Il gruppo è una delle realtà più forti e longeve del panorama della musica italiana, con 45 anni di carriera, 4 milioni di dischi venduti, 1.800 concerti, innumerevoli premi vinti nel corso delle decadi. É composto da Andrea Arcella (tastiere e cori), Luciano Liguori (basso e voce), Tommy Esposito (batteria e cori) e Savio Arato (chitarra e cori). La sua particolarità è quella di coniugare il pop e il rock con la tradizione melodica (italiana e napoletana). Le armonizzazioni vocali e il falsetto potente sono il loro inconfondibile marchio di fabbrica, così come le performance dal vivo, energiche e coinvolgenti.

Andrea quando nasce il gruppo?

«Avevo appena finito il servizio militare quando un giorno incontrai Gianni Averardi a via Scarlatti, nel “mio Vomero”. Mi chiese di accompagnarlo a vedere un organo a casa di un medico. Mi disse: “è fatto proprio per te”. Era un Hammond e così mi conquistò. Poi mi presentò Gianfranco Caliendo e Luciano Liguori. Era il settembre del 1974 e nacque il gruppo con il nome provvisorio di “Alti e Bassi” che era quello della precedente formazione di Gianni. I nostri produttori erano Totò Savio e Giancarlo Bigazzi. Fu Giancarlo, fiorentino, a proporre, l’anno successivo, il nome “Il Giardino dei Semplici”, come si chiamava l’Orto Botanico di Firenze».

Luciano dove cominciaste a suonare?

«Allo storico Shaker e i nostri produttori ci procurarono un contratto con la prima casa discografica: la Cbs. Dopo poco tempo ci comunicarono che avremmo partecipato al Festivalbar con “M’ innamorai”. Il brano ebbe un grande successo e vendemmo 980mila copie mancando per sole 20mila il disco d’oro. Lo vincemmo, però, a novembre dello stesso anno con “Tu ca nun chiagne” che diventò la sigla di apertura della rassegna della Rai sui film di Francesco Rosi».

C’è un aneddoto su questo disco d’oro. Andrea ce lo ricorda?

«All’epoca i premi li lasciavamo ai nostri produttori. Quando venne Maradona a Napoli fummo invitati alla festa di compleanno di sua figlia a Villa Scipione. Ci dissero che conosceva la nostra canzone nella versione spagnola. Pensammo che il migliore regalo che potessimo fargli sarebbe stato proprio il disco d’oro. Lo facemmo riprodurre fedelmente e glielo consegnammo»

Luciano, avete vinto anche il Telegatto. Con quale brano?

«Nel 1977 partecipammo al Festival di Sanremo con “Miele”. Questa canzone contribuì alla vincita del prestigioso trofeo di Tv Sorrisi e Canzoni, a pari merito con i Matia Bazar nella categoria “Complessi”».

Anche sul vostro Sanremo c’è un aneddoto da raccontare.

«Il sorteggio ci abbinò a Toto Cotugno che piantò una grana colossale. Riteneva che avrebbe sicuramente perso il confronto con noi. Pretese e ottenne un nuovo sorteggio. Capitammo con i Matia Bazar che eliminammo alla prima serata».

Andrea, l’anno successivo cambiaste etichetta e passaste alla Cgd. Ci fu la seconda partecipazione al Festivalbar e il primo grande tour oltreoceano. Dove andaste?

«Partecipammo con “Concerto in La Minore (dedicato a lei)” e poi a un tour negli Stati Uniti e in Canada. Il nuovo singolo (che presenta come b-side l’adrenalinica “Dopo un rock’n’roll”) si rivelò nel tempo un brano molto gettonato nei juke box ed un classico degli anni Settanta».

Luciano quando decideste di diventare definitivamente e stabilmente autori?

«Quando passammo con la casa discografica Wea, nel 1979, e uscimmo con l’album “B/N” (Bianco e Nero), interamente in vernacolo. Il disco è molto curato negli arrangiamenti e affronta tematiche crude e d’attualità correlate a Napoli. Ci imbarcammo in un tour teatrale di 112 date che registrò il tutto esaurito».

Tommy, nel 1980 Gianni Averardi lasciò il gruppo e subentrò lei. Chi la chiamò?

«Era il 4 ottobre e venne da me Luciano proponendomi di entrare nel gruppo come batterista. Lo conoscevo perché tempo prima per un breve periodo avevamo suonato insieme. Abitavamo nella stessa zona e tramite lui sapevo tutto de Il Giardino dei Semplici di cui ero un fan accesso. Accettai con entusiasmo. Nello stesso mese, lanciammo il singolo “Carnevale da buttare”, che risultò primo nella hit parade di tutte le radio libere nazionali e locali».

Dove debuttaste con il nuovo singolo?

«Alla Festa dell’Amicizia a Salerno. C’erano perlomeno 60mila persone. L’organizzò il compianto Vittorio Salvetti. Partecipammo quell’anno anche a una bellissima tournèe, la Wea “Portamusica”, assieme ad artisti di grande caratura quali New Trolls, Claudja Barry, Street Boys e tanti altri. Al termine il nostro rapporto discografico con l’etichetta cessò».

Andrea, Salvetti è stato una persona molto importante per voi. Perché?

«Era il patron del Festivalbar. Quando questa manifestazione terminò, si invento “Azzurro”. Ne fece poche edizioni a Bari. Partecipammo alla prima. Ci voleva sempre a ogni sua manifestazione. Come gruppo siamo una sua creatura. Anche il Sanremo al quale abbiamo partecipato fu organizzato da lui».

Tommy con il suo ingresso nel gruppo si arricchisce anche la storia dei vostri Lp in vinile.

«Venne pubblicato, tra l’altro,”E Amiamoci”, “Giallo” e “Ed è subito Napoli”. A cominciare da quest’ultimo disco, per una precisa scelta artistica in linea con i tempi, cominciammo ad utilizzare batterie elettroniche che io programmavo. Negli anni a venire, a testimonianza del suo impatto, l’album è stato ristampato con la stessa copertina, ma di diverso colore, dalla Fonit Cetra».

Uscì con una etichetta napoletana, “Interfonia”. Perché questa scelta?

«Per noi fu una sfida. Le case discografiche sul territorio nazionale cominciavano a chiudere perché molti artisti diventano produttori di se stessi. Anche noi volevamo autoprodurci perché era più bello. Volevamo che “Interfonia” diventasse una grande struttura, ma non fu così. Motivo per il quale cedemmo il nostro prodotto alla Fonit Cetra».

Luciano quando c’è stata la svolta musicale per il gruppo?

«Possiamo datarla nel 2012 perché prima eravamo sempre vincolati dall’etichetta che imponeva un certo genere di musica. Non bisognava distaccarsi tanto da quello per cui ci si era caratterizzati fino a quel momento e bisognava rispettare gli stilemi. Noi, che abbiamo sempre cercato di osare un poco, chiaramente eravamo imbrigliati. L’occasione si presentò quando il nostro chitarrista storico, Gianfranco Caliendo, decise di lasciare il gruppo per motivi personali. Subentrò Savio Arato. Da quel momento siamo ritornati un po’ alle nostre origini, sconosciute per il grande pubblico perché eravamo una banda di pazzi rockettari legati alla musica un po’ più “dura”. Pubblicammo l’album “Argento vivo” in cui ci siamo espressi nella nostra genuinità».

Savio in che senso?

«È un album composto da 14 inediti tutti in italiano, con una vena melodica innovativa per il gruppo. Ci siamo divertiti a tirare fuori da ciascuno di noi la propria indole e siamo ritornati agli strumenti tradizionali, con poca tecnologia, recuperando, così, sonorità che si erano perdute. In poche parole abbiamo fatto un passo indietro rinnovandoci».

Siete dei capiscuola. Avvertite il peso di questa responsabilità?

«Capiscuola forse è una parola grossa per noi. Senza dubbio abbiamo una nostra identità ben precisa. Siamo un gruppo e non quattro individualità. Spesso hanno tentato di imitarci ma il nostro modo di fare musica è un unicum».

Tommy tra qualche mese festeggerete i 45 anni di carriera del gruppo. Cosa avete in serbo?

«Abbiamo festeggiato il trentennale con un concerto al Palapartenope che fu una grande festa. Grande spettacolo anche per il quarantennale all’Auditorium della Rai. Mostrammo il nostro impegno verso il sociale destinando alla triade pediatrica ospedaliera napoletana parte degli incassi e fu la nostra prima partecipazione all’asta benefica promossa dal Cardinale Sepe. L’abbiamo ripetuta a dicembre scorso. L’Unicef ci nominò suoi ambasciatori nel mondo. Per i 45 anni usciremo con un album su progetto di arte grafica dello scultore Lello Esposito».

Andrea, ci può dare qualche anticipazione?

«È un doppio album formato da due Lp in vinile il cui nome è “Concept”. Quattro facciate con 5 brani ciascuna. Ognuna ha  un proprio titolo: aria (gli inediti), acqua (l’elemento che collega tutti i territori nel mondo e quindi i brani internazionali), terra (i brani dei nostri successi), fuoco (quello del Vesuvio che rappresenta i brani in napoletano). Il progetto musicale è frutto di un lavoro di squadra che racchiude il concetto del Giardino dei Semplici. Aprendo l’album c’è un quadro rappresentante un enorme Vesuvio. È l’opera d’arte di Lello Esposito e non può essere descritta: va ammirata. L’album è autografato ed è a tiratura limitata; ne stamperemo in prima battuta solo duemila copie. La presentazione è prevista a inizi della primavera con un concerto in un teatro napoletano».

Luciano com’è la musica oggi?

«C’è povertà di parole nei testi e si è perduta la semplicità della melodia. Si tende a privilegiare molto il ritmo con la conseguenza che non si trasmettono più emozioni. I sostenitori di questo nuovo modo di fare musica ritengono che le nostre canzoni sono vecchie e che fanno parte di un passato ormai obsoleto. Voglio ricordare solo una cosa che la dice lunga su questa affermazione. Tommy, insieme a Francesco Boccia, che nasce come scoperta del Giardino dei Semplici, nel 2003 hanno scritto testo e musica della canzone “Grande Amore”. Ebbene, Carlo Conti, nella sua prima edizione di Sanremo del 2015, diede questo brano al Volo che vinse il festival facendolo diventare un successo mondiale. Infine ci fa piacere anche ricordare che intorno al Giardino dei Semplici nasce una scuola di canto e musica, dove i giovani coltivano la loro passione».