Lunedì 29 e martedì 30 giugno 2015, presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, si svolgerà un convegno internazionale sulla resilienza. Il convegno intende approfondire le diverse accezioni ed applicazioni del concetto, cercando al tempo stesso di individuare le tecniche e le metodologie di analisi più appropriate alla misurazione del fenomeno e all’identificazione delle sue determinanti, dei possibili strumenti di prevenzione e delle politiche pubbliche atte a rafforzare elasticità e capacità di adattamento degli individui e delle relazioni sociali fra gli stessi, oltreché dei sistemi urbani, territoriali ed ambientali, alle avversità generate dalla natura (eventi catastrofici causati dai cambiamenti climatici, terremoti, ecc.) e dal contesto economico (crisi economiche o finanziarie, periodi di recessione, ecc.) e sociale (massiccia affluenza di immigrati, trasformazioni urbane e sociali determinate da fenomeni di contrazione demografica ed abitativa, ecc.).

Oggi più che mai si impone la necessità di approfondire il significato di un termine e, al tempo stesso, di un concetto, quello di “resilienza”, che è diventato gradualmente il “concetto-chiave di un’epoca” per il suo valore simbolico ed evocativo, in un periodo in cui il suo accesso interpretativo più frequente è collegato ad un’altra parola: “crisi”.

Il 2015 è stato definito “l’anno della resilienza” dai vertici dell’United Nations Office for Disaster Risk Reduction (UNISDR). A venti anni dal terribile terremoto di Kobe, che ha condotto nel 2005 (durante il vertice ONU di Hyogo in Giappone) alla definizione del Framework for Action 2005-2015: Building the resilience of nations and communities to disasters (Quadro d’azione 2005-2015: costruire la resilienza delle nazioni e delle comunità alle catastrofi), la comunità internazionale si interroga sulle nuove crisi e catastrofi ed individua nella resilienza il concetto chiave per affrontarle. La resilienza implica, infatti, elasticità e capacità di adattamento dei corpi, delle passioni, di interi sistemi e territori. Tali qualità oggi appaiono più che mai preziose per uscire dal “guado” rappresentato da una crisi, una crisi epocale che è figlia della finanziarizzazione dell’economia e della globalizzazione dei mercati. La globalizzazione ha tradito, infatti, le nostre aspettative di prosperità e di stabilità economica. Ha prodotto innumerevoli effetti positivi, ma ha portato anche tanta fragilità e vulnerabilità, aggravando il problema della lotta per le risorse e per la sopravvivenza, piuttosto che risolverlo, come presagiva ed auspicava Keynes per i suoi nipoti.

Al giorno d’oggi, “i nipoti di Keynes” – o dovremmo dire i suoi “pronipoti”, visto che sono trascorsi ormai più di ottant’anni dalla prima edizione (1931) del celebre saggio Economic Possibilities for Our Grandchildren – vivono indubbiamente in un mondo più grande e più aperto di quello in cui viveva il loro illustre progenitore, ma l’unico risultato che hanno ottenuto è quello di renderlo molto più pericoloso, incerto ed instabile. Basta infatti guardarsi intorno per rendersene conto: la rivoluzione tecnologica travolge i sistemi economici e sociali; le società sono sempre più sofisticate e complesse, ma al tempo stesso più diseguali, più espulsive e più esposte al tracollo; la crisi economica fiacca i popoli ed impoverisce le nazioni; i disastri naturali, in continuo aumento, sono spesso provocati dall’azione diretta o indiretta dell’uomo e producono danni fisici ed economici devastanti; il progressivo ridursi delle nascite e l’invecchiamento della popolazione mettono a dura prova la sostenibilità dei sistemi di assistenza sociale e sanitaria dei paesi ricchi ed industrializzati. Le soluzioni politiche tradizionali, ovvero la creazione di sistemi di welfare nazionali corporativi ed universalistici, sono progressivamente divenute insostenibili per ragioni di spending review, e la loro progressiva evoluzione verso sistemi di welfare liberali e regionali ne mette in crisi la funzione redistributiva ed inclusiva, soprattutto al mutare progressivo della composizione della popolazione determinato dalle migrazioni.

Il governo di questi processi è affidato ad un settore pubblico in continua evoluzione, in ragione della profonda riorganizzazione del governo locale che, in nome di sussidiarietà e adeguatezza, sta prendendo forma in alcuni grandi paesi europei. Si impone dunque un cambiamento, un nuovo approccio ai problemi del mondo, che porti ad un’inversione di tendenza o, in alternativa, al recupero di quella spinta originaria che potrebbe portare finalmente in salvo i “nipoti di Keynes”, al di fuori del guado in cui sono rimasti intrappolati. Per fare questo è necessario, tuttavia, prendere coscienza dei cambiamenti in atto ed adattarsi ad essi in modo rapido e costante. La chiave di tutto, la via per la salvezza, è ora più che mai la resilienza, e cioè la capacità di rispondere all’incertezza e alle trasformazioni attuando strategie adattive e creando continuamente nuove forme di equilibrio, diverse da quella di partenza. È l’unico metodo che può aiutarci ad “addomesticare la belva”, per convincerla a cambiare traiettoria e farle fare ciò che vogliamo, vale a dire, accrescere il benessere e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni che abitano il pianeta, specialmente di quelle più povere, nel rispetto della democrazia e della giustizia sociale.

 

Il programma dettagliato ed ulteriori informazioni sulla sede del convegno sono disponibili sul sito web http://www.scienzepolitiche.unina.it.