serie di flop. Invece di interrogarsi seriamente per cercare di recuperare un consenso serio non di insignificanti decimali, ha puntato tutto sulla furbastra scorciatoia del corteggiamento, o peggio la caccia ai Cinquestelle con l’idea di annetterseli lentamente. Un disegno che ora l’inglorioso, inesorabile declino di Conte, il grande favoreggiatore di questo abbraccio, farà saltare. Un bene per il Paese. È tempo di archiviare certe infelici suggestioni, l’attuale legislatura è stata taroccata e falsata da questo permanente “safari”. Se la leadership di Zingaretti non ha trovato riscontri incoraggianti da doversi concludere con le dimissioni e un congedo accusatorio da “parenti serpenti”, la scelta però del suo successore, cioè di Enrico Letta, si sta rivelando destabilizzante, divisiva. Lo si era già intuito da quando fu precettato nel volontario e dorato esilio di Parigi, dove riparò per far sbollire la sua rabbia per la cacciata da Palazzo Chigi da parte di Matteo Renzi. i toni provocatori delle sue prime esternazioni erano più da classico “silurato” alla ricerca di una rivalsa che da volenteroso costruttore di un Paese, provato dalla pandemia. Mentre predicava pace, dichiarava guerra su temi, che potevano benissimo essere rinviati a tempi migliori. Un comportamento disturbante nel momento in cui il Governo Draghi, di unità nazionale, cominciava ad adoperarsi intensamente per recuperare il troppo tempo perduto da Conte su vaccinazioni e ripartenze. Il colmo però della cronica strumentalizzazione politica da parte del Pd a “trazione Letta” si è toccato in questi giorni per le sconsiderate parole del suo vice-segretario Provenzano. Il quale, invece di limitarsi a stigmatizzare l’assedio “teppistico” di Forza Nuova, non altro che questo, in base a un vetero pregiudizio di natura ideologica è giunto a tirare in ballo finanche Fratelli d’Italia, chiedendo - è inaudito - di considerarla fuori dell’arco democratico. L’avesse detto un altro, si sarebbe potuto anche pensare a un raptus di giovanile sprovvedutezza; ma parole così gravi in bocca al vice di Letta non possono non chiamare in causa il suo leader, come un incauto suggeritore. Altro che nuovo, l’innovatore e corbellerie del genere. Storia alla mano, il leader odierno del Pd è un veterano della politica, un Matusalemme del potere. Non solo per i tanti anni nelle stanze dei bottoni ma anche per certe perfide nostalgie, riaffiorate nelle parole del suo vice. Letta, nato nel “ventre del palazzo”, dal 1998 al 2014 più volte ministro nei governi D’Alema I, II, Amato II, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Romano Prodi, è il fedele erede di quella cultura “cattocomunista”, che inventò “l’arco costituzionale”, per inserire il Pci nell’area di potere e governare indisturbata in forza di un consociativismo in cui moltissimi si ritagliarono i loro fecondi orti urbani. Ci riferiamo a quella sinistra democristiana, sfiorata e scampata per “grazia ricevuta” al naufragio di tangentopoli, e di quel blocco sociale fra grandi imprenditori, sindacati ufficiali e nomenclature politiche, soprattutto Dc e Pci, sopravvissuto al regime dei partiti. Un blocco di potere che ha invaso l’apparato dello Stato dai rami più bassi , gli enti locali, ai vertici istituzionali. Di cui, Arturo Gismondi, una prestigiosa firma della sinistra, raccontò il reale profilo in un saggio pubblicato nel 1994 su “Ideazione”, con questa conclusione: “Il vero compromesso storico realizzato e sopravvissuto al fallimento del disegno politico di Franco Rodano e Berlinguer è stato la omologazione del ceto politico e burocratico in una sorta di superpartito del potere”. Che può contare oggi ancora su questi maestri, ripescati paradossalmente, dai “vaffa dei Cinquestelle” e dalla lungimiranza di Conte.