Franco Iacono (nella foto), laureato in Scienze Politiche all’Università Cattolica di Milano, è un politico italiano, esponente del Psi. Dopo avere ricoperto importanti cariche istituzionali a livello locale, è stato eletto deputato europeo nel 1989 per la lista del Psi. Tra i tanti prestigiosi incarichi ricevuti, ha ricoperto quello di membro della Commissione per i trasporti e il turismo. È nato a Forio d’Ischia ed è sposato con Anna con la quale ha avuto sei figli: Francesca, Vito, Ambrogio, Vittorio, Adriano e Valerio. «Sono di origini contadine di cui sono orgoglioso e che non ho mai tradito. Da ragazzino vendevo la frutta della terra paterna a Casamicciola che era il centro del turismo per le acque termali. C’era una corrente di contadini che si recava a piazza Bagni e mamma mi affidò alle donne. Scalzi e con le ceste di frutta sulla testa, partivamo da Forio alle quattro del mattino perché dovevamo arrivare in piazza non oltre le cinque per occupare i posti migliori. Alle sei usciva il primo turno delle terme che erano frequentate da professionisti e commercianti dell’entroterra campano, molisano e pugliese che acquistavano i nostri prodotti».

Per quanto tempo ha fatto questo lavoro?

«Per circa nove anni e ho portato sulla testa ceste di frutta che pesavano fino a 45 chili. È stata una scuola di formazione formidabile perché ho imparato il difficile mestiere di fare il mercato: scegliere i tempi giusti per vendere e i prezzi da praticare volta per volta. Contemporaneamente studiavo e mi diplomai al liceo classico di Ischia».

E poi?

«Venimmo a sapere che l’Università Cattolica di Milano aveva bandito un concorso per alcuni posti gratuiti nel collegio universitario Agustinianum destinati a studenti meritevoli e bisognosi. Partecipai alla selezione e mi classificai a ridosso dei vincitori. Questo risultato mi consentì di partecipare a un secondo concorso che dava la possibilità a chi lo vinceva di iscriversi al collegio pagando solo un terzo della retta perché la parte restante era a carico dell’università. Risultai tra i primi e convinsi mio padre a sostenere quella spesa che per la famiglia era molto gravosa».

Che ricordo ha di quel periodo?

«Milano era un crogiolo di novità e il collegio è stata una fucina di vita e di rapporti ».

Ci racconta?

«Incontrai Romano Prodi, Tiziano Treu, Lillo Cananzi, Giammaria Flick, Carlo dell’Aringa. Con loro nacque un’amicizia che è durata negli anni. Esisteva tra tutti un grande spirito di colleganza e di solidarietà. Non ho mai comprato un libro perché gli studenti degli anni superiori me li prestavano. Eravamo ragazzi ambiti e le famiglie bene di Milano ci prendevano come istitutori per i loro rampolli. Io lo sono stato a casa di Giorgio Mondadori».

Conseguita la laurea, Mondatori le offrì un posto importante nella sua azienda. Contemporaneamente il Banco di Napoli la chiamò per assumerla nella filiale di Ischia. Lei optò per questa seconda soluzione. Perché?

«Avevo improvvisato a Forio un comizio contro la Democrazia Cristiana e il sindaco di allora. Tra i presenti c’era Maurizio Valenzi che era senatore e capolista del Pci sull’isola. Quando scesi dal palco il sindaco venne a minacciarmi, mentre Valenzi mi difese. Allora decisi che non potevo tirarmi più indietro e andarmene come un vigliacco e accettai il posto al Banco di Napoli. Non ebbi vita facile e fui anche proposto per il licenziamento diventando un caso nazionale ».

Fu il preludio alla sua iscrizione al Partito Socialista Italiano e all’ingresso nella politica attiva…

«Al partito mi portò nel 1965 Francesco Scalfati. Stava con Antonio Caldoro, uno dei 15 membri della direzione del Psi ed uno dei tre manciniani. Rappresentava a Napoli l’alternativa al demartinismo. Francesco era subentrato al leader del partito sull’isola, Ciccio Regine, assessore provinciale morto proprio in quell’anno. Mi tesserai ed entrai a fare parte del Psi, che allora, nell’opposizione, aveva poco peso».

Quando fu eletto per la prima volta?

«Nel 1971. Fui nominato assessore per il Turismo e lo Sport del Comune di Forio. Contemporaneamente ero anche dirigente del Forio Calcio. Mi venne in mente di organizzare le partite con i giocatori di serie A che venivano in vacanza sull’isola. Tra questi Altafini, Martiradonna, Barison, Cordova. Il mio riferimento era Franco Janich che fece giocare sul nostro campo di calcio il grande Franz Beckenbauer».

Nella sua Forio, però, politicamente ebbe scarsa fortuna. Le cose andarono molto meglio alla Provincia…

«Risultai il primo nella tornata elettorale del 1980 e mi trovai di fronte a un grande problema. Giacomo Mancini aveva sciolto la corrente e per tutti noi sorse il dilemma se andare con Bettino Craxi o con Claudio Signorile e Riccardo Lombardi. Io e Giulio Di Donato optammo per questa seconda ipotesi e fummo puniti perché io non feci subito il presidente della Provincia, ma solo quattro anni dopo, e Giulio non fu capolista a Napoli».

Nel corso del suo mandato tra le tante cose ne fece una che lei definisce “fuori ordinanza”. Quale?

«Ero assessore alla Sanità e, sollecitato anche dal sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi, mi inventai il Ceinge- Biotecnologie Avanzate che è uno dei più importanti centri per l’ingegneria genetica d’Europa».

Giulio Di Donato, eletto deputato, puntò ancora su di lei e le propose di candidarsi alla Regione…

«Fu una sfida perché fino ad allora non era mai stato eletto un ischitano. Pur non essendo capolista, risultai il primo con oltre 50mila preferenze. Ero un buon candidato, ma l’artefice del successo fu Giulio che si confermò eccezionale organizzatore del consenso ».

Era presidente il democristiano Antonio Fantini che le diede l’assessorato ai Trasporti. Lei lo rese una fucina di iniziative…

«Tra le tante, mi inventai le Vie del Mare. In particolare, la linea per Sorrento che nessuno mi aveva chiesto. Quindi il Metro del mare fino al Cilento. In particolare, sull’isola il metrò si serviva di due barche che toccavano tutti i porti dell’isola, una in senso orario e una in senso antiorario, con digressione alla Chiaolella, a Procida. Istituii la “carta del turista”, anticipando quello che anni dopo è stato “il biglietto unico”. Il turista, comprando un solo ticket di prezzo contenuto, poteva prendere il metrò, il pullman della Sepsa e aveva diritto a una riduzione sull’aliscafo di linea».

Tante soddisfazioni, ma un grande rammarico...

«Riguarda il recupero della funicolare del Vesuvio. Nominai un commissario, trovai i fondi, commissionai il rifacimento delle carrozze al compianto architetto Nicola Pagliara, programmai l’inaugurazione con Luciano Pavarotti che doveva cantare “Finiculì finiculà”, ma tutto fu bloccato e vanificato da una denuncia dei Verdi motivata da un un cavillo: un pezzo del percorso era stato deviato e sconfinava in una altro Comune. Vincemmo il ricorso, ma i presidenti che si sono succeduti dopo la scadenza del mio mandato non hanno più ripreso la mia iniziativa. I binari sono andati alla Funicolare Centrale di Napoli, le carrozze restaurate stavano in un deposito e sembra che Stefano Caldoro abbia dato disposizioni di distruggerle. È una cosa che non sono mai riuscito a mandare giù. Ma non mi sono rassegnato ». Nel 1989 il grande salto con l’elezione al Parlamento Europeo. Che cosa ha rappresentato per lei questo traguardo? «Quella di parlamentare europeo è stata una delle cose belle che ti capitano nella vita. Una cosa proprio bella! Sono stato nell’Aula, sede della più alta istituzione democratica del continente dove si sono “presentati” i grandi del nostro tempo da Mitterand a Eltsin, da Khol a Major, da Mandela alla Regina Elisabetta II». Anche in questa circostanza l’idea di candidarsi è stata di Giulio Di Donato. «Me lo propose e accettai volentieri. Ero in competizione con personaggi del calibro di Bettino Craxi, capolista, Enzo Mattina, parlamentare uscente, Gianni Baget Bozzo che era appoggiato dalla segreteria del partito. Fu una sfida esaltante e si creò molto entusiasmo. Arrivai terzo e fui eletto subito».

Quale interrogativo si pose all’indomani dell’insediamento?

«Mi chiesi: che cosa posso fare come amministratore del Mezzogiorno d’Italia. Mi risposi: conoscere l’Europa, farsi conoscere dall’Europa. Tutta l’impostazione della mia presenza in Parlamento Europeo è stata finalizzata a questo obiettivo che aveva anche un “secondo” fine: sentirsi europei, cittadini della nuova Europa a pieno titolo».

Quindi quali determinazioni assunse?

«Oltre al lavoro squisitamente parlamentare diedi grande spazio alle iniziative tese a determinare conoscenza, curiosità, a stimolare rapporti e, conseguentemente, a utilizzare la “risorsa Europa”».

Tra queste, le visite a Strasburgo dei sindaci Nello Polese e Antonio Bassolino…

«Ne organizzai tre, due con Polese e una con Bassolino. Erano accompagnati dalle espressioni vive dell’imprenditoria, della cultura, del sapere. Promossi anche quelle di tanti giovani, fra i quali coloro che hanno dato vita alle organizzazioni “anticamorra” ».

Come membro della Commissione Trasporti e Turismo, ha avuto un grande successo personale: portare la Commissione a Napoli. Ce ne parli.

«Mi affidarono una risoluzione avente ad oggetto lo sviluppo dei trasporti negli anni 2000 dal titolo “Europa orizzonte 2000”. Legai il mezzo di trasporto alla costruzione della nuova Europa che non fosse più quella dell’asse del Reno, Parigi-Bonn, ma policentrica in cui il Mediterraneo fosse uno dei poli perché il “mare nostrum” è in rapporto con il Sud del mondo. Riuscii a ottenere che la sessione di lavoro si svolgesse a Napoli. Questa risoluzione, in omaggio a me, insieme ad altri importanti documenti, fu approvata al Castel dell’Ovo, sede dei lavori».

Scaduto il mandato parlamentare che cosa ha fatto?

«Mi sono dedicato più specificamente alla cultura per la quale avevo avuto un occhio particolare già durante il mio assessorato regionale. Mi ero, infatti, impegnato per fare stanziare fondi per il museo di Villa Arbusto e per l’acquisto della Colombaia di Luchino Visconti, che doveva diventare sede di una scuola internazionale di teatro, cinema e musica. Le amministrazioni che si sono succedute purtroppo hanno fallito al punto che la Colombaia adesso è chiusa. Una volta libero da impegni di politica attiva ho fondato l’Associazione Napoli Capitale Europea della Musica con l’orchestra dei Solisti di Napoli diretta da Susanna Pescetti e con Filippo Zigante direttore artistico. Abbiamo fatto varie stagioni sinfoniche al Teatro Mediterraneo. Tre stagioni liriche a Villa Campolieto e alla Favorita. Siamo stati a Tokio a rappresentare la Campania portando la musica del ’700 nell’ambito della Primavera Italiana della Cultura. Quindi a San Pietroburgo alla Filarmonica e Praga a casa Mozart. A Napoli mi sono inventato la musica nelle periferie e nelle carceri e l’accoglienza per i turisti alla Stazione Marittima con l’opera buffa e la canzone napoletana. Queste iniziative sono state sostenute fino a tutta l’amministrazione del sindaco Iervolino. Con Bassolino non riuscii a trasformare l’Associazione in Fondazione e dopo circa sette anni mi sono dimesso dalla presidenza».

È anche un estimatore di vini e ha creato una cantina di grande prestigio...

«Nel 1995 con i miei figli Vito e Ambrogio e con le famiglie amiche Regine e Verde, abbiamo dato vita alla cantina di Pietratorcia per continuare l’attività dei nostri padri».

Qual è il prossimo obiettivo?

«Fare acquisire dalle istituzioni la casa dove è nato Enrico Caruso in via Santi Giovanni e Paolo, nel quartiere napoletano San Carlo all’Arena, e farne un museo della musica. Guido D’Onofrio, collezionista foggiano e carusiano doc, ha 1.100 reperti del grande tenore che sono ospitati nel “Ristorante -Museo Caruso” di Paolo Esposito a Sorrento. Il 2 agosto scorso davanti alla tomba del tenore abbiamo celebrato la messa con la sua voce che si è diffusa per il cimitero ». Fra quattro anni si celebrerà il centenario della morte di Caruso.

Ha in mente qualcosa? «Mi auguro di potere contribuire ai preparativi di questo grande evento. Già si sa che a New York faranno follie al Metropolitan. Lo devo oltre che a me, che amo la lirica, a mio nonno».

Perché? «Lavorava nel porto di New York con il suo amico Vincenzo Mattera. Lui caricava il carbone sulle navi, Mattera faceva il facchino. Mi raccontavano che il loro massimo orgoglio era quello di portare la valigia a Enrico Caruso quando scendeva dalla nave».