“È uno che se ne fotte!” Questo dicono di te, amico mio. E forse non hanno tutti i torti. Ma probabilmente è proprio là che sta la tua elegante superiorità. Te ne stai per i fatti tuoi e sembri insensibile a tutto quello che ti succede intorno. Tutti intorno a te, infatti, si fanno belli e si pavoneggiano, narcisi e vanesi, con il loro vestito sempre curato e come si dice a Napoli “alliccato” e di fronte a loro la tua magrezza nodosa, quasi da anoressico, appare ancora più scheletrica. Sembri uno che sta sempre nervoso e contrariato che non aspetta altro che di attaccare briga, ma alla fine non lo fai mai, proprio perché, come dicono, te ne fotti. Ogni volta che lascio le sudate carte sulla scrivania e mi affaccio alla finestra dello studio, tu stai sempre là, imperturbabile, e ho l’impressione che fai finta di guardare da un’altra parte, come se ti desse fastidio che ti osservo, pur essendo consapevole che, ormai da tanti anni, se mi interesso a te e alla tua salute, è solo perché mi sono affezionato. Dopo tanti anni che ti conosco, del resto, non potrebbe essere diversamente. Lo so bene che ti dà molto fastidio che, per la posizione in cui adesso ti trovi, non puoi più essere utile come vorresti ed è per questo che fingi disinteresse per tutto e per tutti. Ma alla fine non puoi non avere l’orgogliosa certezza che sei uno di quelli che, grazie alla tua energia, eviti che ci crolli tutto addosso. Perché sappiamo bene che sei saldamente legato alle tue radici.Adesso, però, ci siamo: i tempi sono maturi! Ancora qualche giorno e poi poco alla volta, ma inesorabilmente, come sempre, che tu lo voglia o no, quel tuo aspetto nervoso e burbero non si vedrà più e tutti quelli che ti stanno intorno per qualche mese moriranno di invidia, perché sarai il più bello. Stai certo, ormai la stagione fredda ha i giorni contati e tra poco sarai tutto coperto di foglie, mio carissimo e scontroso albero di noce. Gli uccelli che popolano questo spicchio di verde condominiale aspettano come me, aspettano che le automobili che parcheggiano sotto il terrapieno, tenuto saldo proprio dalle tue radici, schiaccino le noci che cadono sull’asfalto per farne gioioso banchetto. Verrei volentieri ad abbracciarti. Se non lo faccio, è solo perché stai proprio all’orlo del terrapieno e rischierei di cadere giù nel cortile. Allora lo faccio, come si dice oggi virtualmente, o meglio col pensiero, anzi, se me lo consenti, a costo di sembrare un vecchio sentimentale, col cuore.

(L'opera in foto è "Il primo della stirpe è legato a un albero e se lo stanno mangiando le formiche" di Carla Viparelli)