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Il capozona dell’Arenella ritorna a Napoli
05 Settembre 2024 - 11:27
NAPOLI. Dalla mattina già se ne parlava, poi la notizia ha cominciato a circolare nel quartiere in maniera sempre più insistente. Ma, a domanda precisa del cronista, la conferma è arrivata da uno degli avvocati che lo hanno assistito negli ultimi processi, evitando che Maurizio Brandi fosse condannato a pene più severe. Così, dopo 15 anni di detenzione ininterrotta (permessi premio a parte) il ras dell’Arenella è tornato a Napoli, scarcerato per fine pena e sottoposto soltanto alla misura di sicurezza della libertà vigilata. Un ritorno in libertà che segue di poco più di un mese quello di Maria Giovanna Caiazzo, figlia del boss detenuto Antonio. Maurizio Brandi era ospite dell’istituto penitenziario di Milano Opera, dove le porte del carcere si sono riaperte per lui intorno alle 10. Poi un viaggio alla volta di Napoli e il ritorno a casa. Del 58enne si scrisse l’ultima volta nel lontano 2013, quando la camorra del Vomero finì al palo. La Corte di Cassazione infatti rigettò i ricorsi presentati dagli avvocati dei capiclan, i quali hanno dovuto perciò scontare le condanne inflitte in Corte d’Appello. Sedici anni per Giovanni Alfano, 20 anni per Antonio Caiazzo, 18 anni per Maurizio Brandi. Tre personaggi storici che secondo la procura antimafia per anni avrebbero gestito in regime di monopolio tutte le attività illecite della zona collinare. Rispetto al primo grado, nel secondo giudizio la mano dei giudici era stata leggermente più leggera. Per Brandi, 4 anni in meno, frutto di un cumulo di pena per camorra e racket. Con la premessa importante che il vomerese ha scontato interamente il debito con la giustizia e non ha carichi pendenti, di Maurizio Brandi si è scritto anche a proposito di un episodio particolare raccolto dagli inquirenti nel corso di CAMORRA Investigatori in allarme: pochi giorni fa è uscita pure la figlia del boss Caiazzo Fine pena per il ras Brandi, a piede libero dopo 15 anni una delle diverse inchieste a suo carico. In un’occasione il ras si sarebbe rivolto al titolare di un società edilizia con fare minaccioso dicendogli: “Visto che guadagnate molto, noi passeremo ogni mese di qua o a casa vostra e voi ci date qualcosa di soldi a piacere vostro, perché è venuta la stagione e dobbiamo farci i bagni”. Ancora, a dimostrazione dello spessore del personaggio, il reggente del clan e la moglie nel 2011 furono intercettati a telefono mentre organizzavano il pagamento delle “mesate” a lui e a un esponente del clan Polverino di Marano. Il linguaggio ovviamente era in codice. “Vieniti a prendere un caffè da noi”. Oppure “passa da noi prima che andiamo in ferie per andare a dare un’occhiata al giardino”. Inviti che la consorte di un ras del clan Cimmino, rivolgeva telefonicamente in un paio di conversazioni registrate a un parente di Maurizio Brandi, da tempo detenuto. Ma per la procura antimafia si trattava di messaggi cifrati: in realtà nascondevano un appuntamento per la consegna dello stipendio mensile spettante all’affiliato in carcere e alla sua famiglia. Per il gip il comportamento di coloro che incassavano il denaro integrava il reato di ricettazione con l’aggravante mafiosa in quanto era stato commesso in un contesto associativo.
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