Nicola Capuano (nella foto) è direttore dell’Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Buon Consiglio - Fatebenefratelli di Napoli. Nel 2009 ha introdotto, per primo in Europa, una tecnica mini-invasiva per la chirurgia protesica di anca, conosciuta con il nome T.S.P.S. (TissueSparing Posterior Superior ). A oggi effettua circa 1.000 interventi all’anno tra chirurgia protesica di anca, ginocchio, spalla e caviglia e traumatologia di tutti i distretti corporei, comprese le fratture di bacino. Membro attivo delle principali società scientifiche ortopediche italiane, ha recentemente fondato l’associazione professionale ORTHOCAP, con la quale presta la sua opera in varie strutture ospedaliere sia private che convenzionate con il Ssn. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui, ultimo in ordine di tempo, è stato il “Premio Eccellenze Napoletane”, conferitogli dal Comune di Pozzuoli e consegnatogli dalla vice presidente del consiglio Filomena d’Orsi.

«Sono napoletano doc, mio nonno Vincenzo era capo sala operatoria del vecchio Ospedale dei Pellegrini alla Pignasecca e durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale papà Carlo, classe 1929, da ragazzino spesso correva in ospedale ad aiutarlo, per quanto poteva fare. A quei tempi tutto e tutti erano utili. Diplomatosi all’Istituto Nautico, era diventato capitano di lungo corso e in breve tempo divenne Primo Ufficiale di Macchina per la Tirrenia. Per amore di mamma Anna Pasqualini, classe 1930, e soprattutto per la serenità della famiglia, scelse però di licenziarsi da quell’impiego, iniziando a lavorare come responsabile di reparto presso l’Italsider di Bagnoli. La remunerazione non era sufficiente per far fronte alle esigenze di una famiglia che diventava sempre più numerosa e mamma, impegnata a badare a noi 4 fratelli, non poteva contribuire economicamente. Ricordo che papà lavorava come un forsennato facendo vari lavori extra».

Per esempio?

«Il principale era la manutenzione e costruzione di porte blindate in ferro e/o lavori in legno usando come officina un locale messo a disposizione dalle Suore Serve di Maria al viale Maria Cristina di Savoia. Spesso dopo scuola andavo ad aiutarlo ed è in quel momento che è nata la passione per la meccanica ed i lavori manuali». Dove ha studiato? «Le scuole primarie e quelle inferiori le ho fatte negli istituti del quartiere Chiaia, “Edmondo de Amicis” e “Tito Livio”. Alle superiori mi iscrissi al liceo scientifico “Mercalli”. Ero particolarmente portato per le materie scientifiche».

Quando era in terzo liceo scientifico la sua famiglia fu colpita da una immane tragedia che ha segnato la sua vita. Che cosa accadde?

«Eravamo andati tutti in gita una domenica tranne Vincenzo, mio fratello maggiore, che era rimasto a casa perché studiava per la maturità classica al liceo “Umberto”. Al ritorno lo trovammo morto: a 17 anni e mezzo si era suicidato. Trovammo una lettera lunga dieci pagine in cui tentava di spiegare i motivi del suo drammatico gesto, non siamo mai riusciti a farcene una valida ragione. Ho sempre lottato per ottenere tutto ciò che volevo dalla vita anche per mio fratello che era parte di me e che ormai, purtroppo, era venuto a mancare prematuramente».

Perché si iscrisse a medicina?

«Forse era una cosa che avevo nel sangue, volevo diventare chirurgo come nonno avrebbe voluto che facesse papà. Sta di fatto che a 10 anni ebbi in dono da mio padre i ferri chirurgici di nonno Vincenzo e ne fui molto felice. A quell’epoca papà m’insegnò a fargli le endovene di Viartril per curare la sua artrosi. Usavo siringhe di vetro che sterilizzavo nel bollitore di alluminio sul fornello a gas di casa. Conservo le fotografie che lo testimoniano».

Come è stato l’impatto con l’Università Federico II?

«L’interesse per la medicina si trasformò molto presto in passione. Mi alzavo alle 5 del mattino per essere in prima fila a seguire le lezioni giornaliere. Una grandissima emozione l’ho provata qualche anno fa quando organizzai un congresso di Chirurgia Protesica di anca e ginocchio al Fatebenefratelli, a cui ebbi il piacere di invitare in qualità di ospite d’onore il prof. Gianfranco Tajana, mio docente all’esame di Istologia e citologia alla Facoltà di medicina e chirurgia. Tenne per l’occasione una Lectio Magistralis sulle terapie rigenerative in ortopedia. In una delle sue slides proiettò una foto fatta durante una sua lezione dove c’ero io, giovane studente in prima fila, intento a seguire le sue lezioni».

All’esame di Anatomia il professore Giovanni Giordano Lanza le diede una singolare lezione di “politica” universitaria. Che cosa le disse?

«Alla fine dell’esame ricordo che mi disse: “Complimenti ha fatto un brillante esame e per questo le do 28”. Replicai, “ma ho tutti trenta perché lei mi dà 28”. Mi rispose: “Do questo voto a chi dimostra di avere studiato, il 30 si dà ai raccomandati”. Abbozzai e capii».

Superato il biennio iniziano le cliniche. Lei quale scelse?

«Mi capitò una cosa bellissima. Ero all’ingresso del cinema Alcione che si trovava a ridosso di via dei Mille quando incontrai il figlio del professore di ortopedia Berardino Fonzone. Conoscevo quel giovane perché era stato compagno di scuola di mio fratello Vincenzo. Lo informai che stavo frequentando la clinica ortopedica diretta dal prof. Nicola Misasi dove però, per assenza del pronto soccorso, si faceva poca traumatologia. Mi parlò dell’ospedale “Cardarelli” di Napoli, dove era attivo il pronto soccorso di ortopedia e traumatologia istituito dopo il terremoto del 1980. E così, mentre continuavo a frequentare il reparto universitario, iniziai a seguire, da volontario, il prof. Vittorio Monteleone, luminare in campo traumatologico e ortopedico, all’epoca direttore di un enorme dipartimento ortopedico dotato di 6 sale operatorie, di cui 2 dedicate ed attrezzate per la traumatologia, ed una sala regia per filmare tutti gli interventi. In quel periodo assistevo anche il prof. Berardino Fonzone alla clinica Sanatrix, fino al decreto Bindi del 1994 che impediva ai medici ospedalieri di lavorare anche in strutture convenzionate con il Ssn».

Si era già laureato?

«Ero ancora al terzo anno di medicina e saltavo da un posto all’altro. Nel 1988 mi laureai con 110 con lode e plauso della commissione. Feci immediatamente l’esame di abilitazione per l’esercizio della professione e durante quell’estate ci fu un’altra importante svolta nella mia formazione professionale, quando un’amica che mi conosceva già da alcuni anni, Margherita Mattera Penzel, mi propose di andare nel periodo estivo presso l’Università di Innsbruck, ad imparare la chirurgia protesica di anca dal suo amico prof. Rudolf Bauer, all’epoca uno dei massimi esperti di questa chirurgia. Ricordo ancora le sue parole: “I bagni li potrai fare quando torni, non perdere questa occasione!”. Rinunciai alle vacanze e partii alla volta dell’Austria. In breve tempo mi feci apprezzare al punto che il professor Bauer mi propose di rimanere con lui. Con garbo risposi che non potevo perché ero già impegnato a Napoli con il prof. Monteleone il quale mi vedeva come un suo assistente di fiducia».

Quando fu assunto al Cardarelli?

«Presi servizio l’8 gennaio 1992 presso l’Unità Operativa di Ortopedia ad indirizzo per la chirurgia del ginocchio e malattie neoplastiche diretto dal prof. Vittorio Monteleone. Quando nel 2000 andò via, con il nuovo primario cambiarono un po’ di cose, così mi trovai nelle condizioni di non poter più restare. Dal novembre 2004 fino al settembre 2005 sono stato presso l’Unità Operativa di Ortotraumatologia diretta dal dott. Gaetano Romano».

E dopo dove andò?

«Vinsi il concorso di primario all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, all’epoca Asl Sa 3. Lì rimasi a fare il primario fino al 2017. Ho eseguito oltre mille interventi all’anno facendo tutte le esperienze chirurgiche possibili in campo ortopedico, tranne quella sulla colonna vertebrale, per una mia scelta personale. Avevo deciso, però, che volevo assolutamente inventare una tecnica di approccio chirurgico che avrebbe superato i limiti delle vie d’accesso tradizionali utilizzate in chirurgia protesica dell’anca».

Ci riuscì?

«Nel 2009 ho introdotto, per primo in Europa, una tecnica mini-invasiva per la chirurgia protesica di anca, conosciuta oggi con il nome T.S.P.S. (Tissue Sparing Posterior Superior), dopo aver visto su internet un video del prof. Stephen Murphy di Boston che mostrava su un manichino un’innovativa via d’accesso postero-superiore, che però rendeva necessaria la navigazione computer-assistita per poter impiantare la protesi. Questa tecnica tende essenzialmente al risparmio di tessuti nobili come muscoli, tendini, capsula ed osso; cosa che permette un rapido recupero funzionale dei pazienti operati, rendendoli in grado di camminare già a poche ore dall’intervento con un carico totale, anche senza uso di bastoni canadesi. L’incisione chirurgica è di dimensioni ridotte rispetto ad altre metodiche, in più non uso nè drenaggi nè catetere urinario, per facilitare una rapida ripresa della normale vita di relazione ed una riduzione dei tempi di degenza post-operatori».

Da quanto tempo è ritornato a Napoli definitivamente?

«Dopo una parentesi di 2 anni circa, in cui ho diretto la Divisione ospedaliera di ortopedia e traumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ruggi di Salerno, effettuando oltre 2000 interventi di chirurgia complessa tra cui moltissimi casi di fratture di bacino che mi venivano trasferiti da gran parte degli ospedali della provincia di Salerno, nel dicembre 2018 vinsi il concorso pubblico per l’ospedale Buonconsiglio Fatebenefratelli di Napoli, divenendone da febbraio 2019 il direttore dell’Unità operativa complessa di ortopedia e traumatologia».

Di che cosa si occupa prevalentemente?

«Attualmente di chirurgia protesica mininvasiva e di revisione delle grandi articolazioni (spalla, anca, ginocchio e caviglia), ma anche di traumatologia e di tutti gli insuccessi a essa legati (siamo uno dei pochi centri in cui continua la tradizione di Ilizarov per la cura delle deformità angolari e pseudoartrosi asettiche e settiche). Siamo inoltre un importante riferimento per il trattamento degli insuccessi della chirurgia protesica, anche nei gravi casi di infezione periprotesica. Ciò è stato possibile grazie alla comprensione e alla disponibilità dell’ufficio di direzione strategica dell’ospedale Fatebenefratelli, che nello spirito del fondatore dei nostri ospedali, San Giovanni di Dio, ha voluto garantire a tutti i pazienti bisognosi un’equità delle cure mediche, cosa che purtoppo al giorno d’oggi non si vede sempre in tutte le strutture ospedaliere, in quanto è assai difficile far quadrare i conti tra costi e benefici».

Ha qualche progetto da realizzare?

«Ho recentemente fondato un’associazione professionale tra ortopedici con lo scopo di farla diventare un’accademia per la divulgazione delle scienze ortopediche ai giovani medici che vogliono cimentarsi in questo campo. Mi auguro presto che la Orthocap Academy possa diventare realtà, in modo da poter affiancare anche le Università nel delicato compito della formazione dei giovani specializzandi, attività che già effettuiamo da anni, essendo il reparto da me diretto inserito nella rete formativa della scuola di Ortopedia e Traumatologia dell’Università Federico II di Napoli».