È il fondatore della Tecfi SpA, azienda che produce e commercializza sistemi di fissaggio per coperture, serramenti, cartongesso, legno, bulloneria e impianti di energia rinnovabili. Antonio Guarino (nella foto) ricopre la carica di Presidente del cda e sul piano operativo segue tutta la parte finanziaria inclusi gli investimenti. Per otto anni è stato vice presidente provinciale della Confesercenti. «Sono il quarto di cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre era commerciante di seconda generazione. Sono vissuto in una famiglia di origini contadine, ricca di alti valori che hanno sotteso da sempre la mia educazione. Ho frequentato le scuole fino alle medie dai Fratelli Maristi, un istituto privato di Giugliano, cittadina dove sono nato e abito tuttora. Ho dei ricordi molto belli di quel periodo e in modo particolare le partite di calcio tra compagni di classe e amici. Ho avuto il piacere di giocare nella “Primavera” con Peppino Crisci che diventò poi l’allenatore della compagine gialloblù quando fu promossa in serie D sotto la presidenza dell’imprenditore Giuseppe Cacciapuoti. Nella squadra giocava anche Pasquale Cannavaro, il padre di Fabio e Paolo. Il calcio mi è rimasto nel sangue e sono tifosissimo del Napoli. I miei amici Fulvio Marrucco ed Enrico Fedele dicono: “Antonio, a casa tua il sangue è azzurro come il nostro”».

Dopo le medie che studi fece?

«Mi iscrissi all’istituto tecnico “Enrico Fermi”, a Napoli. Il biennio lo feci alla succursale di via Domenico Fontana, al Vomero. Mi alzavo molto presto al mattino e per andare al quartiere collinare era un viaggio: arrivavo al Museo con l’autobus 160 e poi prendevo il filobus 249. Il triennio lo feci alla sede di corso Malta. A quei tempi per chi viveva in provincia andare a scuola era motivo di vanto per i genitori ma anche per noi ragazzi».

Preso il diploma si iscrisse all’università?

«No, perché volevo fare subito “impresa” e andare al negozio di ferramenta di papà. I miei genitori cercarono di dissuadermi e desideravano che seguissi l’esempio dei miei fratelli e mi laureassi. Due sono ingegneri e uno è dottore in giurisprudenza. Ma fui irremovibile».

Di cosa si occupava?

«Fare esperienza e “rubare il mestiere” a papà, oltre naturalmente ad aiutarlo. Il commercio mi aveva sempre interessato e quando avevo dieci anni, finita la scuola, spesso invece di andare a giocare con i miei compagni andavo al negozio. Avevo molta fantasia e intraprendenza. Ricordo quando convinsi mio padre ad acquistare la macchinetta che tappava le bottiglie di pomodori. In provincia, ma anche in parecchie famiglie “cittadine”, era molto sentita la tradizione di fare la conserva di pomodori. Era un rituale lungo e complesso che terminava con la tappatura. Qualche bottiglia scoppiava tra le urla e le risate. Al tradizionale tappo di sughero si sostituì quello metallico e la macchinetta che feci commercializzare a mio padre serviva proprio per applicare alla bottiglia questo tipo di “chiusura”. Mi appassionavo sempre di più e all’attività di banconista cominciai ad aggiungere anche quella di programmare gli acquisti e curare la contabilità. Rinunciavo alle vacanze estive per imparare. Non c’erano dubbi: il commercio faceva parte del mio Dna».

Quanto è durata la “gavetta”con suo padre?

«Fino al giorno in cui non mi sentii assolutamente pronto e sicuro per mettermi in proprio, ma alla grande».

Quando accadde?

«Sono un uomo che ha sempre amato affrontare le sfide che la vita offre. La prima, quella che ha segnato e caratterizzato il mio futuro, risale al 1985 quando decisi di fare ferramenta all’ingrosso. Fondai Euroferramenta sas e distribuivo gli articoli tramite una rete di venditori».

Abbandonò, quindi, il negozio di suo padre?

«Solo come presenza fisica perché continuavo a gestire la parte amministrativa e contabile della sua attività».

In questo settore vanta un primato. Quale?

«Sono stato il primo a informatizzare un’azienda di ferramenta. Utilizzai un Olivetti M24, il personal computer prodotto a partire dal 1983, nato come concorrente del pc Ibm. Ebbe grande successo su tutti i mercati mondiali. Mi presero per pazzo, a partire dai miei fratelli ingegneri, perché ritenevano che informatizzare questa tipologia di articoli rasentava l’assurdo. Ma ebbi ragione e vinsi la sfida, cosa che per me è motivo di grande orgoglio».

Il suo era solamente ingrosso di ferramenta “tradizionale”?

«Inizialmente sì. Ma dopo poco tempo i miei venditori cominciarono a dirmi che i clienti che lavoravano nel settore del legno e del ferro facevano richiesta di macchinari specifici per le loro attività. Capii che si stavano verificando cambiamenti in quel segmento di mercato e che la tecnologia era entrata anche nell’officina del fabbro e nella falegnameria. Colsi al volo l’occasione e il mio ingrosso si estese anche alla ferramenta “tecnica” con la commercializzazione di macchinari specifici per fare fronte alla domanda che cominciava a crescere in maniera importante».

Ancora una sfida accettata e vinta. Ma la vera svolta nella sua attività imprenditoriale quando avvenne?

«Per caso, nel 1995, ed è stata la più grande sfida della mia vita. Ebbi una divergenza dialettica con il responsabile dell’area sud della Fisher sul prezzo di alcuni tasselli che volevo acquistare. Ritenevo che il prezzo che mi proponeva fosse ancora alto mentre lui sosteneva che era il più basso che potesse praticarmi. Mi spazientii e gli dissi che non avrei comprato più tasselli perché li avrei prodotti io. La decisione era presa: mi sarei messo in concorrenza con l’azienda fondata dall’inventore tedesco Artur Fisher, un mostro sacro nella produzione di sistemi di fissaggio a livello mondiale».

Cosa accadde?

«Insieme a mio nipote, Giovanni Bertamino, mi dedicai al segmento di “nicchia” della ferramenta che si occupa del fissaggio. Per acquisire know-how cominciai a da andare ripetutamente a Taiwan, all’avanguardia in questo genere di articoli. Riuscimmo ad apportare delle modifiche a un prodotto già esistente e lo brevettammo. Fondai con Giovanni, nel 1995, la Tecfi srl per commercializzarlo con il nostro marchio. Si trattava di una vite autoperforante. L’idea era così brillante che l’azienda dopo sei mesi andò in break even per cui non ci fu più bisogno di immissione di nuovo capitale. Nel 1997 la trasformammo in spa. Io assunsi la carica di presidente del cda, ruolo che ricopro tuttora, e mio nipote quello di amministratore delegato. Capimmo che per potere essere concorrenziali sul mercato dovevamo essere supportati da un laboratorio di ricerca che facesse le prove, anche quelle distruttive, e nel 2001 assumemmo un ingegnere, Guglielmo Saggese, che oggi è il responsabile dell’ufficio tecnico. Attualmente gli ingegneri nel laboratorio sono 15. Nello stesso anno acquistammo il primo macchinario per lo stampaggio e “cambiammo pelle” diventando produttori di questo articolo. Ben presto tutti lo volevano al punto che rappresentò la linfa vitale per lo sviluppo dell’azienda».

Dopo la vite autoperforante passaste al “cappellotto”. Che cosa è?

«È un prodotto che serve per fissare le lamiere ondulate sulle strutture edili, soprattutto i capannoni. Decidemmo di comprare la macchina che li stampava e durante le vacanze di un Natale, invece di andare a sciare ci chiudemmo in azienda per capirne il funzionamento. Assumemmo un tecnico specializzato proprio con questo scopo. Era il 2003 e rifacemmo il certificato di qualità al quale aggiungemmo, l’anno dopo, quello ambientale».

Nel 2003 acquistaste anche il primo capannone. Dove?

«A Pastorano, vicino Capua e ci fu consegnato a settembre del 2005. Quando trasferimmo da Villaricca, dove avevamo la sede, uffici e merce, ci accorgemmo che lo spazio era insufficiente così nel 2006, con qualche sacrificio, costruimmo un secondo capannone sempre sullo stesso terreno che era di 11.500 metri quadrati. Ma l’azienda continuava a crescere mese dopo mese per cui acquistammo altri 45mila metri quadrati di terreno poco distante dai primi due capannoni e costruimmo il terzo, interamente dedicato alla produzione».

Tecfi ha tre stabilimenti, un catalogo di oltre tremila prodotti con certificazioni europee. Vanta anche importanti brevetti e numerose gamme di prodotto certificate per l’utilizzo in zone sismiche. Cosa ha determinato la scelta di questo ultimo particolare tipo di produzione?

«Nel 2015 decidemmo che era giunto il tempo di fare crescere il fatturato. Per fare questo, però, occorreva sfidare i mercati esteri portando dei nostri prodotti di tecnologia avanzatissima. La nuova sfida era l’internazionalizzazione diventando competitivi nel “sismico”. Ci presentammo con un prodotto innovativo: una vite per calcestruzzo. Sostituiva l’ancorante meccanico perché si avvitava nel Cls e presentava, come presenta, performances maggiori».

Quanti paesi servite con questo prodotto?

«Dopo l’Italia, dove fatturiamo di più, siamo leader nel Vietnam e forniamo in 65 Paesi nel mondo. Dopo Hilty e Fischer ci siamo noi».

Come fate le prove distruttive e quelle sismiche in generale?

«All’interno dell’ultimo capannone abbiamo 500 metri quadrati dedicati al laboratorio con macchinari costosissimi e altamente tecnologici al punto che siamo all’avanguardia in Europa. Abbiamo una piattaforma sismica dove simuliamo terremoti. Un’altra esiste in Germania ma non è moderna come la nostra. La gestiamo con l’aiuto del Politecnico di Milano perché è un laboratorio certificato e accreditato».

La sua ultima sfida è nel sociale. Qual è?

«Dedicare ai miei dipendenti un mini parco dove ci sono tutte le specie di alberi mediterranei, un asilo nido e una foresteria che daremo in gestione a loro anche per poter fare eventi di famiglia. Inoltre ci sarà uno zoo domestico per “lo scarico di tensione” con gabbie con polli, caprette, pony e una voliera. Moltissime ricerche nord americane hanno trovato come la presenza di animali domestici sia un ottimo modo per allentare la tensione e migliorare la produttività aziendale. Negli Stati Uniti le prime aziende che hanno permesso ai dipendenti di portarsi l’animale da compagnia sono quelle più dinamiche ed innovative. Appena partiamo con l’ulteriore capannone dell’area di produzione inizieremo a fare anche questo parco».

Le resta del tempo da dedicare alla famiglia?

«Ho tre figli, due ingegneri e uno laureato in giurisprudenza, di cui due lavorano in azienda. Quattro nipoti, tre maschi e una femminuccia, l’ultima arrivata che è la principessa della casa. Alla sua nascita mia moglie Teresa esclamò: “dopo tanti piselli finalmente vedo una farfallina”. È una donna meravigliosa e ogni giorno mi organizza una “serata”, in casa o fuori. Per questo motivo normalmente andiamo a dormire non prima delle due del mattino».