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Il Governo almeno ci prova, a sinistra fanno solo comizi

Opinionista: 

Mortifero. Sotto il profilo del messaggio politico il colpo assestato da Giorgia Meloni è per la sinistra mortifero. Essenzialmente per due ragioni: 1) perché le norme sul lavoro contenute nell’ultimo decreto, quello varato a poche ore dal Primo maggio, colpiscono il core business di partiti e sindacati rossi. In ballo, infatti, c’è la rappresentanza dell’insofferenza sociale e della sofferenza salariale, su cui Pd e M5S faranno la loro campagna elettorale; 2) perché alla gamba degli incentivi per le assunzioni di giovani e donne, soprattutto al Sud, l’Esecutivo ha affiancato quella della crescita. Si tratta di una serie di norme per accelerare e spendere nella maniera più efficace possibile gli unici soldi veri disponibili per fare un po’ di Pil: quelli europei. Il reale impatto di queste misure su crescita e lavoro, al netto di una situazione dei conti pubblici molto seria, andrà verificato. Tuttavia, il Governo almeno ci prova. A sinistra, invece, preferiscono i comizi. Si è parlato molto dei bonus contenuti nel decreto, ma ci sono due aspetti che, se alle parole scritte seguiranno davvero i fatti, potrebbero risultare decisivi per aumentare gli investimenti: meccanismi di premialità per chi impiega le risorse europee nei tempi previsti e, al contrario, l’attivazione di poteri sostitutivi in caso d’inerzia delle Amministrazioni inefficienti e in ritardo. Siccome è con gli investimenti che si crea lavoro, va da sé che nel decreto tutto si tiene. Sorprende il linguaggio di Cgil e Uil che, per giustificare il giudizio negativo sul provvedimento, contestano che «arrivano solo bonus». Vero, sarebbero di gran lunga preferibili interventi strutturali a una politica col fiato corto. Per farli, però, occorrono risorse che possono essere recuperate solo se si decide finalmente d’intervenire sulla struttura del bilancio pubblico. A Palazzo Chigi si può imputare lo scarso coraggio, ma se quest’audacia ci fosse, i sindacati si opporrebbero rilanciando la litania dei tagli. Vogliono tutti la botte piena e la moglie ubriaca. È sconcertante che a prendersela con gli sgravi per le assunzioni siano coloro che negli anni passati hanno plaudito a bonus e Superbonus di tutti i tipi. Mai si era vista la Cgil protestare contro un provvedimento che mette qualche euro nelle buste paga di tanti lavoratori. La verità è che il Governo, sia pure tra molte contraddizioni e con decisioni già viste in passato, prova a spingere l’occupazione, soprattutto al Sud. Se basterà lo vedremo, ma intanto si potrebbe almeno riconoscere il beneficio della buona volontà. Piuttosto, per avere salari più alti serve più produttività, e per avere più lavoro occorre dare più fiducia alle imprese: tutte cose che al sindacato fanno fischiare le orecchie. Già, il sindacato. Quale sindacato? CgilUil e Cisl hanno festeggiato insieme il Primo maggio, ma non sono mai stati così divisi tra loro. La Cgil ha lanciato la sua campagna referendaria contro Jobs Act e contratti a termine, mentre la Cisl l’ha definita «anacronistica». La realtà dice che nell’ultimo anno i posti fissi sono stati 600mila in più, mentre quelli a tempo determinato 200mila in meno: pur con tutti i suoi problemi (che sono tanti e gravi), era da tempo che il mercato del lavoro non respirava così. Cavalcare una retorica incendiaria per ragioni politiche, finisce solo per gettare più di un’ombra sulla credibilità di chi dovrebbe difendere i lavoratori e basta, a prescindere dal colore politico dei governi. Sprezzante, Maurizio Landini definisce una «marchetta elettorale» l’una tantum da 100 euro che a gennaio 2025 arriverà a un milione di famiglie con redditi medio-bassi. Qualcuno ci farà una spesa al supermercato e certamente le risorse sono limitate. D’accordo. Ma quelle parole appaiono un clamoroso autogol. Una volta i sindacalisti si battevano proprio per questo: tutelare il potere d’acquisto degli stipendi. Oggi lo fa il centrodestra. A conti fatti, i lavoratori ci guadagnano. Meglio pochi euro che mille chiacchiere.