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Il peccato sociale dei soliti furbetti

Opinionista: 

Tiene banco, fra tutte le altre tristezze, la storia, che si ripete da noi ed in mezza Italia, dei “furbetti del cartellino”. Questa volta all’ospedale Loreto Mare e per un numero cospicuo di “replicanti”. Si studiano nuove forme per impedire questi abusi, fermo restando che il licenziamento è dietro l’angolo. Tuttavia è il caso di qualche ulteriore considerazione: il “proibizionismo” non ha evitato che si consumasse un solo bicchiere di whisky in meno, così come la lotta alla droga non ha impedito le forme più sofisticate di approvvigionamento, né la consapevolezza del danno che arreca il fumo non ha scoraggiato un solo fumatore dall’insistere nel vizio. Se non si ha una nuova coscienza dell’errore, se non si acquisisce un qualche valore sulla bellezza della vita e dei propri comportamenti si cercherà sempre qualche scappatoia per fare i propri “comodi”. “Filosofia” a parte, continuo a meravigliarmi di come Santa Madre Chiesa non prenda in considerazione la “fattispecie” del “peccato sociale”. Sarò sfortunato o poco attento, ma non ho mai sentito, nel tempo, che presentare qualche certificato medico pur in assenza di malattia, timbrare il cartellino e non lavorare, prendere lo stipendio senza aver fatto il proprio dovere è un furto, di cui al comandamento “Non rubare”. Ma, in questi casi, è anche una violazione del precetto più grande: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Il malato costretto a far ore di fila perché gli addetti hanno “marinato”, colui che viene trattato con sciatteria o disattenzione è il “prossimo”, che si deve amare. Poi ci si sarebbe un altro valore: quello del dovere . Oppure quello della gioia di rendere un servizio al meglio: lo dico da antico impiegato, per sedici anni, del Banco di Napoli. Ancora oggi, insieme a tanti colleghi, sono felice della stima di molti clienti, che si ricordano delle attenzioni e della disponibilità di cui a reciproca e bella umanità. Il dovere, il rispetto per i clienti era “sacro”: e non costava fatica perché la pratica di quei valori, di per sé, era una bella “ricompensa”. Ci pensi Santa Madre Chiesa e contribuisca a creare nuova consapevolezza di amore. Ci pensi anche la Scuola, cui compete l’educazione di intere generazioni ai valori della civile convivenza, inculcando in ciascuno il senso del dovere. Amore e dovere: due valori, insieme, religiosi e laici. I KENNEDY. Ho visto Jackie. Un film di emozioni. Per un'intera generazione. E per me. A prescindere dalla verità storica e da ogni valutazione sulla qualità del film, che comunque è ben congegnato e benissimo interpretato. Non solo dalla intensa Natalie Portman. Era il novembre del 1963, Anna, ci saremmo sposati nel 1966, era appena arrivata in America. A Philadelphia. Ospite, alla pari, della famiglia Sargentini. L’ingegnere Sargentini, dirigente della Olivetti, il cui mitico fondatore, Adriano, aveva acquistato (fece enorme impressione a quel tempo) una “fabbrica” di macchine da scrivere in America, la Underwood, era stato “mandato” in America, appunto, quale manager e voleva conservare per i figli educazione e lingua italiana. Anna era stata “selezionata” per questo. John Kennedy fu ucciso a Dallas il 22 di novembre del 1963. Anna, che era arrivata da poco, mi scrisse della emozione, della paura, del dolore diffuso. Di lì a qualche mese sarebbe andata, come tanti, a rendere omaggio alla sua tomba ad Arlington. A quel tempo ero al collegio Augustinianum dell’Università Cattolica a Milano. Erano i giorni dei “Ludi”, il periodo di “educazione” che gli “anziani” riservavano alle “matricole”. Alla notizia della uccisione di Kennedy, un collega del mio anno, l’ultimo degli studi universitari, propose di sospendere i “Ludi” con la motivazione, ingenua ma genuina, che Kennedy era il primo Presidente cattolico degli Usa. Nonostante la forte emozione continuammo quei “Ludi”, ma l’uccisione di Kennedy, il Presidente della “Nuova frontiera”, segnò per tutti noi, per la nostra generazione, la fine del “tempo dell’innocenza”. Per sempre. Cominciava un tempo nuovo, molto più drammatico: dopo l’entusiasmo del ’68, arrivò il terrorismo, di destra e di sinistra, si consumarono attentati, ancora oggi misteriosi, fino all’assassinio di Aldo Moro. Quel “maledetto” 1963: il 3 di giugno era morto Papa Giovanni XXIII, il Papa del Concilio e della Enciclica “Pacem In Terris”. Un altro della “triade” che aveva fatto sperare in un Mondo migliore: Papa Giovanni, Kennedy, Kruscev. Questo bel film ha “riaperto” mille emozioni, legate ad un tempo irripetibile, quello della “speranza”, come lo definì in un bel saggio, quell’altro uomo di grande fascino, che è Pierre Carniti. E parlarne in questi giorni di degrado disperante fa molto bene. Spero non solo a me. Senza dimenticare una… civetteria localistica: Jaqueline Kennedy, nei primi anni del matrimonio con Aristotele Onassis, sbarcò sull’Isola d’Ischia e volle venire a Forio per acquistare dei collages di “Peperone”, pittore bravo e personaggio simpatico, intelligente ed estroverso, di cui le aveva parlato, “complice” Gogò Schiapparelli e Gino Cacciapuoti, sua sorella Lee Radziwill, ammiratrice dell’arte davvero originale del nostro “Peperone”.