Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Legislatori e burocrati imparate l’italiano

Opinionista: 

Si fa gran parlare di riforme. Ma c’è una riforma della quale, invece, nessuno parla e che, tuttavia, sarebbe indispensabile per garantire quella trasparenza nei rapporti tra lo Stato e il cittadino che tutti invocano e per la quale - a parole – tutte le forze politiche, di destra, di sinistra e di centro, dichiarano di volersi impegnare. La riforma che qui auspichiamo è questa: far sì che le leggi varate dal Parlamento e tutti i provvedimenti pubblici siano scritti in un italiano corretto, rispettoso della grammatica e della sintassi e, soprattutto, comprensibile. Purtroppo non è così. Anzi, è esattamente l’opposto, al punto di alimentare il dubbio che leggi e provvedimenti siano volutamente scritti male, con un linguaggio oscuro e contorto, con lo scopo di cogliere in fallo i cittadini che devono rispettarli. Il problema non è nuovo anche se, in qualche misura, in realtà lo è essendo rimasto, negli anni, del tutto irrisolto. Due anni or sono, Pietro Ichino, politico e giurista di tutto rispetto, nell’aula di Palazzo Madama, denunciò clamorosamente l’assoluta incomprensibilità del provvedimento che l’assemblea stava discutendo, il decreto 101 contenente misure per la razionalizzazione della pubblica amministrazione. Ichino scelse un comma a caso del provvedimento è ne diede lettura: “Gli ordini e i collegi professionali sono esenti dall’applicazione dell’articolo 2, comma 1 del decreto legge 6 luglio 2012 n.95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 135. Ai fini delle assunzioni resta fermo, per i predetti enti, l’articolo 1, comma 505”. Tra i senatori calò il gelo. E Ichino incalzò: “Credo che in aula, in questo momento, non ci sia una sola persona che sia in grado di dirci che cosa questo comma voglia dire!”. I senatori di ogni parte politica applaudirono. Abbiamo raccontato un aneddoto. Ma sono decine e decine gli aneddoti che potremmo citare per dimostrare come la gran parte delle leggi e dei provvedimenti amministrativi che i vari ministeri ci propinano, sono stati scritti in modo tale da risultare incomprensibili non solo per milioni di cittadini, ma anche per la grande maggioranza degli addetti ai lavori. Recentemente un amico, proprietario di una piccola società che commercializza l’olio prodotto dalla propria azienda agricola, ci ha mostrato il testo di un decreto ministeriale che disciplina la commercializzazione dell’olio. Era disperato. “Non solo - ci ha detto – il governo fa di tutto per penalizzare i piccoli produttori di olio, ma ci propina regole alle quali, per quanti sforzi facciamo, non siamo assolutamente in grado di adeguarci”. Abbiamo voluto, consci della nostra inadeguatezza, sottoporre questo testo a cinque amici avvocati. Il responso è stato unanime e spietato. Non solo incomprensibile. Peggio, perché ognuna delle decine e decine di pagine che lo compongono è in contraddizione con la precedente così da renderne impossibile l’applicazione. Una domanda, a questo punto s’impone: chi scrive i testi dei provvedimenti amministrativi e delle leggi che il Parlamento approva o boccia molto spesso senza che la maggioranza di deputati e senatori ne conosca il contenuto? A redigerli sono, nella quasi totalità dei casi, burocrati ministeriali ai quali viene demandato tale compito. Ma, posto che come ci è capitato di osservare in più d’una occasione, la burocrazia resta il “grande male oscuro” del nostro paese, non ci si può limitare a gettare la croce addosso ai soli burocrati. C’è, a monte, una responsabilità altrettanto pesante dei politici che, nel corso degli anni, non hanno voluto o non hanno saputo dare al paese un’adeguata struttura amministrativa, hanno scelto dirigenti e collaboratori seguendo una logica clientelare e penalizzato le competenze, omesso di esercitare il dovuto controllo sui testi legislativi. Il problema è tutt’altro che trascurabile poiché se provvedimenti amministrativi e leggi dello Stato non sono comprensibili, è inevitabile, con tutto ciò che questo agli effetti pratici comporta (dall’inosservanza delle regole al vertiginoso aumento del contenzioso) che i rapporti Stato-cittadini finiscano in corto circuito. Ci chiediamo: il nostro paese è sopraffatto da una marea di commissioni e di enti assolutamente inutili. Non sarebbe in qualche modo possibile prevedere la costituzione di un qualche organismo che valuti il rispetto della lingua italiana, nella vasta - forse troppo vasta - produzione di leggi e di atti amministrativi?