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TACCUINO DI MANHATTAN
16 Settembre 2025 - 09:57
Il museo dell’emigrazione a Ellis island
1892-1954. In questi anni, 4 milioni e mezzo di emigranti giunsero a Ellis Island, 2 milioni dei quali partirono dal Sud, dal porto di Napoli.
Arrivo sull’isola da turista, trasportata sul fiume Hudson, fotografando lo skyline dei grattacieli e il simbolo degli Stati Uniti: la Statua della Libertà. Ogni anno visitano Ellis Island 2 milioni di turisti. Ne sbarcano 10-12mila al giorno ed entrano nel “Salone dei bagagli”.
https---www-youtube-com-shorts-Mg_6KP9OOMk
Il Museo dell’Emigrazione offre a tutti un’audioguida che spiega ogni dettaglio dell’enorme edificio in cui si attraversano sale di fotografie d’epoca, oggetti appartenuti agli emigranti e due teatri per la proiezione di un toccante film con la voce narrante di Gene Hackman. Vi ho trascorso 3 ore. Le voci registrate dei testimoni trasmettono la sconfinata sofferenza degli immigrati da tutta Europa, e soprattutto dal Sud.
Non dimenticherò più i volti segnati dalla miseria e dal dolore, le storie dei bambini avviati al lavoro in fabbrica, degli uomini in miniera e delle donne, quelle rispedite indietro, dopo quasi un mese di mare nella stiva maleodorante e soffocante delle navi. Nel film- documentario i passeggeri-testimoni raccontano che, durante la traversata, c’era chi sperava che la nave affondasse o che tornasse indietro.
A Ellis Island c’era anche la “stanza del bacio”. Niente di romantico, era il luogo dove le famiglie si separavano per sempre, dandosi l’ultimo bacio d’addio, quando parte di esse veniva considerata non idonea a restare per lavorare negli Usa. Ma le donne del Sud non potevano nemmeno baciare il marito, perché la morale dell’epoca non consentiva che avvenisse in pubblico.
Chi restava, cominciava la “nuova vita” di oltre 11 ore al giorno di fatica, spesso sbagliando e litigando perché non capiva quel che gli si diceva.
Al Museo di Ellis Island oggi arriva anche chi desidera trovare le tracce dei propri antenati nei registri consultabili online e stampare il certificato in cui venivano annotati (ovviamente a mano) i nomi, spesso storpiati da chi arrivava, incapace dieseguire lo spelling, e di chi scriveva di registrare correttamente le identità . Così, molti emigrati perdevano anche il proprio nome d’origine.
Il Museo è fatto benissimo. Ma l’inadeguatezza delle voci dell’audio-guida stride con le tragedie narrate. I toni sono talvolta divertiti o addirittura euforici. Lo scopo è rendere coinvolgenti levicende dolorose di milioni di famiglie. La storia di popoli feriti diventano una sorta di gioco e talvolta persino uno sgradevole quiz.
Ad esempio: “Nella teca ci sono le scarpette di alcuni bambini giunti qui. Quale vi piacciono di più?” recita l’audio guida, che parla con un timbro di voce da cartone animato. Andrebbe modificata subito, abolendo quella sorta di “divertente” scelta delle scarpette dei bambini immigrati per povertà e per disperazione.
Mi sono ricordata del mutismo del signor Giuseppe Piccione, sarto a Manhattan. Lui è arrivato a New York, quando la struttura era stata già chiusa e trasferita, forse dalle ferite non è mai guarito. Osservo le foto di uomini piegati sulle macchine per cucire. Una vignetta raffigura quelle macchine con lo stesso volto dei sarti, per rappresentare le ore di lavoro interminabili a cui erano sottoposti, tanto da farli diventare una cosa sola con la cucitrice.
Anche le camere-dormitorio addolorano. Si va via molto tristi da Ellis Island. Eppure, partendo da qui, molti nostri connazionalihanno fatto la grandezza degli Usa, cercando di non perdere l’identità delle origini. E le tradizioni.
Mi dirigo a Little Italy. Mulberry Street viene descritta come “cuore pulsante” degli italiani a Manhattan. Trovo qui una fila di ristoranti della nostra terra: “Caffè Napoli” è il più affollato, poi ci sono le insegne “Puglia”, “Gennaro”, “Maria”… leggo nomi o cognomi (Ferrara) di donne o di uomini con tavolini che espongono “pasta handmade” e menù di piatti della tradizione di ogni regione italiana.
https://www.youtube.com/shorts/Mg_6KP9OOMk
Festoni tricolori in alto richiamano l’imminente Festa di San Gennaro, che qui dura una settimana. E le musiche di Pino Daniele evocano i vicoli di Napoli. A tavola,italiani e stranieri mangiano spaghetti con le cozze e frittura di pesce. Ma l’espresso non lo servono al banco, se lo vuoi, devi ordinare il pranzo.
Una donna sistema i suoi avventori. Tutt’intorno è una bolgia, e la signora si lamenta: «Io, in queste condizioni, a San Gennaro non lavoro. Non si può andare avanti così». La inseguo, per farmi indicare dove trovo la chiesa dedicata al Santo, che custodisce una reliquia del Patrono di Napoli. Lei risponde: «Signo’, è chiusa». Come chiusa? Perché? «Perché qua è cambiato tutto! Non vedete che cosa è diventato? Non siamo più Little Italy, ora siamo la piccola Africa». Gira i tacchi e raggiunge altri clienti.
Sono quasi le 16. Cerco un posto dove mangiare e scelgo “Maria” , ma chiedo un piatto molto diffuso in Usa: la “pasta alla Alfredo”, resa famosa qui da attori hollywoodiani. A tavola servono acqua in una “bottiglia casalinga” in vetro e con il tappo ermetico, come si usava anche nella mia famiglia.
A New York l’acqua minerale ha costi proibitivi, viene venduta a prezzi più alti della Coca-Cola. Roba da privilegiati. Nessuno la chiede al ristorante né i camerieri domandano se si preferisce una “liscia o gasata”, versano direttamente l’acqua imbevibile della fontana. I più raffinati lo fanno da una brocca in silver.
Altrimenti, una minerale da 750 ml la paghi minimo 10 dollari. Al market costa 3,50 dollari (ma va aggiunta la “sale tax”) che alla cassa diventano quasi 5. La confezione da 2 litri ha il prezzo finale di 6,57 dollari. Non chiedete la shopper, vi fanno spendere altri 5 dollari. La prima sera mi è venuto un colpo.
Sorvolo sul giudizio di ciò che ho mangiato alla trattoria di Little Italy, per giunta nessun cameriere parlava in italiano. Da dimenticare.
La chiesa di San Gennaro è un piccolo tempio con alte cancellate e due statue all’ingresso di Maria e Gesù. Dietro, alla parete, una targa ricorda che questo è un Santuario nazionale dedicato a San Gennaro. Le messe? Se ne dice solo una al mese. Mi sembra un oltraggio. È evidente che pure San Gennaro è diventato solo attrazione per turisti.
E lo sarà nei prossimi giorni con la statua portata in processione e le offerte in dollari esposte sul carro. È proprio vero che non sono più a Little Italy, ma nemmeno in Africa (come aveva definito questo luogo l’esasperata signora del ristorante). In realtà, qui siamo a Chinatown.
Le insegne, i negozi, le bancarelle, la gente in strada: è Repubblica Popolare Cinese. Da tempo i cinesi hanno comprato tutto il quartiere, e gli italiani sono andati altrove, come sta succedendo alla Ferrovia a Napoli. I padroni asiatici di Little Italy vendono frutta che non conosco e pesci che non ho mai visto, con adescatori di passanti a cui propinare orologi contraffatti.
Anche New York è regno di contraffazione e di ambulanti abusivi. Aprono i lenzuoli ed espongono borse, portafogli e gadget con i marchi falsi delle griffe costosissime in vetrina nella Quinta Avenue, sfacciatamente di fronte ai palazzi degli stilisti più famosi. Le strade che circondano Times Square sono come via Toledo: occupate in ogni angolo da oggetti taroccati. E anche Wall Street ha i suoi bancarellari di paccottiglie e cineserie.
Penso proprio di aver visto tutto…
https://www.ilroma.net/news/opinioni/852948/sulle-tracce-di-san-gennaro-la-new-york-senzanima.html
https://www.ilroma.net/news/opinioni/853026/brooklyn-degli-italiani-resta-solo-santa-rosalia.html
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