E così anche le celebrazioni del 250esimo anniversario della nascita di Beethoven sono state prese in contropiede da questo maledetto covid. Giallo, arancione o rosso che sia il colore pandemico della tua regione niente concerti in presenza. Povero Beethoven! Ma il nostro San Carlo non si è fermato. Abbiamo seguito in streaming il giovane e impetuoso Yuri Valcuha che ha guidato la nostra meravigliosa orchestra nella Prima e nella Quarta sinfonia. E siamo stati in tantissimi, settantamila: numero da stadio! Certo ci è mancata quell’aria magica del nostro teatro che ti mozza il fiato ogni volta che ci metti piede come fosse la prima volta, e ci è mancata l’eccitante inondazione di applausi che puntualmente piove a cascata dal loggione e dalla galleria quando l’esecuzione è trascinante come è stata quella cui abbiamo assistito! Perché quella di Valchua è stata una direzione veloce e dinamica, brillante e trascinante, come è giusto che sia per una sinfonia come la Quarta, che è davvero un gioco lieto di suoni e di immagini. Che dire, allora? Viva la rete e il computer! E sì, perché per chi è appassionato di musica, al punto di rimpiangere di non averla studiata e praticata, ma solo ascoltata, la rete è una cosa meravigliosa. Quelli della generazione di noi settantenni hanno cominciato alla metà degli anni sessanta ad appassionarsi alla classica, incoraggiati dalle edizioni economiche che il mercato discografico metteva a disposizione. I fanatici della stereofonia che allora spendevano fiumi di soldi per impianti pazzeschi, storcevano il naso a guardare i nostri dischi: «Vecchie matrici monofoniche! Per carità!” Eppure quelle vecchie incisioni, suonate su giradischi super economici, ci proponevano orchestre storiche e direttori d’orchestra leggendari: Arturo Toscanini, Fritz Reiner, John Barbirolli, Charles Munch, Pierre Monteux, e tantissimi, indimenticabili altri. E sognavamo magari di vederli i nostri idoli sul podio, noi che appartenevamo alla categoria di quelli che non hanno saputo resistere da ragazzi alla tentazione, seguendo la musica nel segreto di una stanza, di dirigere l’orchestra utilizzando un ferro da calza delle nostre madri. Qualcuno, per la verità, ha mantenuto questa intima debolezza anche quando dalle case sono scomparsi i ferri da calza e si è scoperto che in fondo una vera bacchetta per dirigere l’orchestra, con la sua impugnatura di legno e con la sua lunghezza di trentasette centimetri e mezzo, di spartana vetroresina, costa una decina di euro. Ora finalmente la rete i nostri sognati beniamini ce li restituisce. Eccoli i filmati che sognavamo di vedere da ragazzi con i nostri amatissimi direttori che guidano, o addirittura provano con gli orchestrali. Un giovanissimo e furente Celibidache che dirige l’ouverture dell’Egmont di Beethoven nel 1950 in un teatro berlinese mezzo distrutto dai bombardamenti; un Georg Solti in gran vena che prova con una grinta scatenata, quasi forsennata, la marcia funebre di Sigfrido; un Barbirolli puntiglioso e incontentabile che inferisce, gentile ma inflessibile, sulla sua Hallé Orchestra per ottenere gli effetti sonori che ha in mente. E allora, bloccati dalla pandemia, celebriamoci la ricorrenza beethoveniana in casa. Mettiamoci di fronte al nostro impianto, tra i due altoparlanti per trovarci proprio nel mezzo della musica. Il volume non troppo alto per non disturbare i vicini che non amano la musica classica, e tendono a vendicarsi quando esageriamo con l’Inno alla gioia, ricambiandoci con il lamento dei neomelodici. Sguardo fisso sul display illuminato. Alziamo in alto la bacchetta e sciaboliamo un deciso fendente, proprio come abbiamo visto fare a Riccardo Muti. E i Berliner Philarmoniker ai nostri piedi risponderanno precisi e obbedienti, all’unisono, attaccando la Settima Sinfonia; naturalmente di Ludwig Van Beethoven.