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La discriminazione della Buona scuola

Opinionista: 

La forte protesta di numerosi docenti delle scuole italiane contro i trasferimenti che portano a compimento il cosiddetto decreto della Buona scuola ha di per sé pieno fondamento. A lamentarsi sono sopratutto Docenti del Mezzogiorno, che sono giunti ad occupare a Napoli, Palermo ed in altre città anche gli Uffici scolastici. E le ragioni della contestazione sono tutte nei criteri discriminatori ai quali è ispirata l'ordinanza di mobilità e la legge che l'ha regolata: criteri per i quali docenti con punteggi di gran lunga inferiori ed anzianità di servizio meno lunga si trovano miracolosamente avanti nei trasferimenti – e dunque collocati nelle sedi del sud dove risiedono – rispetto a colleghi di ben più lungo corso e punteggio, che vengono invece trasferiti in ambiti e scuole del nord, con conseguenze evidentemente molto pesanti su vita personale e familiare. Tutto questo, però, rimarrebbe nella sfera dell'irragionevolezza di decisioni negoziate tra Ministero dell'Istruzione e sindacati di categoria e si limiterebbe, se anche fosse stato necessario, a dissolvere definitivamente l'incanto che costruito intorno alla cosiddetta Buona scuola: la scuola resta quella che sempre è stata, con le medesime logiche personalistiche ipersindacalizzate e di nuovo (per non dire di buono) c'è veramente poco. Il problema è che la situazione creatasi è anche un tristo esempio dello sfascio istituzionale – o, se si vuole, della più totale dissoluzione del senso delle istituzioni – attualmente in corso nel nostro paese. Quel che le cronache hanno omesso di raccontare, ed io lo so per avere patrocinato il giudizio contro l'ordinanza dei trasferimenti, è che il Tar per li Lazio, adito da molte centinaia di docenti, aveva con propria ordinanza sospeso le contestate regole dettate dal Ministero (in realtà dai Sindacati) per disciplinare quei trasferimenti, proprio perché si trattava di un regime illegittimo e largamente discriminatorio. Il Ministero avrebbe di conseguenza dovuto fermare il procedimento ed attendere la decisione del Tar: nulla peraltro di sconvolgente, perché semplicemente sarebbero ancora per qualche tempo rimasti tutti dove già insegnano. Il Ministero, però, senza fare una piega e comportandosi come se a pronunciare il verdetto non fosse stato un Tribunale di quella medesima Repubblica Italiana della quale esso è, niente di meno, che organo del Governo, ha proseguito per la sua strada, dichiarando che l'ordinanza non sarebbe stata rispettata. E, tenendo fede al ribaldo proposito, non l'ha rispettata per davvero. Questo accade in Italia. Il Governo della Repubblica pone in non cale le decisioni dei Tribunali della Repubblica, senza nemmeno incomodarsi d'appellarle: semplicemente facendo come se esse non esistessero, un po' come un debitore che si sottrae alla sentenza di condanna, nascondendo i suoi beni o intestandoli a prestanome ed accusando il giudice d'essere stato ingiusto. A far ciò è stato niente di meno che il Ministero al quale è commesso il non lieve compito di mantenere efficiente l'organizzazione chiamata a formare il cittadino rispettoso delle leggi e delle regole del vivere civile e dunque anche ossequioso dei giudici che le applicano. E l'ha fatto, ancora una volta niente di meno, nei confronti del personale docente che sguinzaglia per tutto il territorio nazionale ad insegnare ai discenti che un popolo civile ha cittadini civili che credono nello Stato e nelle sue leggi e che è vietato farsi ragione da sé, ma se si ritiene d'aver subito un torto ci si rivolge al giudice, il quale deciderà a chi l'assistenza del diritto. Questo, invece, accade in Italia nell'anno 2016. Con quali conseguenze e muovendo da quali premesse culturali non è proprio difficile a ciascuno immaginare.