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15 Dicembre 2024 - 09:51
NAPOLI. La pressione fiscale penalizza le medie imprese del Mezzogiorno: mettono in una situazione d’inferiorità quelle di minore dimensione e favorisce i giganti. Se sugli imprenditori grava un tax rate effettivo che sfiora il 50%, sulle Big Tech si attesta al 36%.
Nell’ultimo decennio il livello della tassazione delle medie imprese del Sud risulta più penalizzante rispetto al resto del Paese (31% contro il 28,5%). Il motivo, secondo il Report sulla competitività realizzato da Mediobanca in collaborazione con Unioncamere e Istituto Tagliacarne, è riconducibile alle maggiori aliquote Irap applicate alle regioni meridionali.
Se alle medie imprese, rilava l’indagine, fosse stato imposto il medesimo tax rate delle altre areee, il territorio meridionale avrebbe risparmiato in media 22 milioni di euro all’anno, ovvero 220 milioni nel decennio da destinare alle politiche di sviluppo.
Nel periodo considerato, la dimensione geografica, l’export, il valore aggiunto manifatturiero e la popolazione residente, evidenziano che Campania, Abruzzo e Molise sono le regioni con la maggiore attrattività verso le aziende e il valore aggiunto delle imprese rappresenta ben l’11% delle stesse aziende del totale manifatturiero.
La specializzazione produttiva delle medie imprese del Mezzogiorno è appannaggio prevalentemente di tre settori dell’economia della Campania (alimentare-bevande, meccanico e chimico-farmaceutico) che, nel loro insieme, rappresentano quasi il 78,5% del fatturato totale. Nelle altre aree i tre settori più rappresentativi sono quello meccanico, beni per la persona, la casa e alimentare-bevande. Essi coprono oltre il 70% del fatturato totale.
Si tratta di dati in controtendenza rispetto alla tradizionale immagine di un Mezzogiorno attardato con margini di crescita, così come lo sono soprattutto nel settore cartario e metallurgico e con l’ampliamento della forza lavoro. Il medesimo trend si riscontra anche nelle vendite oltre confine dove le medie imprese meridionali hanno registrato una variazione positiva del 4,4% che si confronta con il calo di quelle del Centro-Nord (-2,1%).
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Ragione per cui le medie imprese del Sud guardano con un cauto ottimismo prevedendo un incremento di fatturato ed esportazioni intorno al 2% a fronte di un’aspettativa negativa delle medie imprese delle aree del Centro-Nord. Palla al piede delle medie aziende della Campania resta il reperimento dei profili professionali (53%) dei dipendenti.
La maggior parte delle imprese rileva che la mancanza di personale competente sia il principale ostacolo all’innovazione e il quadro delle analisi sul mercato del lavoro ha messo in evidenza, soprattutto in Campania, dove si registrano la maggiore concentrazione di medie imprese, le difficoltà nel reperimento anche nell’assunzione di personale manageriale affidabile in loco.
Quest’ultima motivazione è in cima alla lista delle criticità delle imprese del CentroNord che hanno attuato la delocalizzazione produttiva. Seguono i problemi di approvvigionamento e l’aumento delle scorte di magazzino, oltre che la sicurezza energetica. Oltre il 40% delle medie imprese del Mezzogiorno ritiene infine che il Pnrr contribuirà alla crescita economica del Paese e alla transizione digitale, più del 37% a quella green, peraltro in misura lievemente più marcata rispetto alle imprese delle altre aree.
Un po’ meno fiducia sulle capacità di sostenere occupazione giovanile e convergenza territoriale: solo l’8,9% delle aziende del Mezzogiorno pensa che il Pnrr aiuterà l’occupazione giovanile (meno che nelle altre aree: 9,7%) e solo il 7,1% che favorirà la convergenza economico-territoriale. Eccessiva burocrazia e difficoltà nell’eseguire i progetti sono i motivi secondo cui per metà delle aziende del Mezzogiorno il Pnrr non apporterà nessun vantaggio.
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