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Ribaltone Meridione: svolta Gentiloni

Opinionista: 

Da quando Camillo Benso Conte di Cavour sul letto di morte, seppur in preda a deliri febbrili, si dice che non tralasciasse mai di raccomandare che, in cima ai pensieri dei governanti unitari, vi fosse l’impegno morale e civile di risollevare le sorti di Napoli e del Sud, è impossibile contare le prese di posizione più svariate, le promesse solenni per la soluzione dello spinoso problema. Esse hanno riguardato la indispensabilità di fare del nodo Mezzogiorno una questione nazionale - non più limitata al soccorso di un marginale enclave territoriale - e la consapevolezza che l’unità stessa del Paese sarebbe rimasta monca, se non si fosse offerta pari dignità di sviluppo alle nostre terre. Nei fatti, però, nell’arco di oltre un secolo e mezzo dall’unificazione, la politica ha mancato i due obiettivi. Per tornare all’oggi, anche Renzi è entrato nell’albo d’oro dei meridionalisti di circostanza. Memorabile uno dei suoi ultimi annunci prima della tegola referendaria: “Basta piagnistei e recriminazioni sul Sud. Ora abbiamo sbloccato enormi risorse finanziarie ferme da anni, che vanno sfruttate e ci sono anche i piani”; cui però non è seguita alcuna svolta. A questo punto - visto che molte, troppe cose non hanno funzionato, e spesso si continua a dire: “Se riparte l’Italia, riparte il Sud” - viene giustamente da chiedere: se si è sinceramente convinti delle reali potenzialità meridionali, perché, ribaltando logore liturgie fin fallimentari, non si comincia a dire piuttosto: “Se il Mezzogiorno riparte, l’Italia vola?”. Parrà inusuale ribadirlo, a fronte una storia, che ci ha abituato a pensare il contrario, ma è arrivato il tempo di riflettere su questo concetto, che potrebbe essere anche una seria occasione per una straordinaria inversione di approccio a una vecchia questione: insomma la vera svolta per il Sud. È un’idea, che le parole coraggiose, pronunciate dal presidente del Consiglio nel suo recente blitz napoletano, possono rendere seriamente più praticabile. Un vero ribaltone rispetto al passato. Gentiloni non solo ha avuto il coraggio di bacchettare la sinistra per aver negato la esistenza di una questione meridionale ma ha aggiunto anche, chiaro e tondo, che, dopo anni di reticenze e di “fuffa” retorica, non v’è altra strada che quella di puntare senza indugi sulla centralità del “Mezzogiorno- protagonista”. Mai più una palla al piede del Paese ma indispensabile alla sua crescita. A farcelo credere, oltre alla serietà del premier - pragmatico non parolaio - è la sua visione globale della questione meridionale, fino ad oggi esorcizzata da ciclici palliativi. Ottenere, come spera, l’addizionalità dei fondi - con le risorse comunitarie che non copriranno più le spese ordinarie, scelta, in anni lontani, auspicata da un grande meridionalista Francesco Compagna per gli interventi straordinari rispetto a quelli ordinari - sarebbe già uno schiaffo al vecchio e ingordo centralismo. Ora però è questo l’interrogativo del giorno: il mite Gentiloni riuscirà ancora a operare con un Renzi “furioso” sul collo, che scalpita per riconquistare Palazzo Chigi, costi quel che costi?