Se non ora, quando? Quale migliore occasione, quella della condizione di casalinghi a tempo pieno per prendere finalmente il coraggio di affrontare i tre scatoloni, infilati a viva forza sull’ultimo ripiano del guardaroba e mettere mano all’archivio di famiglia che vi è stipato! Sono mesi che ci pensiamo perché lo spazio che essi occupano abusivamente serve a chi ne ha diritto: alla biancheria di casa, che non s’è mai capito perché cresce continuamente, nonostante le frequenti dismissioni e nonostante il nucleo familiare sia sempre lo stesso. Perciò questo è il momento adatto; il tempo c’è, il clima è mite e le finestre possono rimanere aperte anche perché non arrivano rumori dalla ormai silenziosa strada su cui affacciamo. La mattinata è tutta per noi per questa sfida del riordino e della selezione di ciò che va buttato e ciò che va tenuto. Via, allora, al primo scatolo, il più antico. Cartoline di amici di cui abbiamo dimenticato tutto. Vecchie bollette per fortuna evase. Le buste paga dei tempi in cui non era tutto in linea. Le antiche lettere di zio Lazzaro che non abbiamo mai saputo chi fosse e di chi fosse veramente zio, conservate senza motivo e sopravvissute in passato a tantissimi ripulisti di primavera. Una foto della prima comunione della cugina Lalla. La partecipazione di nozze di Pasquale. Perfino le lettere dei tempi del servizio militare. Questa volta prendono speditamente il via la selezione e la distruzione del superfluo e cominciamo, decisi e sicuri, a strappare. Ci accorgiamo forse ora che siamo disabituati a un silenzio come questo, perché dai balconi non s’infila il solito ruggito del traffico, che la carta, mentre è fatta a pezzi, produce un rumore variabile non solo a seconda dello spessore e della qualità, ma anche del diverso modo di lacerarla: un lungo sibilo se tagliata con un unico ampio strappo, una serie di piccoli singulti se fatta a brandelli con colpetti consecutivi. A pensarci bene, questi sono i suoni della memoria che se ne va e che possono giungere alle orecchie piacevoli o inquietanti. Sono suoni gratificanti perché ci rendono consapevoli che stiamo facendo pulizia in casa, finalmente liberandoci di ingombri invadenti, ma possono diventare motivo d’ansia appena abbiamo contezza che stiamo cancellando ricordi di famiglia. Perché a pulizia fatta, di fronte ai frammenti cartacei pronti per la differenziata, può assalirci un dubbio: e se un giorno si scoprisse, quando non avremo più le sue lettere, che zio Lazzaro è stato un personaggio importantissimo? Nuova scoperta quella della voce della carta che viene strappata o illusione del momento indotta dal silenzio del coprifuoco? Forse l’una, forse l’altra. Perciò godiamocelo comunque questo domestico e sonante lacerar di vecchie carte, con la compartecipazione delle dita che l’accarezzano mentre agonizza e del naso che capta le ultime esalazioni della canfora in compagnia della quale è stata custodita. Godiamocelo per ora, perché Il chiasso cittadino, speriamo al più presto possibile, tornerà invasivo e prepotente a farsi sentire solo lui. Godiamocelo questo rito plurisensoriale perché molto probabilmente il prossimo riordino non avrà più suono, né odore, né tatto: a farlo sarà il mouse scaraventando nel cestino del desk top il superfluo e il massimo del riscontro sonoro potrà essere un bip o un plum.