Jean Baudrillard, nelle sue strategie fatali, denunciava l'obesità data dall'eccesso che sfocia nell'osceno; e in una società contemporanea che ha reso regola del quotidiano la sovrastruttura e – appunto - l'(o)scena obesità, come stringente l'imitazione nella vacua sovrabbondanza, un ritorno al minimale, all'essenziale che si fa essenza, è cosa buona e giusta. È stato, quindi, “catartico” il trascorre una serata al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli, nell'ambito della rassegna Maggio d'Arte, con lo spettacolo "Un giorno all'improvviso - un amore contemporaneo" (Ugualos Produzioni in collaborazione con Suoni e Scene); rappresentazione scritta e diretta da Eduardo Cocciardo e dallo stesso interpretata con Francesca Stizzo (insieme nella foto). Con il suo “inedito” Cocciardo è riuscito perfettamente a definire, in un “sano” e funzionale minimalismo, il senso profondo di una realtà che da sempre accomuna l'essere umano: il rapporto tra uomo e donna. Così, su un palco volutamente scarno (scenografie di Tatiana Taddei), dove l'assenza fa scena non (o)scena, con sullo sfondo due binari che tracciano una direzione (inesistente?), siti in un nessun luogo, che portano in nessun luogo e che non si incontrano, come percorsi individuali all’interno di un sistema “binario” agiscono i due personaggi Luca e Sara, un uomo e donna, intesi non più come maschio e femmina ma come realtà contemporanea di una coppia che si confronta in uno scontro lontano dalla dialettica socratica e condannati, da un dio demiurgo, a rifare i conti  (raccontandosi) “da qualche parte dopo 26 anni”, per poi tornare immancabilmente (novelli Sisifo) al punto di partenza. L’ottima penna di Cocciardo, dedica a se stesso un lineare e sessualmente condizionato dai suoi istinti Luca che tenta, con la sua balbuzie, di essere umano “con la verità che merita l'uomo e la vita”, mentre riserva a Sara, splendidamente interpretata da Francesca Stizzo, il ruolo complesso di una donna “contemporanea”, figlia della rivoluzione femminista e dell’emancipazione alla stessa legata, con tutto il conflitto che la sua nuova collocazione sociale porta. Ed è, a mio parere, proprio l’attualità di Sara che rende l’amore di “Un Giorno all’improvviso” “contemporaneo”, con la sua poliforme acquisita nuova natura che a suo modo, non solo ha sovvertito nell’arco temporale di due generazioni il secolare equilibrio tra uomo e donna, ma ha soprattutto posto innanzi alla donna (come nuova Medea in antitesi al maschio) un potere da gestire prima di tutto nel rapporto con se stessa, non più consolata dall’amore che è nella sospensione di Penelope nell’attesa del ritorno di Ulisse per poi vederlo (uomo) ripartire, ma carico dell’insofferenza di “un adesso e subito”, totalizzante per una donna che è e vuole essere, in uno, sia sposa che madre, generatrice, lavoratrice, emancipata, paritetica, persona e individuo. Tra le tante osservazioni fatte e frasi dette da Luca e Sara (alcune anche piacevolmente ironiche), l’auspicio che ho colto nella speranza di un reale rinnovamento, è nei piedi nudi di Sara che, dopo aver indossato tante diverse scarpe fatte di momentanea apparenza, aspetta che i propri piedi inizino a camminare “nudi senza la paura di sporcarsi” di tutto quanto è della vita vera, ricongiungendosi forse, così, all’uomo Luca e alla verità che per lui la vita stessa merita. Un ultimo plauso va a Cocciardo che ha avuto ancora voglia e coraggio di mettersi in discussione con un proprio testo, dando nuova vitalità all’arte teatrale.

Marco Sica