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TACCUINO DI MANHATTAN (1)

Sulle tracce di San Gennaro la New York senz’anima

Sui gradoni di Times Square non ci sono ancora salita. Mi domando perché farlo

Sulle tracce di San Gennaro la New York senz’anima

Times Square

Sui gradoni di Times Square non ci sono ancora salita. Mi domando perché farlo. Giù o su da quella impalcatura assisti a un impasto caotico ed euforico di etnie e follie, consentite a chiunque voglia esibirsi, selfarsi nel cuore di New York City.

O anche solo tentare di guadagnare qualche dollaro esponendosi allo nudo alla curiosità generale, come fa quell’anzianissima donna che si aggira in slip e a seno scoperto, triste immagine di vecchiaia offerta senza veli. In testa ha una parrucca di capelli lunghi e multicolore, sarà alta un metro e cinquanta, in spalla la tracolla di una grande chitarra e sulla testa un cappello da cowboy con la scritta “Red cowgirl”. Ma sarà questa l’immagine-ricordo che porterò via da questa città?

Gli occhi son pieni dei noti grattacieli. Anche io ho alzato il naso verso i piani più alti di questi simboli degli affari, del benessere economico, dell’ardire architettonico dell’uomo. Ma non l’ho fatto come fece mio padre che venne da turista a New York più di 50 anni fa e tornò strabiliato, per essere stato al centesimo piano dell’Empire - allora il palazzo più alto del mondo - e aver saputo che avrebbero costruito grattacieli ancora più alti di quello già considerato all’epoca una costruzione da record.

Quelle altezze oggi non impressionano più di tanto i turisti. Altre Nazioni nel mondo hanno edificati torri-alveari molto più alte. Però, bisogna riconoscere che lo spettacolo di questa distesa di “papaveri d’acciaio e specchi” ha qualcosa che esalta. Ma anche opprime, confesso, l’effetto ottico di quelle loro punte che sembrano si tocchino fino a chiudersi sulla tua testa. Perciò, dopo qualche giorno passato a misurarli, cominci a soffrire.

Preso atto che sei a New York. E che il frastuono della Subway sovrasta la capacità di sopportazione dei decibel adatti all’orecchio umano, emerge il bisogno di fuggire in un angolo di verde per respirare ossigeno e ripulirti la gola dallo smog, dai vapori che arrivano inattesi dai tombini fumanti e dagli odori nauseabondi delle centinaia di furgoni di hot-dog e cibo etnico spacciato ogni due metri. Traffico e clacson, sirene della polizia, risciò illuminati e insopportabilmente kitsch.

Meno male c’è il Lake di Central Park… e c’è la Cattedrale di San Patrick. È sulla quinta strada, quella della “Colazione da Tiffany”. Non mi sono sottratta al privilegio di chiedere: “Quanto costano questi piccolissimi orecchini che sfavillano d’azzurro?”. “Quattromila e 200 dollari. Sono diamanti”.

E certo, sono piccoli ma pesa tanto il loro valore… mentre mi allontano abbandonando con il cuore a pezzi il banco di cristallo che non oso più esplorare, mi passa davanti una signora grande e grossa, accompagnata dal marito grande e grosso quanto lei. Hanno abiti modesti ma avanzano con lo sguardo trionfante e soddisfatto. Specialmente lei, che stringe un pacchettino di colore “celeste Tiffany”.

La commessa che poco fa aveva parlato con me, la guarda con ammirazione e, sorridente, le fa i complimenti. I complimenti? Per avere lasciato chissà quante migliaia di dollari alle casse di Tiffany? Tutta la Fifth Avenue ha questo compito: mandarti via “felice” di aver svuotato il portafoglio.

E mentre rifletto, camminando su un marciapiede affollato (sempre), e attraversando le strisce pedonali, noto una donna in gonnellino corto, bianco, stile tennista, sneacker bianche, camicetta annodata sotto il seno, ovviamente bianca. La donna è bella della tipica bellezza newyorkese, quella che ci propongono i film di Hollywood. Tiene il cellulare alto e si sta filmando ridendo suscitando sguardi incuriositi. Mi passa accanto e scorgo che si tratta di Cameron Diaz.

Ma è proprio lei? O una donna che si è rifatta proprio bene per somigliarle? Mi rimarrà il dubbio. New York è un grande set cinematografico. Riconosco ogni luogo che attraverso come se ci fossi nata. Il ponte di Brooklyn, l’interno della metro, angoli di strade e la Stazione Centrale. Ovviamente Central Park.

Ma Little Italy? Questo iconico luogo dove si preparano ora i festeggiamenti per San Gennaro, merita un capitolo a parte. Intanto, vi avviso (con me non l’ha fatto nessuno) quando acquistate i brillanti da Tiffany o anche un tramezzino, preparatevi alla “sola”. Vedete esposto un prezzo, ma non è quello che pagherete.

Quando vi presentano il conto, la cifra che avete calcolato, accettabile per le vostre tasche, la troverete lievitata del 20% e anche più. La prima domanda che i commessi vi faranno: “Pagate con carta o contanti?”. Diamine, siamo a New York, e rispondete “carta”. Questo pagamento lo hanno inventato loro, noi siamo quelli della moneta di carta che stanno facendo di tutto per far sparire dalle nostre tasche e abituarci a usare solo la carta, meglio ancora se virtuale, sullo smartphone.

Ebbene, a New York se usi la carta ti applicano qualche dollaro in più… dopo decenni di carta di credito qui si torna ai portafogli con le banconote tradizionali. Ma il bello deve ancora venire… vogliamo perderci “per qualche dollaro in più”? Certo che no. Però il prezzo aumenta ancora perché c’è “la sales tax” (tassa sulle vendite) per semplificare sarebbe come la nostra Iva. Ma, mentre da noi è inclusa, qui è più del 9%.

La sorpresa finale è che il tuo calcolo è sempre sbagliato… Se si tratta di cibo, poi, arriva la “mancia obbligatoria”. Fai la persona moderna, paghi con la carta e, subito, il cameriere ti indica con il ditino sul tablet: “tip” 15%, 20%, 25%. Risultato, al ristorante il tuo conto che, mentre ordinavi calcolavi dal menu, sale da 66 a oltre 86 dollari.

(1. continua)

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